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Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
Nel corso del film “Arrival”, Ian Donnelly ha spesso il ruolo di contrappunto a Louise Banks. È il fisico, lo scienziato “duro”, quello che cerca leggi, modelli, regole. Eppure, proprio in questo monologo – paradossalmente – è lui a raccontarci l’impossibilità di comprendere secondo i nostri parametri. Lo fa attraverso un piccolo diario di bordo, una sorta di appunto vocale o report interno, in cui aggiorna lo stato delle conoscenze sugli eptapodi.
Ma quello che sembra un resoconto tecnico nasconde una lenta disintegrazione delle certezze scientifiche, e una crescente apertura verso qualcosa che la scienza pura non riesce ad afferrare. La voce di Ian, calma e curiosa, ci accompagna lungo un processo che è prima di tutto una resa all’inspiegabile.
MINUTAGGIO: 52:30-56:30
RUOLO: Ian
ATTORE: Jeremy Renner
DOVE: Netflix
INGLESE
Here are some of the many things we don’t know about heptapods. Greek. Hepta, “Seven.” Pod, “Foot.” Seven feet. Heptapod. Who are they? Trying to answer this in any meaningful way is hampered by the fact that, outside being able to see them and hear them, the heptapods leave absolutely no footprint. The chemical composition of their spaceship is unknown. The shell emits no waste, no gas, no radiation. Assuming that the shells communicate with each other, they do so without detection. The air between the shells is untroubled by sonic emission or light wave. Are they scientists? Or tourists? If they’re scientists, they don’t seem to ask a lot of questions. Why did they park where they did? The world’s most decorated experts can’t crack that one. The most plausible theory is that they chose places on Earth with the lowest incidence of lightning strikes. But there are exceptions. The next most plausible theory is that Sheena Easton had a hit song at each of these sites in 1980. So, we just don’t know. How do they communicate? Here, Louise is putting us all to shame. The first breakthrough was to discover that there’s no correlation between what a heptapod says and what a heptapod writes. Unlike all written human languages, their writing is semasiographic. It conveys meaning. It doesn’t represent sound. Perhaps they view our form of writing as a wasted opportunity, passing up a second communications channel. We have our friends in Pakistan to thank for their study of how heptapods write, because unlike speech, a logogram is free of time. Like their ship or their bodies, their written language has no forward or backward direction. Linguists call this non-linear orthography, which raises the question, “Is this how they think?” Imagine you wanted to write a sentence using two hands, starting from either side. You would have to know each word you wanted to use, as well as how much space they would occupy. A heptapod can write a complex sentence in two seconds, effortlessly. It’s taken us a month to make the simplest reply. Next, expanding vocabulary. Louise thinks it could easily take another month to be ready for that.
ITALIANO
Ecco alcune delle molte cose che non sappiamo degli eptapodi. Dal greco: Epta: sette; Podi: piedi. Sette piedi: eptapodi. Chi sono? Il tentativo di rispondere in un modo sensato è impedito dal fatto che a parte la possibilità di vederli e ascoltarli, gli eptapodi non lasciano alcun tipo di impronta. La composizione chimica della loro astronave è sconosciuta. Il guscio non emette scorie, né gas, né radiazioni. Ammettendo che i gusci comunichino fra loro, lo fanno in modo non individuabile. L’aria tra un guscio e l’altro non è disturbata da emissioni sonore o onde luminose. Sono scienziati? O turisti? Se sono scienziati non sembra che facciano molte domande. Perché sono atterrati proprio lì. Neanche i più blasonati esperti riescono a venirne a capo. La teoria più plausibile è che abbiano scelto luoghi sulla terra con la più bassa incidenza di fulmini, ma ci sono delle eccezioni. Un’altra teoria plausibile è che in ciascuno di quei posti i Pink Floyd abbiano avuto una hit nel 1980. Insomma, non si sa. Come comunicano? Qui Luise ci sta facendo vergognare. La prima svolta è stata scoprire che non c’è collerazione tra quello che un eptapodo “dice” e quello che un eptapodo “scrive”. A differenza di tutte le lingue umane scritte, la loro scrittura è semasiografica. Veicola un significato, non rappresenta un suono. Forse per loro la nostra forma di scrittura è un’occasione sprecata. Perché tralascia un secondo canale di comunicazione. Dobbiamo ringraziare gli amici in Pakistan per lo studio su come scrivono gli eptapodi. A differenza del linguaggio, un logogramma è svincolato dal tempo. Come la loro astronave, e i loro corpi, la loro lingua scritta non ha una direzione in avanti e indietro. I linguisti la chiamano: “ortografia non lineare”. Il che solleva il quesito. E’ così che pensano. immaginate di voler scrivere una frase usando due mani a partire da entrambi i lati: dovreste già sapere ogni parola che dovrete usate, oltre che quanto spazio andrà ad occupare. Un eptapodo sa scrivere una frase complessa in due secondi, senza sforzo. Noi ci abbiamo messo un mese per una semplice risposta. Prossimo passo, ampliare il vocabolario. Secondo Luise dovremmo metterci un altro mese, per essere pronti.
“Arrival” (2016), diretto da Denis Villeneuve, è un film di fantascienza che gioca su un doppio binario: da una parte la narrazione “classica” dell’incontro con una razza aliena, dall’altra una riflessione intima e sorprendentemente personale sul tempo, sul linguaggio e sulle scelte che definiscono una vita. Tutto parte da un evento improvviso: dodici misteriose navicelle aliene appaiono in punti diversi del pianeta, sospese a pochi metri da terra, senza alcuna spiegazione. Una di queste si trova in Montana, negli Stati Uniti. Il governo americano, come altri governi nel mondo, cerca di stabilire un contatto con gli alieni per capire una cosa fondamentale: perché sono qui?
Per affrontare la sfida comunicativa, viene chiamata Louise Banks (Amy Adams), una linguista di fama internazionale, affiancata dal fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner). Il loro compito: decifrare il linguaggio degli alieni, che si presentano come creature tentacolari e gigantesche, chiamate informalmente “eptapodi”. Gli alieni non parlano: emettono suoni gutturali e, soprattutto, scrivono. Lo fanno in una forma grafica circolare, un linguaggio che non ha un inizio e una fine visibile, come se fosse pensato al di fuori della linearità temporale. Louise comincia così a entrare in un rapporto profondo con questo linguaggio. E da quel momento il film prende una piega meno “scientifica” e più esistenziale.
La chiave del film è proprio questa: il linguaggio degli alieni non è semplicemente un mezzo di comunicazione. È un modo di percepire il tempo. Gli eptapodi non vivono il tempo in maniera lineare, ma circolare. Non c’è un “prima” e un “dopo”, ma un tutto che esiste simultaneamente. Apprendere la loro lingua significa interiorizzare anche questa loro visione del tempo.
E qui Villeneuve e lo sceneggiatore Eric Heisserer (adattando il racconto breve “Story of Your Life” di Ted Chiang) fanno una mossa narrativa interessante: ci rendiamo conto che quelle che sembravano essere memorie della protagonista — flashback della figlia morta per una malattia rara — non sono ricordi del passato, ma visioni del futuro. Louise, apprendendo la lingua aliena, sviluppa anche la loro capacità: vede il tempo tutto insieme, in un presente eterno. Sa già che avrà una figlia. Sa che la perderà. Sa che il suo matrimonio (che non è ancora iniziato) finirà. Ma sceglie consapevolmente di vivere tutto lo stesso.
Questo è forse il nodo più forte del film: la libertà di scegliere qualcosa anche se sai che finirà con il dolore. Arrival ci porta a riflettere non tanto sugli alieni o sulla minaccia globale (che rimane sullo sfondo), ma su come il nostro rapporto con il tempo, con la perdita e con la memoria influenzi ogni nostra decisione.
“Arrival” non racconta una guerra, non mette in scena eroi in senso classico. Mostra un mondo sospeso, in cui la comunicazione è la vera chiave per la sopravvivenza. Louise non combatte contro qualcosa, ma cerca di capire. E in quel processo di comprensione, si trasforma lei stessa. È un film che parla di linguaggio, certo, ma non come codice, piuttosto come visione del mondo. E in questo senso Villeneuve fa cinema nel modo più puro: usando l’inquadratura, il ritmo, il non detto e la struttura stessa del racconto per farci vivere un’idea.
“Ecco alcune delle molte cose che non sappiamo degli eptapodi”
La prima frase è una dichiarazione di fallimento. Ian non parte da ciò che è stato scoperto, ma da ciò che ancora non si sa. È una premessa chiara: ci troviamo davanti a qualcosa che elude ogni tentativo di catalogazione. Il linguaggio scientifico qui comincia a scricchiolare.
“La composizione chimica della loro astronave è sconosciuta... non emette scorie, né gas, né radiazioni”
Si scivola nel dettaglio tecnico, quasi da documentario scientifico. Ma l’elenco degli elementi mancanti – radiazioni, emissioni, segnali – è un altro modo per dire che non c’è nessuna “firma” riconoscibile. Sono corpi, veicoli, presenze che non lasciano tracce. E qui, in sottotesto, entra un tema che è anche estetico: l’invisibilità del senso, la non-misurabilità dell’intelligenza.
“Sono scienziati? O turisti?”
Domande semplici, ma poste in un contesto che le rende ironiche. È una svolta di tono, quasi comica, subito rinforzata dalla battuta sui Pink Floyd. Ma la comicità qui ha una funzione precisa: sgretolare la presunzione antropocentrica. Le nostre categorie (scienziati, turisti) non bastano. “La loro scrittura è semasiografica. Veicola un significato, non rappresenta un suono” Ian ci spiega, in modo semplice e chiaro, che la lingua scritta degli eptapodi non è fonetica: non trascrive un parlato, ma comunica direttamente un’idea. Questo concetto – che può sembrare tecnico – in realtà cambia radicalmente la concezione di linguaggio come la intendiamo. La scrittura come significato puro, indipendente dal tempo e dal suono, apre un altro livello di comprensione: non stai traducendo, stai vedendo. La mente non lavora in sequenza, ma per visione complessiva.
“Un logogramma è svincolato dal tempo... la loro lingua scritta non ha una direzione in avanti e indietro” La lingua come percezione del tempo. Se la scrittura è circolare e simultanea, allora anche il pensiero potrebbe esserlo. Non stiamo solo imparando un nuovo alfabeto, ma un nuovo modo di pensare, che comporta la comprensione del tempo come totalità.
Ian ci porta qui, passo dopo passo, verso il quesito centrale del film: “È così che pensano?”. E, implicitamente, “è così che potremmo pensare anche noi?”
Ian, da scienziato, arriva a toccare il limite della scienza, e lo fa con uno sguardo che diventa quasi umile. Non sta solo spiegando qualcosa agli altri, sta rielaborando in tempo reale una scoperta che ha già trasformato il suo modo di osservare il mondo. E mentre ci racconta del linguaggio degli eptapodi, ci sta dicendo un’altra cosa: che ogni forma di comunicazione è un atto di interpretazione del tempo. Che cambiare lingua può significare cambiare coscienza. E che forse, come accadrà a Louise, imparare una lingua può voler dire cambiare la propria intera esistenza.
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