Intervista a Francesca Cornelia Tosetti

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Intervista a cura di...


~ MATTEO TRICHILO

PROLOGO


Pochi giorni fa ho avuto l’immenso piacere di intervistare Francesca Cornelia Tosetti, un’artista poliedrica, dalle infinite doti. Pittrice, antiquaria, produttrice, scrittrice e scenografa. Lei preferisce definirsi pittrice e ha deciso di raccontarsi a Recitazione Cinematografica attraversando la correlazione tra arte pittorica e arte cinematografica, senza tralasciare dei suggerimenti e un forte incoraggiamento ai giovani artisti e la loro formazione.


Un intenso confronto tra arte passata e presente, tra pittura, cinema, scrittura ed illustrazione. Alla scoperta di passioni, influenze artistiche, emozioni e vita.


UNA FIGURA POLIEDRICA



M: Salve Cornelia, nel ringraziarla per la sua disponibilità partirei con la prima domanda, che cosa è per lei l’arte?


C: Grazie a voi per lo spazio dedicatomi. Ho un concetto molto ampio di arte, per me l’arte è ovunque, ho una percezione molto ampia e spesso approssimativa, non mi piace entrare dentro alle definizioni, per me l’arte va dall’espressione della natura al saper rendere unico e particolare il proprio modo di allacciarsi le scarpe. Tutto ciò che è fatto con passione e cura, ciò che porta coinvolgimento… Una forma d’espressione dell’animo umano o naturale, a prescindere dalla forma con cui viene espresso. Credo che le etichette siano terrificanti, per me chiunque faccia una cosa con enorme passione può essere considerato un artista, anche chi ritaglia con particolare cura un foglio o un articolo di giornale può essere considerato un artista in quel tipo di mansione. Poi nel canone professionale è sicuramente necessario mantenere una forma per coerenza e rispetto, ma l’arte è dappertutto e se ne può usufruire ovunque e gratuitamente.


M: Concordo pienamente con la sua visione, potremmo dunque dire che per arte si intende tutto ciò che esprima e trasmetta passione ed emozione?


C: Quello si spera sempre, l’intento è questo, ma credo sia molto importante che prima di tutto l’emozione la si provochi a sé stessi. Mi permetta di aprire una piccola parentesi, non amo il fatto che un termine bello e vasto come artista, possa essere necessariamente vincolato alle fine art. Per me il vero artista è uno completamente devoto alla sua arte, è una definizione molto sottile ed estrema, se si percorrono strade diverse ci si può identificare maggiormente in altri termini, personalmente mi sento più una pittrice che un’artista.


M: A proposito di dipinti, vorrei innanzitutto complimentarmi con lei. Ho avuto modo di vedere i suoi lavori e devo dirle che alcuni in particolare mi hanno colpito fortemente.


C: Ah! Che bello! Mi fa molto piacere.


M: Sulla base di quanto detto, quali sono le caratteristiche che secondo lei rendono unico un volto? E quali di queste caratteristiche cerca di catturare e trasmettere attraverso i suoi dipinti?


C: Sicuramente a rendere unico un volto è la storia che c’è dietro. Non devono essere necessariamente esteticamente belli, tenendo conto che sono anche una ritrattista non sempre scelgo i miei soggetti, e in quei casi non necessariamente mi incuriosisce la storia dietro. Quelli che ho scelto, li ho scelti per un qualcosa di agrodolce, una luce mista ad una tristezza presente negli occhi, una finestra che mi racconti una storia particolare che non necessariamente io debba conoscere. Voglio dire, siamo tutti storie, se dovessi scegliere i miei soggetti potrei avere l’imbarazzo della scelta, ma è una cosa molto rapida, credo che accada e basta, delle volte capita anche passeggiando, osservando delle persone incrociate per la strada che non posso fermare. C’è una luce particolare negli occhi, uno sguardo che dice di più, che mi comunichi o che mi racconti qualcosa di particolare, qualcosa in più di un bel sorriso o di una posa fotografica.


M: Potremmo dire che è come se attraverso lo sguardo si potesse catturare una profondità d’animo?


C: È un modo molto elegante di dirlo, potrei anche definirla più semplicemente come una forte curiosità. Mi chiedo cosa succeda là dentro, cosa stia pensando quella persona in quel momento, sia che si tratti d’immagini fotografiche che di persone che posano, anche se spesso le persone non amano posare. Mi incuriosisce la storia che hanno da raccontare, probabilmente creo inconsciamente dei collegamenti con le persone, forse quella luce negli occhi si allinea al mio stato d’animo.


SGUARDI & INFLUENZE


M: Abbiamo dunque capito l’importanza degli occhi, dettagli unici che trasmettono tanto delle storie e dei volti, un po' come i primi piani nel mondo cinematografico. Le chiedo, secondo lei esiste una correlazione tra arte pittorica ed arte cinematografica? E se esiste, quale correlazione vede tra un primo piano cinematografico ed i suoi dipinti?


C: Si, assolutamente! Partendo dall’arte antica, non essendoci televisione o cinema, quello che mi è sempre piaciuto è che la pittura per secoli e secoli, aldilà del contenuto o del messaggio che volesse esprimere, è stata una forma di intrattenimento come lo sono diventati poi successivamente il teatro e altre forme di intrattenimento. Se non erro, nell’800 c’era il tableau vivant, delle persone che riproducevano fisicamente con i loro corpi un dipinto famoso. Questo ci fa pensare ad un teatro fermo ed estetico, fino ad arrivare alle prime immagini del cinema muto. Per me i film del cinema muto sono sempre dipinti, qualsiasi film è composto da immagini in movimento. Io penso e credo che molti registi siano degli abili pittori, alcuni addirittura abili scultori della cinepresa. Ci sono tante opere che per me sono dipinti in sequenza. Mi verrebbe da citare Krzysztof Kieślowski, uno dei registi che ho più amato, con opere come “La doppia vita di Veronica” piuttosto che “La Trilogia dei colori”. Diciamo che associo maggiormente il cinema alla fotografia, ma sono convinta che ci sia una stretta correlazione tra la pittura e il cinema. Ci sono registi che lavorano intensamente sulla costruzione, sulla composizione, sulle luci e sui dettagli. Questi sono occhi da pittore. Lo stesso Alfonso Bergamo è un pittore della cinepresa, per citarne uno in comune. .


M: Ne approfitto per chiederle quali artisti hanno influito maggiormente nel suo percorso o che rientrano tra i suoi preferiti, sia che si tratti di pittori, registi o scrittori.


C: Beh, potrei farle una lista infinita! Potrei citare Michael Ende, Alessandro Baricco, Nick Bantock, che era più uno scritto-illustratore, uno dei primi autori di graphic novel. Adoro tutta l’arte rinascimentale e tutta l’arte che va dagli inizi del ‘800 fino al 1940 circa. Illustratori come Umberto Brunelleschi, Kai Nielsen. Se dovessi dirle dei pittori, Leonardo Da Vinci non glielo dico nemmeno! Direi Botticelli, Paolo Uccello che ha fatto uno dei dipinti più belli al mondo, “San Giorgio e il Drago”. Mi piace molto l’arte di Anna Tadema, John Waterhouse… ne avrei tantissimi. Di pseudo contemporanei direi Marlene Dumas. Mi piacciono anche diversi installatori e mi piacciono moltissimo le illustrazioni. Come dicevo, amo tutto quello che racconti una storia. L’arte romantica o storie di miti e leggende. Se mi dovessi invece soffermare sui registi potrei citare Kieślowski, Terence Malick, gli italiani Zeffirelli e Bertolucci, Alfonso Cuaròn, Del Toro.

Sono davvero troppi.


M: Mi collego al discorso e le chiedo in merito alle sue esperienze sul set come scenografa e come produttrice. In che modo queste esperienze hanno influito nel suo lavoro e nelle sue opere?


C: Credo sia il contrario. Essere una pittrice mi ha aiutata sia sul set che in produzione. Credo vada specificato. Per quanto riguarda la scenografia mi ha aiutata molto il fatto d’essere un’artista e aver ascoltato molto chi ha fatto questo lavoro prima di me. Ho avuto il piacere di incontrare dei fantastici scenografi e per quel poco che ho potuto apprendere da loro, capire lo spazio scenico. È importante ascoltare molto, ho avuto il piacere di crescere a contatto con dei registi e poter accedere alle loro riflessioni, ti da molto, sempre se ti danno il permesso di entrare nel loro mondo e nella loro visione, anche se è difficile. Sono stata produttrice di una piccola compagnia per circa 12/13 anni e non sono molto appassionata del lavoro di produzione, ciò che amavo prevalentemente era il rapporto con gli autori e l’analisi delle sceneggiature, tutto quello che concerne la nascita delle idee, perché mi risultava più facile essere maggiormente in contatto con il lavoro e le creazioni degli autori. Questo mi permetteva di entrare nei mondi delle persone che mi sottoponevano le loro storie con la necessità e la speranza di realizzare un loro sogno. Direi che gestire la produzione sia la parte più dura del percorso cinematografico, io preferisco stare dietro le quinte e soprattutto avere a che fare con i pensieri degli autori, che è sempre bellissimo, ma anche duro, perché può immaginare quante idee o sceneggiature mi abbiano mandato. Io avrei voluto far lavorare tutte le persone, anche solo per la passione e la carica che mi trasmettevano. Sapere d’essere una persona che può determinare o meno il fatto di andare avanti a me pesa molto. Cosa invece ha portato a me il cinema? Tanto disappunto. Ci sono cose bellissime, soprattutto il piacere di lavorare con gli autori, poi mi fermo perché il resto non mi compete. Ogni persona che ho incontrato mi ha dato tantissimo, questo va da sé.

Seguire un artista dalla nascita di un’idea fino alla sua realizzazione è fantastico. Chi non vorrebbe poter realizzare il sogno di qualcuno?


IL TEMPO E LE REALTÀ IRREALI


M: Prima ha menzionato il regista Alfonso Bergamo, una delle cose che mi hanno maggiormente incuriosito durante il mio primo incontro con Alfonso è stata la sua ossessione per il tempo. Questo mi porta a chiederle quale sia il suo rapporto con il tempo e quali similitudini vede nella gestione o manipolazione del tempo tra arte pittorica e cinematografica.


C: Il mio rapporto con il tempo è che ci danzo, e mi fermo qui. Non ho un’idea molto precisa o definita del tempo, lo vivo come una danza primordiale, nel senso che preferisco lasciarlo scorrere libero e non analizzarlo. Ho avuto il piacere di collaborare con vari autori, come lo stesso Alfonso Bergamo, che mi hanno portato a riflettere su determinati temi per seguire i concetti degli stessi, ma non l’ho mai analizzato per me stessa. Per quanto riguarda la correlazione tra le due forme d’arte ed il tempo, credo riguardi maggiormente l’età. Io non ho mai rinunciato all’essere ragazzina e questo mi lascia la mia libertà mentale, mi permette di costruire e comprendere dei frammenti. Per facilitare la cosa potremmo definire il cinema un quadro in movimento, tutte le forme d’arte che creano un’immagine visiva o mentale, sono la nostra eredità, la traccia del nostro tempo, come un archivio straordinario che ci permette di catturare degli istanti e metterli a disposizione di tutti, per poi continuare ad assaporarli nel tempo. Sono lo specchio della nostra esistenza, manifestazioni dell’essere umano sulla terra, sono tutte storie, quelle belle e quelle atroci. Cosa proviamo? Cosa ci colpisce? Sono storie. Per me anche Dio è uno scrittore. Questo mondo umano e la natura sfiorano il divino. Noi siamo divini? Non credo, ma c’è una magia nell’esistenza, a me piace chiamarlo un sentire, una percezione. Quello che non mi piace dell’essere umano seppur può essere motivata è la ferocia. Oggi la vedo così, un domani potrei cambiare idea, credo che tutto quello che viene creato artisticamente dall’origine dei tempi ad oggi, sono storie raccontate a cui abbiamo accesso. Ogni essere vivente è una storia e l’arte in generale ci dà la possibilità di vivere l’esperienza su questa terra o su altre dimensioni e condividerla con altre persone. È condivisione.


M: Quanto detto mi porta a pensare alla teoria olografica dell’universo di David Bohm, secondo la quale siamo tutti parte di un unico insieme.


C: Io preferisco vivere di emozioni che di materia, al netto delle problematiche che viviamo oggi. Per esempio, io nutro una grande ammirazione per le nuove generazioni, mi rassicurano perché le vedo più avanti rispetto alla mia, hanno un sentire più forte, una maggiore consapevolezza. Nel marasma dei giorni nostri guardo ai giovani artisti e posso percepire le loro difficoltà, però mi sembrano un grande spettacolo. Vivere nell’era digitale deve essere difficoltoso.


BISOGNA VIVERE


M: A proposito di era digitale, sarei curioso di sapere quale è il suo rapporto con il web, con i social e secondo lei come possono influenzare un giovane artista… Se li valuta uno strumento utile per emergere o se con il tempo rischiano di influenzare negativamente un prodotto.


C: Il mio rapporto con il web è terrificante (ride). Mi è utile e ovviamente per lavoro devo farci riferimento, ma non voglio dipenderne. Finché potrò scegliere di fare questo, prima che l’intelligenza artificiale possa distruggere tutto ciò che è spontaneo, credo vada bene, a meno che non si trasformi in dipendenza. Se potessi rivolgermi ad un giovane artista gli suggerirei d’essere indipendente e di fare gavetta, di non soffermarsi ai soli mezzi che gli vengono messi a disposizione. Sono felice che si possa fare arte digitale, è fantastico e se piace è giusto andare avanti. Si sono aperte molte possibilità, ma non bisogna diventare dipendenti dal web o dai social. Come tutte le cose nella vita hanno un rovescio della medaglia e credo sia necessario trovare un equilibrio, ognuno a modo proprio. Usufruiscine, ma ad un artista che fa prevalentemente arte digitale direi anche di uscire, sedersi su una panchina e disegnare i passanti, così come ad uno scrittore direi di scrivere sul computer, ma anche di uscire e scrivere guardando il cielo. Perché è bello viversi la vita, andare fuori e stare in mezzo alla gente, osservarla. È importante seguire il proprio sogno con o senza web. Guardate il mondo, il mondo può essere anche feroce, ma esiste e va vissuto, anche per un semplice scambio di idee. È importante guardarsi negli occhi, farsi una risata e magari impiastrarsi la faccia con un cucchiaino di panna davanti ad un caffè.

Non bisogna rinunciare alla gavetta, se pensassi alle mie esperienze potrei dire che c’è una differenza tra il dipingere un paesaggio innevato da un’illustrazione digitale e l’andare fuori a dipingerlo al freddo in mezzo alla neve, incide anche sul tratto del pennello. Ciò che vivi in quel momento influisce sulla tua formazione e la tua arte, si scrive veloce sui tasti ma non potranno mai riflettere il tratto di una penna e dell’emozione provata da chi sta scrivendo. Bisogna farsi stupire dalla vita. Oggi ci sono tanti mezzi a disposizione ma è anche più difficile emergere perché c’è di più. Una volta ci si ribellava alla critica, oggi abbiamo gli haters, ma la critica si è persa, quasi non esiste più. Bisogna vivere, perché non si sa mai cosa può succedere. Fate tutto, usate il web e studiatelo ma fatevi anche stupire dalla vita. Ricordatevi che basta davvero poco, potreste scambiare due parole con una persona e dar vita ad un’idea.


M: Potremmo definirlo uno sliding door? Come quando si dice romanticamente che basta uscire e incrociare per caso uno sguardo che ci cambia la vita.


C: Esatto! Forse è questo, però bisogna ricordarsi che la conoscenza richiede tempo, ed è una cosa meravigliosa, anche perché una prima impressione può essere sbagliata, quanto volte ci sbagliamo? Altrimenti cosa facciamo? Nasciamo e moriamo? Ecco, è questo che forse mi spaventa, il bruciare i tempi, e gli errori servono, spesso gli errori ci portano al successo o viceversa. Non esiste un manuale di vita, ognuno ha la propria storia con tutte le varianti possibili ed immaginabili e ogni storia e ogni essere umano hanno delle straordinarietà uniche e irripetibili. Forse il privilegio di oggi è quello di poter scegliere e avere un’ampia scelta. A chi non ha questo privilegio gli auguro di arrivare ad avere la possibilità di scelta o di crearsi tali opportunità.


LE ULTIME DOMANDE


M: A proposito di scelte, lei ha vissuto la sua vita tra Italia ed Inghilterra, quali sono le differenze che ha trovato nella cultura anglofona e come hanno inciso su di lei?


C: Ho avuto la fortuna di vivere il periodo d’oro dell’Inghilterra e mi ha dato tantissimo. All’epoca una cosa che mi colpì molto è che li non importava chi tu fossi, valevi comunque la pena. E questo è tanto. C’era meritocrazia, ti osservavano e ti offrivano le opportunità. Ma questo è più facile quando un paese ha un’economia forte. Ho iniziato giovanissima e lavoravo tantissimo. Avevamo a disposizione gallerie e musei. C’era una grande serietà e tanta professionalità, basate soprattutto sulle connessioni umane, con una grande predisposizione a superare le sfide.


M: Cornelia, io la ringrazio e le dico che è stato un piacere potersi confrontare con lei. Le chiedo in chiusura una cosa semplicissima. Le chiedo se ne ha voglia, di citarmi un libro, un film ed un artista preferito o irrinunciabile.


C: Certamente! Come libro “La Storia Infinita” di Michael Ende, il libro più vero che sia mai stato scritto. Il film direi “Memorie di una geisha”, che tra l’altro è anche un libro molto bello. Una storiona. Sull’artista non saprei rispondere, dovrei pensarci… penso che il mio artista preferito sia Madre Natura.


M: Penso sia un modo bellissimo di concludere. La ringrazio per il tempo dedicatomi.


C: Grazie a lei, spero possa essere la prima di una lunga schiera di interviste fighe!


THE END

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