Discorsi intorno a Bruce Springsteen

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Articolo a cura di...

~ MASSIMILIANO AITA

Quando mi chiedono se credo, rispondo sempre negativamente.

In realtà il fastidio che mi provoca la domanda (sono una persona diversa se credo?nMerito la tua stima e considerazione?) produce quale effetto una risposta superficiale e semplicistica.

Dovrei articolare il mio pensiero e chiarire che credo sì ma non nella Chiesa, cattolica ed apostolica, nella liturgia dei santi, nella remissione dei peccati. Credo, al contrario, in Gesù Cristo, sceso in terra e morto sulla croce e nello spirito Santo.

E credo che per ciascuno di noi la figura di Gesù abbia una tangibile personificazione. Per me Gesù Cristo ed il suo messaggio si incarnano in un cantante di Freehold, New Jersey: Bruce Frederick Springsteen, nato il 23.09.1949 da Douglas Springsteen e Adele Zirrilli.

Questa incarnazione si ripete ogni volta che assisto ad un concerto di Bruce.

Succede sempre. Anche quando sono stanco, stufo, deluso, il fenomeno si riproduce – mai uguale a sé stesso.

Anche stasera che “avevo bisogno di sentirmi giovane” (cit. John Landau, maggio 1975, Rolling Stones), gli effetti della partecipazione al concerto di Bruce hanno inciso nella profondità della mia anima.

Sarà che le strofe delle sue canzoni (“Follow that dream to find the love you need)

descrivono in modo preciso chi sono io e cosa desidero dalla vita (So Mary climb in, it’s a town of loosers and we gonna get away to win); sarà che riflettere sul dramma che ti attanaglia quando – arrivato a cinquantacinque anni – decidi di cambiare totalmente vita e ti chiedi se tra due, tre anni ti domanderai: “Is a dream a lie if it dont come true or is it something worse?”.

Sarà, sarà, sarà ma come dicevo la partecipazione ad un concerto di Bruce rappresenta una sorta di Messa laica – in cui il pastore guida il suo gregge verso “The promise land” prestando comunque attenzione a “The darkness on the edge of town”.

“Tonight all the promises will be broken and you’ll be free“ – sostiene Bruce in una delle sue più note canzoni. Ma cosa significa per uno come me che ama Springsteen al pari di un familiare “essere libero”?

E perché essere liberi ha quale presupposto la rottura delle promesse?

Non dovrebbe essere forse il promettere, l’impegnarsi la scelta più libera che ciascuno di noi possa compiere?

Sappiamo bene che non è cosi ed ancora una volta Springsteen – con una capacità di rendere per immagini concetti complessi – lo chiarisce in “The price you pay”: ogni scelta ha un prezzo, ogni promessa costa qualcosa.

E se il prezzo che dobbiamo pagare diventa insostenibile, l’unica strada che abbiamo a disposizione è metterci alla guida di una “Stolen car” e cantare “I’m drivin a stolen car in a pitch black night and I’m telling myself it’s gonna be alright”.

La poetica di Bruce come quella di Gesù Cristo è abbastanza semplice e poggia su due concetti fondamentali: nessuno ha il diritto di scagliare la prima pietra (Highway Patrolman) soprattutto quando vengono in considerazione gli affetti più cari e l’amore rimane l’unica strada percorribile per salvare il mondo (The rising).

Ecco Gesù e Bruce hanno in comune l’esprimere un messaggio universale di fratellanza, condivisione e comprensione.

Quando Bruce canta “Everyone has the right lo live, the right to search someone who search with him“ vola o atterra poco lontano da Gesù che ci raccomanda di amare il prossimo nostro come noi stessi.

E poi come Cristo che entra in Gerusalemme il venerdì santo con la popolazione in festa che agita le foglie di ulivo, così Bruce sale sul palco accolto dalla fede incrollabile dei propri adepti.

Il rapporto tra Bruce e i suoi sostenitori non appartiene al novero dell’umano. E’ un dialogo continuo, un racconto che viene intessuto di canzone in canzone e con intensità crescente.

Ma ogni concerto ha una sua dinamica.

Come gli Apostoli, per grazia dello Spirito Santo, vengono investiti del dono di parlare e comprendere le lingue, così Bruce ed i suoi sostenitori parlano una lingua diversa ad ogni concerto.

Alle volte è quella della protesta, alle volte quella della nostalgia, sempre e dico sempre quella dell’amore.

Ecco, si, direi che questo più di ogni altra cosa rende simile Bruce a Gesù Cristo.

Capite bene dunque perché ogni volta che esco da un concerto del mio spirito guida, io sono una persona diversa da quella che vi è entrata.

Ogni volta i miei pensieri storti cercano di prendere il sopravvento, di turbare la felicità e l’entusiasmo di quelle tre ore di concerto ma ogni volta alzo gli occhi verso il palco e sento Bruce che mi ricorda “Ehi ok, sono cinquantacinque anni che bruci sulla strada, che non sai dove correre né dove andare” (Born in the Usa) ma “Stay hard, stay angry, stay alive”.

Ecco, io – alle volte – dimentico il bisogno famelico che anima il mio agire: il bisogno di realizzare qualcosa per cui il mondo possa ricordarsi di me.

Nonostante le apparenze, le mie frasi ad effetto, a me la fama in sé interessa poco: mi interessa lasciare un’eredità morale alle persone che amo, che stimo e che mi circondano.

Un’eredità morale che non consiste in beni materiali o in altro di tangibile.

L’eredità morale della quale parlo viene compiutamente descritta da Springsteen nel titolo di una sua canzone: “Land of hope and dreams”.

Io vorrei anzi voglio che un giorno si possa dire di me: “Nel suo piccolo ci ha donato speranze e sogni”. Perché alla fine, il rock’n roll come la religione non è di questo mondo ma racconta il mondo che sogniamo e che speriamo di realizzare.

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