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~ LA REDAZIONE DI RC
Ti presento i suoceri, lascia intuire un classico della commedia romantica: la cena tra famiglie, i genitori che si conoscono per la prima volta, il momento potenzialmente disastroso che precede il “per sempre” di una giovane coppia. Ma dietro a questa premessa piuttosto convenzionale, si nasconde una rete di relazioni incrociate che trasformano la serata in qualcosa di molto più esplosivo — e sinceramente tragicomico. Allen (Luke Bracey) e Michelle (Emma Roberts) sono la coppia “principale”: giovani, carini, al bivio tra convivenza e matrimonio. Lei vuole certezze, lui tentenna. Il matrimonio dell’amica di Michelle è la classica miccia che accende il confronto: o si cresce insieme, oppure si resta fermi. Per affrontare le incertezze, decidono di far incontrare i loro genitori, come tappa preliminare verso un impegno più serio.
Solo che… i genitori si conoscono già.
E non in senso vago o casuale. La madre di Allen, Monica (Susan Sarandon), ha da tempo una relazione extraconiugale con Howard (Richard Gere), il padre di Michelle. E non parliamo di una scappatella: sono amanti consolidati, con i loro codici e segreti. Nel frattempo, il padre di Allen, Sam (William H. Macy), incontra casualmente la madre di Michelle, Grace (Diane Keaton), proprio la notte prima della cena — e ne rimane sinceramente colpito. Tra loro non c’è solo attrazione, ma una connessione emotiva inattesa. Peccato che anche loro siano sposati… con altri. Il film è tratto da una commedia teatrale di Michael Jacobs (che firma anche la regia), e la sua struttura tradisce subito l’origine: pochissime location, tantissimi dialoghi, e una cena finale in cui tutto — davvero tutto — viene a galla.
Howard: Richard Gere
Grace: Diane Keaton
Grace è seduta. Arriva Howard. Si mette vicino a lei, ma in piedi. 2 Non lo guarda.
Howard: Rimarrò qui per il resto dei miei giorni, finché non mi guarderai.
Grace: Non riesce a guardarlo.
Howard si mette accovacciato davanti a lei.
Howard: E’ la prima volta che faccio una cosa simile.
Grace: E’ ne sei fiero? Non riesco a capire. Dimmi, ne sei fiero?
Howard: No. No, non sono fiero di niente. Ho fatto una cosa orrenda, non capisco perché. So solo che… che non dovrai più preoccuparti che io rifaccia una cosa simile, mai più.
Grace: Perché?
Howard: Perché non serve a niente.
Grace: Perché? Perché hai sentito la necessità di andare a cercare altrove. Se ti vengono dei dubbi, dovresti rivolgerti a me. Insomma, io ci sono. Ci sono sempre, quindi…
Howard: Lo so, tu ci sei sempre.
Grace: Tra le lacrime. Si.
Howard: Io… Io ho ferito la persona che amo, perché tu ci sei, a differenza di me.
Grace: Cosa? Cosa?
Howard: Amore… amore. Passerò il resto dei nostri giorni impegnandomi a comprendere tutto quello che provi. Per colpa del mio essere distante, e capire ciò di cui hai bisogno da me. E… e… e capire cosa ti fa provare…
Grace: Cosa.
oward: Il tempo. Il tempo che passa.
Grace: Mi hai costretta a cercare tutto questo in un altro.
Grace va via.
Questo dialogo tra Howard (Richard Gere) e Grace (Diane Keaton) in Ti presento i suoceri è l’epilogo emotivo di una crisi matrimoniale che ha superato il punto di rottura. È una scena che non cerca redenzione immediata, ma prova a definire ciò che rimane dopo un tradimento, dopo la vergogna, dopo che le parole sono finite. E proprio per questo diventa uno dei momenti più autentici e dolorosi del film.
L'inizio è già una dichiarazione visiva. Grace è seduta, non lo guarda. Howard è in piedi, poi si accovaccia. Si abbassa, quasi a dire: "non sono più in posizione di potere". La messa in scena è essenziale ma precisa: c'è uno squilibrio emotivo, e Howard sta tentando di colmarlo abbassandosi — letteralmente — al livello di Grace.
“Rimarrò qui per il resto dei miei giorni, finché non mi guarderai.”
È una frase disperata, ma anche un po’ teatrale. Howard cerca un gesto che spieghi qualcosa che lui stesso non sa razionalizzare.
Grace non accetta scuse generiche. Vuole sapere:
“Ne sei fiero?”
La risposta è immediata, sincera: “No. Non sono fiero di niente.”
Eppure non basta. Grace vuole capire perché, e Howard non sa rispondere. Dice solo “Perché non serve a niente.” È una risposta lucida e tragica. Non giustifica. Semplicemente, ammette l’inutilità del gesto. Il tradimento non è stato passionale, né liberatorio. È stato vuoto. Un gesto che ha fatto male a tutti, senza portare alcun significato.
Quando Grace dice: “Se ti vengono dei dubbi, dovresti rivolgerti a me. Io ci sono. Ci sono sempre.” sta rivelando la vera ferita: non il tradimento in sé, ma l’essere stata ignorata, scavalcata nei momenti di dubbio. Perché è lì, da sempre. Presente, stabile, silenziosa. E Howard, invece, è sfuggente.
E quando lui dice: “Tu ci sei, a differenza di me.” è un’ammissione definitiva. Non sta parlando solo dell’infedeltà. Sta dicendo: io non sono stato davvero presente nemmeno quando c’ero. Howard non cerca giustificazioni. Cerca parole. E nel farlo inciampa, si interrompe, balbetta: “... e… e capire cosa ti fa provare…” e Grace lo incalza: “Cosa.” E lui risponde: “Il tempo. Il tempo che passa. È una frase chiave. Non parla solo dell’invecchiamento, ma del logorio, della distanza accumulata, del fatto che l’amore, se non coltivato, si consuma nel tempo come la luce su una vecchia fotografia.
È la chiusura. L’unica possibile. Grace non urla. Non distrugge. Ma lascia intendere che la sua scelta è già stata fatta. È stata abbandonata emotivamente troppo a lungo. E ora ha trovato altrove ciò che Howard non le ha dato.
Non è vendetta. Non è neanche una fuga. È un riequilibrio.
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