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~ LA REDAZIONE DI RC
Siamo davanti a uno dei momenti più potenti, emotivi e politici di "Shirley – In corsa per la Casa Bianca". Un discorso che non ha niente della compostezza diplomatica dei comizi istituzionali: questo è un richiamo alla lucidità e alla dignità politica. Shirley Chisholm, interpretata da Regina King con una presenza scenica che vibra di tensione e calore umano, si rivolge a un pubblico nero con la franchezza di chi non è lì per farsi applaudire, ma per scuotere coscienze. Il contesto è chiaro: siamo nel pieno della Convention Democratica del 1972, e Shirley si trova davanti a una platea composta in gran parte da delegati afroamericani. Un numero mai visto fino a quel momento. Il solo fatto di essere lì rappresenta un evento storico. Ma Shirley non si accontenta di celebrare il simbolo. Al contrario, usa quel momento per mettere tutti di fronte a una scelta politica concreta: volete essere rappresentati o volete essere usati?
MINUTAGGIO: 1:32:40-1:35:30
RUOLO: Shirley Chisholm
ATTRICE: Regina King
DOVE: Netflix
INGLESE
Good afternoon. Well this is something. Isn't it? Look around this room today. Go ahead. Look around. Four years ago, less than 2% of the delegates at the Democratic Convention were Black. Today there are 452 of you. There are people here promising you this, promising you that. Well, my brothers and sisters, let me tell it to you this afternoon like it really is. - The only thing you have going, my brothers and sisters There's only one thing you've got going. Your one vote. Don't sell that vote out! The Black people of America are watching us. Find out what these candidates who need our votes to get across the top are going to do for us concretely, not rhetorically. As I look at the faces of the Black youth of this country as I went from one place to another, and they said, "Chisholm, we know what you're going through." "We know how rough and how tough, but we know that you have the courage, and the balls, and the audacity to shake this system up within the system.” But I need your help to do it. Hold on to your vote. Hold on to your vote!
ITALIANO
Buon pomeriggio. Beh… che cosa straordinaria. Non è vero? Guardatevi intorno. Avanti. Guardatevi intorno. Quattro anni fa, meno del due per cento dei delegati alla convention democratica erano neri. E invece, oggi siete addirittura 452. Ci sono persone che vi promettono questo, vi promettono quello. E’... miei cari fratelli e sorelle, lasciate che oggi pomeriggio vi racconti come stanno effettivamente le cose. L’unica cosa che possedete, fratelli e sorelle miei. L’unica cosa che possedete è il vostro unico voto. Voi non dovete vendere quel voto. Sappiate che gli occhi dei neri americani sono puntati su di noi. Scoprite che faranno per noi questi candidati, a cui servono i nostri voti per arrivare in cima. Scoprite che faranno concretamente. E non soltanto a parole. Osservavo i volti dei giovani neri di questa nazione, spostandomi da un luogo a un altro, e quei volti mi dicevano “Chisholm, sappiamo che cosa stai passando. Sappiamo che è dura. Che è difficile. Ma sappiamo che tu hai il coraggio, che hai le palle, hai l’audacia per scuotere questo sistema dall’interno”. Ma mi serve il vostro aiuto per farlo. Tenetevi stretto il vostro voto. Tenetevi stretto il vostro voto!

Il film si concentra su un periodo ben preciso: la campagna presidenziale del 1972. Shirley Chisholm, interpretata da Regina King con un lavoro attoriale centrato sull'equilibrio tra convinzione e vulnerabilità, ha già fatto la storia diventando la prima donna afroamericana eletta al Congresso nel 1968. Ma qui il suo sguardo è rivolto ancora più in alto: la Casa Bianca. Quello che colpisce sin dall'inizio è che la sua candidatura non è simbolica. Shirley non entra in corsa solo per “alzare la voce” su certi temi: vuole vincere. È un dettaglio narrativo importante perché influenza tutto il tono del film. Il suo è un gesto radicale, e non per il gusto della provocazione: è un atto di autodeterminazione politica. La sceneggiatura costruisce il conflitto su più livelli. Da una parte c'è lo scontro con l'establishment del Partito Democratico, che la vede come una mina vagante. Shirley deve trattare con figure politiche che cercano di spingerla a ritirarsi “per il bene della causa nera”, oppure che la tollerano purché non diventi troppo visibile. Dall'altra parte c’è un conflitto interno al movimento stesso: non tutti gli attivisti afroamericani dell’epoca credono che sia lei il volto giusto della lotta.
Uno degli aspetti più forti del film è il modo in cui racconta il microcosmo della sua campagna elettorale: una squadra composta da giovani studenti, attivisti idealisti e consiglieri più navigati, spesso in disaccordo tra loro. Le dinamiche interne al team mostrano come la stessa energia che la sostiene può diventare anche fonte di tensioni e divisioni.
C’è una scena centrale in cui Shirley deve gestire un tradimento politico, e invece di reagire con cinismo, decide di restare fedele alla sua etica. Quel momento segna un punto di svolta: da lì in poi diventa evidente che questa candidatura è anche un esperimento morale, non solo politico.
Man mano che la campagna procede, emerge con forza il tema della solitudine del leader. Nonostante sia circondata da alleati, Shirley è spesso l’unica a prendere le decisioni difficili. Ci sono confronti molto ben scritti con il marito e con i suoi più stretti collaboratori, che mettono in luce quanto sia faticoso tenere insieme i pezzi della propria identità: donna, nera, politica, idealista, combattente.
La regia sottolinea tutto questo senza forzare la mano. Non ci sono troppe spiegazioni esplicite o dialoghi didascalici, ma momenti visivi che mostrano una donna che continua a combattere anche quando le luci si spengono e i riflettori si spostano su candidati più “accettabili”.
Il film si conclude con una campagna che non arriva a vincere, ma lascia un segno reale. Quello che viene messo in scena non è il successo secondo le regole classiche della politica, ma una ridefinizione di cosa significhi partecipare, rappresentare, sfidare.
“Guardatevi intorno... oggi siete addirittura 452.” Qui Shirley comincia con un dato numerico, ma non per compiacere: per contestualizzare. Sta dicendo: sì, il progresso è reale, ma guardiamolo per quello che è. È un punto di partenza, non un punto d’arrivo. L’invito a “guardarsi intorno” è quasi una provocazione visiva: come dire “non dimenticate dove siete, e perché ci siete”. È un modo per restituire consapevolezza collettiva. “L’unica cosa che possedete è il vostro unico voto.”
Questo è il cuore del discorso. Shirley mette al centro la responsabilità politica individuale. Non offre soluzioni, non promette premi. Afferma con forza che l’unico vero potere a disposizione di quella comunità è il voto. Non un simbolo. Non un’emozione. Non la rabbia. Il voto. E se vendi quel voto, hai perso tutto. È una linea dura, quasi disillusa, ma necessaria: serve a ribaltare il modo in cui troppe persone vedevano, e vedono ancora oggi, la partecipazione politica come una concessione e non come una leva.
“Scoprite che faranno concretamente. E non soltanto a parole.” Shirley entra in pieno nella logica del controllo dal basso. Non basta ascoltare i discorsi. Bisogna pretendere fatti. È una richiesta che chiama all’azione: non fatevi comprare da slogan o da promesse generiche. Fate domande, chiedete impegni chiari. In un sistema che da sempre considera il voto nero come una pedina negoziabile, questo è un invito a diventare soggetti politici attivi, non passivi.
“Sappiamo che tu hai il coraggio, che hai le palle, l’audacia per scuotere questo sistema dall’interno.”
Qui il tono cambia ancora. Shirley rievoca gli sguardi, i messaggi, le voci raccolte in viaggio. La durezza del linguaggio (“hai le palle”) non è gratuita. Serve a rompere il cerimoniale, a trasmettere l’intensità di una lotta che è quotidiana, concreta, spesso brutale. È anche il momento più personale del monologo, perché espone la vulnerabilità dell’essere sola, pur sapendo di rappresentare qualcosa di collettivo.
“Ma mi serve il vostro aiuto per farlo. Tenetevi stretto il vostro voto!” Il finale è costruito in modo molto preciso. Shirley non si propone come salvezza, ma come strumento. Dice: io posso scuotere il sistema, ma non ci riesco da sola. Il vostro potere, se lo cedete, mi indebolisce. Se lo custodite, mi rafforzate. Ripetere “Tenetevi stretto il vostro voto” è quasi un mantra, un comandamento laico. È qui che il monologo si trasforma in chiamata collettiva, in appello all’unità attiva, non passiva.

In questo monologo, Shirley Chisholm non cerca consenso: cerca consapevolezza. E lo fa rivolgendosi direttamente a chi, nella narrazione politica americana dell’epoca (e non solo), veniva spesso trattato come massa di voti e non come comunità politica pensante. È un momento che nel film ha un ruolo ben preciso: segna il passaggio da candidata simbolica a leader di fatto. Una leader che non chiede obbedienza, ma partecipazione critica.

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