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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo di Tony Stark arriva in Iron Man 3 in un momento di totale vulnerabilità. Non è una dichiarazione di forza, né un piano geniale partorito nella sua officina: è un messaggio registrato, rivolto a Pepper, in cui Tony lascia cadere la maschera. Dopo la battaglia di New York (The Avengers, 2012), il mondo si è allargato improvvisamente per Tony: alieni, dei, portali dimensionali. E lui, che ha sempre avuto il controllo grazie all’intelligenza, alla tecnologia e all’arroganza, improvvisamente si trova fuori scala. Non può più contenere la realtà che lo circonda, e neanche quella che ha dentro. Qui nasce il trauma, e da qui prende forma questo monologo.
MINUTAGGIO: 21:00-22:20
RUOLO: Tony Stark
ATTORE: Robert Downey Jr.
DOVE: Disney+
INGLESE
Come on. Pep? Hey, I admit it. My fault. Sorry. I'm a piping hot mess. It's been going on for a while. I haven't said anything. Nothing's been the same since New York. You experience things and then they're over, and you still can't explain them. Gods, aliens, other dimensions. I'm just a man in a can. The only reason I haven't cracked up is probably because you moved in. Which is great. I love you. I'm lucky. But honey, I can't sleep. You go to bed, I come down here. I do what I know. I tinker. I... Threat is imminent. And I have to protect the one thing that I can't live without. That's you. And my suits, they're, uh... Machines. They're part of me. A distraction. Maybe.
ITALIANO
Ehy, pep. Lo ammetto. Colpa mia, scusa. Sono parecchio incasinato. Va avanti da un pò, ormai, non ho detto niente. Tutto è cambiato, dopo New York. Vivi esperienze al limite, e poi tutto finisce senza una spiegazione. Alieni, dei, altre dimensioni… Io sono solo un uomo di latta. L’unico motivo per cui non ho avuto un crollo è perché ti sei trasferita da me. E’ fantastico, ti amo, sono fortunato. Ma tesoro, non riesco più a dormire. Tu vai a letto, io vengo qui a fare quello che so fare. Armeggio. Ma… il pericolo è imminente. E devo proteggere l’unica cosa senza la quale non vivrei: sei tu. E le mie armature sono parte di me.
"Iron Man 3", diretto da Shane Black e uscito nel 2013, è un film che chiude idealmente la prima trilogia su Tony Stark, dopo gli eventi devastanti di The Avengers (2012). Ed è proprio da lì che parte la vera sostanza narrativa del film: Tony è un uomo che ha guardato dentro l’abisso – quello cosmico, quello personale – ed è rimasto scosso. La storia si apre con un Tony Stark che soffre di attacchi di panico. È insonne, costruisce decine di nuove armature come fosse una dipendenza, e si è isolato affettivamente anche da Pepper. L'invulnerabilità del personaggio si incrina in modo evidente, e la corazza inizia a diventare una prigione, più che un’arma.
Il nemico principale sembra essere il Mandarino, una figura terroristica dal volto inquietante e dai metodi violenti, interpretato – o almeno così crediamo all'inizio – da Ben Kingsley. L’America è in stato di allerta, e Tony prende la cosa sul personale quando l’attacco del Mandarino colpisce Happy Hogan. A questo punto succede qualcosa di interessante: Tony, accecato dalla rabbia, lancia una sfida pubblica al Mandarino, rivelando il suo indirizzo. Un atto arrogante che finisce per distruggere completamente la sua casa. Da lì, il film vira.
Tony Stark finisce catapultato in Tennessee, senza la sua tecnologia, ferito, confuso, e con l’unica compagnia di un ragazzino curioso. È forse il momento più “umano” di tutta la saga di Iron Man. Niente Avengers, niente super-tuta definitiva. Solo un uomo che deve capire chi è senza il suo esoscheletro. La figura del Mandarino viene poi completamente ribaltata: si scopre che Trevor Slattery, l’uomo che appare nei video minacciosi, è solo un attore drogato pagato per interpretare un ruolo. Il vero burattinaio è Aldrich Killian, scienziato esperto in biotecnologia, un personaggio che aveva incrociato Stark anni prima e che è stato completamente ignorato da lui.
Killian ha sviluppato il virus Extremis, capace di rigenerare i tessuti e creare super-umani, ma instabili. La sua vendetta contro Tony è tanto personale quanto politica: sfruttando la paura generata dal terrorismo per giustificare esperimenti e controllo.
Uno dei temi più chiari del film è quello dell’identità: "Io sono Iron Man" non vuol dire "sono l’armatura", ma "sono l’uomo che ha scelto di diventare qualcosa di più". Il film spinge Tony verso un percorso di crescita: non può più affidarsi solo alla tecnologia, deve affrontare le conseguenze delle sue azioni passate (Killian, Maya Hansen, il trauma post-battaglia di New York), e decidere cosa lasciare andare.
“Ehy, Pep. Lo ammetto. Colpa mia, scusa. Sono parecchio incasinato.”
Il tono è subito colloquiale, quasi infantile. Non è il Tony Stark da conferenza stampa o da armatura in volo. È un uomo che prova a confessare qualcosa di troppo grosso per essere detto a voce alta. Il fatto che cominci scusandosi dà il tono dell’intero discorso: qui non c’è nessuna armatura, solo un uomo che ha paura. “Tutto è cambiato, dopo New York. [...] Io sono solo un uomo di latta.”
Questa frase è il cuore della crisi identitaria. Dopo aver visto l’infinito, Tony si ridimensiona: “solo un uomo di latta”. Non dice “sono Iron Man”, ma solo un uomo, con un’armatura addosso. È un modo per esprimere la sproporzione tra la potenza che ha tra le mani e l’inadeguatezza che sente dentro. Tony qui si sente fragile, obsoleto. E il riferimento a New York è tutto: lì ha rischiato di morire per davvero, per la prima volta senza controllo.
“L’unico motivo per cui non ho avuto un crollo è perché ti sei trasferita da me.”
Ammette che l’unico appiglio reale alla sanità mentale è stato Pepper. E lo dice senza eroismo: non è una dichiarazione d’amore da film romantico, è una verità buttata lì, quasi con imbarazzo. Nella sua mente, l’unico modo per restare a galla è costruire, progettare, fare. L’unico modo per sentirsi al sicuro è sapere che lei è lì.
“Tesoro, non riesco più a dormire. Tu vai a letto, io vengo qui a fare quello che so fare. Armeggio.” La parola “armeggio” è perfetta. È infantile, meccanica, confusa. Non dice che lavora, né che costruisce, né che pianifica. Sta “armeggiando”, cioè fa cose senza un vero obiettivo, per paura di fermarsi. Dormire, per lui, significa abbassare la guardia. E in questo stato non se lo può permettere.
“Il pericolo è imminente. E devo proteggere l’unica cosa senza la quale non vivrei: sei tu.” Tony sta giustificando tutto quello che ha fatto fino a quel momento, anche l’eccesso, anche la paranoia. Sta dicendo: “non lo faccio per ego, lo faccio perché ho paura di perderti”. E quella frase – “sei tu” – è forse la più onesta e spiazzante di tutto il film. In mezzo a supereroi, crisi globali e minacce sovrannaturali, il centro emotivo del suo mondo è una sola persona. “E le mie armature sono parte di me.” Per Tony, l’armatura non è più uno strumento: è un’estensione del suo essere. Non può separarsi da quella corazza perché è l’unico modo che ha per tenere a bada il caos. Ma la frase, detta in questo contesto, suona come una prigione. Non è un’affermazione di forza, ma di dipendenza.
Tony Stark, qui, non è l’uomo che risolve problemi. È l’uomo che non riesce a dormire. È il genio che ha salvato New York e che ora, in silenzio, si sta sfaldando. Questo momento lo rende tridimensionale. Non un eroe in crisi, ma un uomo che si è perso dentro le sue stesse creazioni, e che per amore prova a rimettere insieme i pezzi. Non con una battaglia, ma con un messaggio registrato nella notte.
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