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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Isabel, arriva alla resa dei conti, quando le maschere vengono tolte e la verità – o quella che ci viene data come tale – finalmente emerge. Isabel, fino a quel momento oggetto del mistero, diventa soggetto del racconto. La sua voce prende il controllo della narrazione e ci guida dentro una confessione che cambia il significato di tutto quello che abbiamo visto prima.
MINUTAGGIO: 1:28:40-1:30:00
RUOLO: Isabel Luijten
ATTRICE: Elise Shaap
DOVE: Netflix
ITALIANO
Quello che ha fatto Look potevo farlo anch'io. Ho visto un grosso ammanco su uno dei suoi conti. Si io… poi ho trovato un link che portava al dark web e ai suoi file segreti. Così ho scoperto che Look.. si, ho scoperto che Look voleva farti uccidere. Così ho contattato il sicario attraverso lo stesso link. In breve l'ho pagato il doppio perché non facesse nulla. Era la mia unica chance di liberarmi di Look, capisci? Abbiamo inscenato l'omicidio. Abbiamo scattato una foto. E abbiamo fatto in modo che arrivasse alla polizia. Poi ti ho spedito il libro di Look per farti sapere che era lui Zadkin. E quando Look continuava a non essere arrestato, Yard è venuta ad avvisarti. Ascolta Bo, la tua vita era in grane pericolo a causa mia, ho pensato che sarebbe stato meglio se fossi scomparsa. Ma le cose non sono andate come avevamo previsto.
La storia si apre con un rituale ben rodato: Bodil, giudice di famiglia, e la sua amica Isabel si concedono una fuga apparentemente innocua sulla costa belga. In realtà, è una copertura per le loro relazioni extraconiugali. È tutto coreografato, gestito nei minimi dettagli: ognuna sa dove sarà l’altra, cosa diranno ai mariti, come evitare sospetti. Questo patto tra complici è la vera miccia narrativa. Un'alleanza che sembra funzionale, fino a quando qualcosa va storto. Anzi, più di qualcosa. Durante questa pausa, le due donne si separano: Bodil va nella villa di famiglia tra le dune – un luogo sospeso, quasi irreale, fuori dal tempo – mentre Isabel si immerge nella confusione e nell'euforia di un albergo dove perde il controllo, drogata, sulla pista da ballo. Ed è proprio qui che il film comincia a deviare dal binario conosciuto.
La mattina dopo, Bodil trova una pozza di sangue nell’atrio della sua villa. Isabel è scomparsa. Nessuna telefonata, nessun messaggio. Il sangue trovato sembra appartenere proprio a lei. Il mistero si infittisce quando sul dark web viene scoperta una foto che la ritrae gravemente ferita. Questo passaggio è fondamentale: introduce il lato oscuro del web, delle identità digitali, delle trame che si muovono fuori campo e che sfuggono completamente al controllo. Con l’arrivo dei mariti, Milan e Luuk, la rete delle menzogne inizia a cedere. Il film cambia tono: dal dramma privato e relazionale si passa a una vera e propria indagine criminale, dove tutti sono sospettati. Bodil, che dovrebbe rappresentare la giustizia, si trova ad essere parte attiva – e compromessa – di un caso che mina le fondamenta della sua vita privata e professionale. Il ruolo della giudice non è solo simbolico, è anche tematico: chi ha il diritto di giudicare, quando è coinvolto direttamente nel crimine?
I sospetti si moltiplicano: l’amante di Bodil – un personaggio volutamente sfuggente – e persino Yara, la sorella di Bodil, entrano nel mirino. Si insinua l’idea che possa esserci stato un errore di persona, un omicidio destinato a Isabel ma che potrebbe aver colpito qualcun altro. O forse, è tutta una messinscena. E infatti… La rivelazione finale rimette in discussione tutto ciò che abbiamo visto fino a quel momento. Isabel ha orchestrato la sua stessa scomparsa. Non c’è nessun killer misterioso, nessun caso di identità sbagliata: c’è solo il desiderio di fuga, di liberazione. Isabel vuole lasciarsi alle spalle il marito Luuk e iniziare una nuova vita con Yara, la sorella di Bodil, con cui ha intrapreso una relazione amorosa. Un colpo di scena che ha una doppia valenza: narrativa e simbolica.
"Quello che ha fatto Look potevo farlo anch'io." La frase d’apertura è potente: Isabel si mette sullo stesso piano del marito Luuk, non perché voglia equipararsi in crudeltà, ma perché rivendica la capacità di agire, di prendere in mano la situazione. È un rovesciamento di ruolo: da moglie passiva a regista del proprio destino. E la parola "anch'io" porta con sé una rivendicazione sottile: non sono diversa, ma nemmeno inferiore. "Ho visto un grosso ammanco su uno dei suoi conti [...] ai suoi file segreti." Qui entra in gioco il detective work di Isabel: scoprire i segreti del marito attraverso l’analisi dei conti, i link nascosti, l’accesso al dark web. È il momento in cui scopriamo che Luuk stava progettando di uccidere Bodil. Questo elemento criminale, che prima aleggiava come un’ipotesi, ora prende corpo, ma lo fa per bocca di Isabel. Ed è qui che il confine tra verità e manipolazione inizia a sfumare. Stiamo ascoltando la sua versione dei fatti, ma quanto possiamo fidarci?
"L’ho pagato il doppio perché non facesse nulla." Questo è il cuore del monologo. Isabel non ferma solo un omicidio: lo compra. Non agisce per dovere o compassione, ma per convenienza, per salvare se stessa. E anche per proteggere Bodil, sì, ma in un modo che sottolinea il cinismo del mondo in cui questi personaggi si muovono. La legge del denaro vince su tutto, anche sulla morte. "Abbiamo inscenato l’omicidio. Abbiamo scattato una foto." La foto – vista precedentemente nel film – smette di essere una prova e diventa un trucco. La messinscena è il vero crimine: non c’è solo un inganno alla polizia, ma anche allo spettatore. "Ti ho spedito il libro di Look per farti sapere che era lui Zadkin."
Questo passaggio lega la vicenda criminale al sottotesto intellettuale e simbolico del film. Il libro di Luuk, firmato con uno pseudonimo, è la chiave d’accesso alla verità. Ancora una volta, è la narrazione che svela ciò che la realtà nasconde. E questo gesto – l’invio del libro – è il primo tentativo di comunicazione sincera da parte di Isabel. "Ho pensato che sarebbe stato meglio se fossi scomparsa." Il finale del monologo è il più delicato. Isabel non si pente di quello che ha fatto, ma ammette di aver sottovalutato le conseguenze. La sua fuga, inizialmente strategica, ha finito per diventare un fallimento affettivo. Si è resa conto, forse troppo tardi, che la sua sparizione ha fatto più male che bene.
Il monologo di Isabel è una mappa del film stesso. Racconta la trama, sì, ma la attraversa con una carica emotiva e morale che spinge lo spettatore a riconsiderare tutte le dinamiche viste fin lì.
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