84m², il monologo di Jin-ho: la verità dietro i muri

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo ormai nella seconda metà del film “84m²”, e la tensione ha superato il punto di saturazione. I rumori non sono più solo suoni: sono indizi. Le pareti non sono solo muri: sono schermi che nascondono segreti. Ed è proprio qui che Jin-ho, finora vicino diffidente, esplode in un monologo che trasforma il sospetto in accusa, e il dramma personale in un caso di corruzione sistemica. Davanti a sé non ha legato Eun-hwa, la rappresentante di condominio, figura che fino a quel momento aveva agito dietro le quinte con toni concilianti e presenza sottile. Jin-ho la smaschera, o almeno prova a farlo. Non sta più solo reagendo: sta mettendo in scena un contro-processo domestico.

Palazzi o inquilini rumorosi?

MINUTAGGIO: 1:43:11-1:44:11

RUOLO: Eun-hwa

ATTRICE: Yeom Hye-ran

DOVE: Netflix



ITALIANO



Il microfono mi era sfuggito. Però è un gran peccato che non abbiate sentito che erano qui. Guarda… Questi volevi? Se li diffondi credi che incolperanno me dell’inquinamento acustico? Che te ne fai. Volevi usarli per cambiare il mondo? Mhm? Allora? Credi che se l’edilizia fosse tutta di alta qualità non ci sarebbero i rumori…? Secondo me, no. Te l’avevo già detto, no? Il problema dei rumori è legato alle persone. i palazzi non c’entrano niente. Se si spendessero più soldi per costruire edifici più solidi, le case costerebbero di più. E a quelli come te non basterebbe una vita per comprarsi un appartamento. Non è una cosa complicata. Vedi, nella vita… Non ci si può affidare alla speranza. Bisogna essere molto realisti. Purtroppo però, tu non hai più tempo. Nella prossima vita, forse.

84m²

“84m²” di Kim Tae-joon è un film che lavora in silenzio, come quei rumori notturni che all’inizio ignori, poi ti infastidiscono, e infine ti consumano. È un thriller psicologico minimalista, ma costruito su un’idea enorme: la casa come simbolo del successo, che si trasforma lentamente nella scena del crollo personale. Il titolo 84m² non è una scelta casuale. In Corea del Sud, questa misura rappresenta lo standard abitativo ambito dalla classe media. È lo spazio ideale, quello per cui si lavora una vita intera. Kim Tae-joon parte da qui per mettere in discussione tutta la retorica del progresso personale legato alla casa di proprietà. Il protagonista Woo-sung, interpretato da Kang Ha-neul, fa di tutto per ottenerla. E una volta varcata la soglia, non trova conforto. Trova rumori.

Il film gioca quindi con l’idea che l’appartamento sia un premio sociale, ma anche una trappola silenziosa. Lo spettatore è costretto, insieme a Woo-sung, a restare lì dentro. La macchina da presa non fugge mai, le inquadrature sono strette, i movimenti limitati: la tensione nasce proprio da ciò che non puoi vedere. Uno degli aspetti più interessanti di 84m² è come tratta l’inquinamento acustico non come elemento secondario, ma come vera e propria arma narrativa. I colpi, i passi, gli oggetti che si trascinano: non vediamo quasi mai la loro origine. Sono presenze senza volto. Eppure sono abbastanza per far dubitare Woo-sung della propria sanità mentale — e noi con lui.

Due personaggi chiave affiancano Woo-sung nella sua discesa.

Eun-hwa (Yeom Hye-ran), rappresentante dei residenti, incarna il potere amministrativo invisibile che regola la vita di condominio. Vive in alto, sopra tutti, e la sua presenza è più politica che personale. La vediamo gestire, osservare, manipolare con il tono gentile tipico di chi è abituato a dire cose dure con voce educata. Una figura tra l’arbitro e l’oppressore, perfettamente calata in quell’ambiguità che rende instabili tutti i rapporti del film.

Jin-ho (Seo Hyun-woo) è il vicino del piano superiore. Vittima anch’egli dei rumori, diventa per Woo-sung una sorta di specchio: amico o nemico? Complice o inganno? La loro alleanza sembra utile, ma ogni scena che li vede insieme aumenta la sensazione che nessuno si fidi davvero di nessuno. Il film lavora così, per sottrazione: più i personaggi si avvicinano, più si allontanano.

L’elemento forse più brillante dell’opera è come riesce a trasformare lo spazio in significato. Ogni dettaglio della casa di Woo-sung – i colori freddi, l’arredamento impersonale, l’assenza di suoni familiari – ci dice che questo non è un luogo in cui si vive: è un obiettivo di status. E come spesso succede con gli obiettivi, una volta raggiunti, non ti danno ciò che ti aspettavi.

Analisi Monologo

“Cerco la verità, molto piacere” Jin-ho si presenta non più come condomino, ma come reporter d’inchiesta, con una missione precisa. La sua rabbia non è generica: è costruita su ferite personali, professionali, e su un senso di giustizia frustrato. “Quell’inchiesta era tutta opera mia. Avevo rischiato la vita, mi sono persino beccato delle coltellate.” Jin-ho rivela un passato da giornalista investigativo, mutilato professionalmente da una censura che, a suo dire, porta la firma proprio della donna che ora ha davanti. L’accusa non è solo morale, è strutturata: parla di una connessione tra potere giudiziario, mercato immobiliare e media.

Il passaggio più forte è quello in cui collega Eun-hwa alla compravendita di appartamenti difettosi. La denuncia, però, è meno importante della metodologia. Jin-ho ha raccolto prove, ha registrato conversazioni, ha seguito Eun-hwa nel tempo e nello spazio. Ha fatto quello che il sistema ha smesso di fare: indagare. “Hai parlato di un nascondiglio impermeabile, eh sì. E cosa c’è di meglio di una camera blindata in casa propria?” Il climax del monologo è un interrogatorio vero e proprio, costruito come in un noir da scrivania: c'è una domanda chiave (“dove sono i documenti?”), c’è un movente (la corruzione nei cantieri), e c’è un villain.

Conclusione

Il monologo di Jin-ho funziona come un cortocircuito narrativo. Fino a quel momento lo avevamo inquadrato come un possibile alleato di Woo-sung, forse un altro disturbato vittima dei rumori. Ma con questa confessione, Jin-ho si pone a metà tra whistleblower e paranoico, tra giornalista fallito e giustiziere improvvisato. E la forza della scena sta proprio qui: non sappiamo se fidarci di lui.

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