Dialogo Susan e Reed in “I Fantastici Quattro – Gli inizi” (2025): amore, paura e fiducia

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~ LA REDAZIONE DI RC

I Fantastici Quattro: la trama con spoiler

Matt Shakman firma il ritorno dei Fantastici Quattro nel Marvel Cinematic Universe, aprendo la Fase Sei con un film che spinge il gruppo direttamente dentro un conflitto cosmico, ma che affonda le radici nel personale, nel familiare, nel fragile equilibrio tra genitorialità, responsabilità e paura dell’ignoto. Questo non è solo un film sulle origini: è un film sul confrontarsi con ciò che viene dopo. Con ciò che si è generato.

Siamo su Terra-828. Sono passati quattro anni da quando Reed, Sue, Johnny e Ben hanno ottenuto i loro poteri. Ma ciò che li rende davvero una squadra non è la mutazione, è l'intimità. Il film apre su una cena familiare, momento tenero e tranquillo che verrà subito travolto da qualcosa di molto più grande: Silver Surfer appare e annuncia l’arrivo imminente di Galactus, colui che consuma pianeti per sopravvivere.

Da qui si snoda una trama che alterna momenti da space opera pura a crisi interiori personali. Reed è ossessionato dal legame tra l’esposizione ai raggi cosmici e l'arrivo della creatura. Sue è incinta e, pur consapevole del pericolo, è determinata a portare avanti la gravidanza. Johnny resta il più impulsivo, ma comincia a mostrare sprazzi di responsabilità. Ben è il più terreno, il collante emotivo del gruppo. Il tono è quello di una tragedia familiare vestita da blockbuster.

Il viaggio verso Galactus li porta a una delle rivelazioni centrali del film: il divoratore non è solo affamato di pianeti – vuole il figlio di Sue, Franklin, che ancora non è nato. Lo percepisce. Lo sente. Questo bambino è una fonte di energia talmente potente da interferire persino con il metabolismo cosmico di Galactus. Ed è qui che il film comincia davvero a girare su un asse diverso: quello del destino, del sacrificio, del potenziale pericoloso del potere.

Sue partorisce durante un inseguimento spaziale, mentre il team fugge dalla macchina cosmica di Galactus. È una delle sequenze più tese e surreali dell’MCU finora: nascita e morte, creazione e distruzione si sovrappongono visivamente e tematicamente.

Ma il ritorno sulla Terra non porta sollievo. Dopo una disastrosa conferenza stampa, l'opinione pubblica si rivolta contro i Fantastici Quattro. Il mondo è paralizzato dalla paura e inizia a domandarsi: vale davvero la pena rischiare l’estinzione dell’intero pianeta per non sacrificare un neonato? Qui il film assume tonalità quasi politiche, con una narrazione che richiama certi film catastrofici anni ‘70 – e un tono cupo che spiazza.

I Fantastici Quattro: la spiegazione del finale e scena post credit

È Franklin Richards, il vero punto di svolta del film. Non tanto come personaggio, quanto come concetto: lui è una forza latente. Il bambino è l’incarnazione del potere puro e dell’innocenza assoluta – un paradosso potentissimo in un film che parla proprio di responsabilità e destino.

Dopo il fallimento del piano di Reed, che prevedeva di spostare la Terra lontano dalla traiettoria di Galactus attraverso una rete di portali quantici, la squadra si gioca l’ultima carta: usare Franklin come esca per attirare Galactus nel portale rimasto operativo a Times Square. È un piano disperato: la città è deserta, evacuata. Aiutano anche vecchi alleati, come l’Uomo Talpa.

Ma il piano fallisce. Galactus riesce a prendere il bambino, e quando tutto sembra perduto, Sue si ribella. Usa i suoi poteri per trattenere Galactus abbastanza a lungo da farlo finire nel portale. Tutto questo costa caro: Sue Storm muore per lo sforzo.

E lì, in un momento completamente atipico per un cinecomic Marvel, il film si prende una pausa totale dal rumore. I superstiti – Reed, Ben, Johnny – si inginocchiano accanto a Sue, che giace senza vita. Franklin si appoggia al suo grembo. Ed è in quel momento che accade qualcosa che cambia tutto: la madre rinasce. La scena è costruita con una solennità quasi sacrale, evitando volutamente ogni tipo di effetto pirotecnico. Il risveglio è silenzioso. È Franklin ad averla salvata. Senza comprendere cosa stia facendo. E forse proprio per questo ci riesce.

Questa scena è il cuore concettuale del film. Franklin non è un’arma. È un miracolo. Un’energia che restituisce vita anziché distruggerla. In un universo dominato da esseri onnipotenti come Thanos, Celestiali, Galactus, vedere che la vera forza rigenerativa nasce da un bambino appena nato è un messaggio potente.

Epilogo – Il seme del destino

Quattro anni dopo. Sue è viva. Si prende cura di Franklin in una casa isolata, circondata da natura. L’aria è calma. Ma quando il bambino viene avvicinato da un uomo mascherato, col mantello verde, tutto cambia. È Victor Von Doom, e il modo in cui il film costruisce questo reveal è da manuale. Nessun dialogo. Nessuna spiegazione. Solo una maschera, un incontro tra il destino e ciò che verrà.

La Fase Sei si apre davvero qui.

I Fantastici Quattro – Gli inizi non è un film sulle origini nel senso classico. È un film che parla delle conseguenze. Di ciò che accade dopo che si ottiene un grande potere. Di come si affronta un mondo che cambia quando una nuova vita entra nella storia. Shakman costruisce un MCU che comincia a maturare: meno ironia, più dilemmi morali. E soprattutto, meno eroi perfetti e più famiglie imperfette. Il risultato? Un’introduzione densa, che non chiude nulla, ma apre tutto.

Il dialogo

Susan Storm: Vanessa Kirby
Reed Richards:
Pedro Pascal

Susan entra in camera, mentre il piccolo piange.

Susan: Oh, amore mio. Mi dispiace, piccolo. 

Lo prende in braccio. Entra Reed nella stanza.

Susan: Ben si sbaglia. C’è sempre qualcuno che può farti del male.
Reed: Sue, ti prego ascoltami. Non lo darei MAI a Galactus. Non lo farei MAI.
Susan: “Matematico, etico, fattibile“... è stato così facile per te dirlo.
Reed: Non significa niente.
Susan: Non è vero, ti conosco, so come ragioni. Significa che ci hai pensato. Che in quella testa hai già analizzato e risolto il problema.

Reed: Non significa niente. Il mio compito è prevedere il peggio, così che il peggio non accada mai.

Susan: Non è tuo compito Reed. Tu sei così.
Reed: Ok, hai ragione, sono così. Io non immagino, non sogno. Io permetto alle cose peggiori di entrarmi in testa, così da capire come fermarle, prima che feriscano qualcun altro.

Susan: E sai una cosa? Molto spesso, il fatto che tu sia così ferisce me. 

Reed: Non era mia intenzione.

Il bimbo piange, Susan lo mette comodo nel lettino.

Susan: Lo so, lo so… lo so.
Reed: Ascolta. Troverò una soluzione, sistemerò le cose. 

Susan: Non sappiamo cosa lui sia, o cosa potrebbe diventare. Ma io non lo abbandonerò. 

Analisi dialogo

Questo dialogo tra Susan Storm (Vanessa Kirby) e Reed Richards (Pedro Pascal) è uno dei nodi emotivi più intensi di I Fantastici Quattro – Gli inizi. Non si tratta solo di un confronto tra due genitori. È uno scontro tra due visioni del mondo, tra due modi di amare, tra ragione e istinto, paura e fiducia, prevenzione e presenza.

Nel cuore di un film dominato da minacce cosmiche e pericoli planetari, I Fantastici Quattro – Gli inizi si prende un momento per raccontare una crisi molto intima e molto umana: quella tra due genitori che non riescono più a riconoscersi del tutto. Il confronto tra Sue e Reed, avviene in una stanza buia, accanto a un neonato che piange. È un confronto sussurrato, fatto di parole trattenute, di ferite non ancora chiuse, ma è uno dei momenti più tesi e onesti dell’intero film.

La frase che scatena tutto è stata pronunciata poco prima, da Reed, parlando della possibilità di offrire Franklin a Galactus come una delle opzioni "tecnicamente" sul tavolo. Sue glielo rinfaccia con lucidità: “Matematico, etico, fattibile… è stato così facile per te dirlo.” Sta denunciando il modo in cui Reed processa la realtà. Lui razionalizza anche l’impensabile. Per Reed, ogni scenario è analizzabile. Anche il più inaccettabile. Anche sacrificare un figlio. È il limite della sua intelligenza: non filtra l’orrore, lo seziona.

Sue lo accusa di averci pensato. E in questo, mette a nudo la sua solitudine: essere la madre di Franklin è un'esperienza emotiva assoluta, mentre Reed sembra affrontarla con il distacco clinico di uno stratega. La frattura non è logica, è emotiva.

In questa frase si concentra tutta la vulnerabilità del personaggio di Sue: “Molto spesso, il fatto che tu sia così ferisce me.” Sue non si sta opponendo a un’idea. Sta parlando della persona che ha accanto ogni giorno. Reed è incapace di stare nel presente, perché vive sempre in funzione del peggio che potrebbe accadere. E questo, paradossalmente, lo rende distante anche da chi ama.

È un passaggio di rottura. In poche battute, il film ci fa capire che questo matrimonio, che questa squadra, non è affatto perfetta. Sono “fantastici”, sì, ma anche incompleti, fragili, feriti. Sue dice a Reed: non stai sbagliando come supereroe, stai sbagliando come uomo. Ed è una verità che fa più male di qualunque sconfitta in battaglia.

Sue smaschera l’alibi di Reed: “è il mio compito pensare al peggio”. Ma lei lo interrompe: “Non è tuo compito, Reed. Tu sei così.” È un passaggio sottile, ma potentissimo. Reed si racconta come vittima del suo ruolo, come se fosse obbligato a fare certe scelte perché leader, perché scienziato. Ma Sue lo conosce meglio. Sa che è una sua natura, non una missione. E qui il film scava in profondità: l’intelligenza senza calore umano può distruggere ciò che si vuole salvare. Il dialogo si chiude con Sue che guarda Franklin e dice: “Non sappiamo cosa lui sia, o cosa potrebbe diventare. Ma io non lo abbandonerò.” È l’opposto della logica di Reed. Dove lui vede variabili, lei vede un legame sacro. Dove lui progetta soluzioni, lei decide di restare. È la dichiarazione più semplice, più radicale e più potente del film: Io resterò con mio figlio, qualunque cosa accada.

Questa scena non risolve il conflitto tra Sue e Reed. E non vuole farlo. Ciò che fa è più importante: lo espone. Il film ci mostra due persone che si amano, che hanno un figlio insieme, ma che sono troppo diverse nel modo in cui affrontano il dolore e la responsabilità. Non c'è un torto e una ragione. C’è un uomo che calcola per proteggere, e una donna che protegge perché ama.

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