Maybe Baby: analisi dialogo Cecilie e Petersen

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~ LA REDAZIONE DI RC

Maybe Baby

Maybe Baby, una commedia danese del 2023 disponibile su Netflix, che usa l’umorismo per scavare dentro una questione delicata: cosa succede quando il desiderio di avere un figlio si scontra con il caos imprevedibile della realtà? Cecilie e Andreas sono una giovane coppia ordinata, affettuosa, con un’idea chiara su cosa significhi costruire una famiglia. Liv e Malte, dall’altro lato, sono meno convenzionali, più caotici, ma uniti da un affetto profondo e da un’energia quasi infantile. Entrambe le coppie si ritrovano nello stesso luogo, la clinica per la fertilità, spinte dallo stesso desiderio: diventare genitori.

Il punto di svolta arriva quando qualcosa va storto durante il processo di fecondazione: un errore burocratico, tecnico, o forse semplicemente umano, fa sì che gli embrioni vengano scambiati tra le due coppie. Ed è qui che inizia il cuore del film. Quello che potrebbe sembrare l’inizio di un dramma giudiziario prende invece la strada della commedia: una di quelle commedie dove i personaggi non sono mai macchiette, ma individui che si ritrovano a fare i conti con qualcosa di troppo grande, troppo assurdo, per essere affrontato senza riderci sopra almeno un po’.

Il film prende la situazione iniziale – lo scambio di embrioni – e la usa come lente per osservare da vicino quanto possa essere fragile e insieme potente il concetto di “famiglia”. I personaggi si trovano costretti a farsi domande che di solito si tengono lontane: Cosa significa davvero essere genitori? È il sangue che conta? O l’intenzione, l’impegno, l’amore? Le dinamiche tra le due coppie si complicano, perché la situazione costringe ognuno a guardarsi dentro. Cecilie si confronta con una visione quasi idealizzata della maternità, Andreas è costretto a ridefinire il proprio ruolo di uomo e futuro padre. Liv, più istintiva, più irruenta, si trova a proteggere qualcosa che non sa nemmeno se vuole davvero. Malte è quello che forse cresce più di tutti, costretto a passare da eterno “Peter Pan” a figura paterna in circostanze imprevedibili.

Il dialogo

Cecilie: Mille Dinesen

Petersen: Katinka Lærke Petersen

Cecilie: Prima di iniziare il trattamento di fertilità ero rimasta… incinta. Andres era al settimo cielo, ma… ma poi l’ho perso. Il medico disse… che era normale, che dovevamo riprovare. Poi ne ho perso un altro. E un altro. E un altro. L’ultima volta ero a metà. E non sono più rimasta incinta. Nessuno riusciva a dirmi cosa fosse andato storto. Ma è vero. Hai ragione. Sono un pò vecchia. Avrei dovuto iniziare molto prima.  

Petersen: Non potevi sapere che sarebbe stato così difficile. 

Cecilie: A volte penso solo… che forse non merito di diventare madre. 

Petersen: Certo che meriti di diventarlo. Ok? E’ così. Forse tutto ciò di cui avevi bisogno era del mio giovane e fresco utero da svitata.

Petersen  ridacchia

Cecilie: E magari sarai una mamma migliore perché sei un pò più vecchia, non credi? Mia madre aveva 22 anni quando mi ha avuta,e  non aveva la minima idea di nulla.

Cecilie: E tuo padre? 

Petersen: Non l’ho mai conosciuto. Se ne andò quando avevo 2 anni. non credo che lei sia mai stata brava con gli uomini. Neanche io pensavo di esserlo.

Cecilie: Ora hai Malthe.

Petersen: O almeno spero. Non so, ora mi sento come se avessi perso me stessa. Non riesco quasi più a stare nel mio corpo.

Cecilie: Ci scambiamo? Sono così stanca di essere questa isterica…

Petersen: Stronza? 

Cecilie: Vuoi chiamarmi così?
Petersen: Alcuni ti ci chiamerebbero di sicuro. No… non sei stronza, ti comporti come tale. 

Cecilie: Mi sono spaventata. Nessuno capisce quanto sia dura. 

Petersen: No. 

Cecilie: Mia sorella, per esempio. Credo che abbai fatto sesso due volte,e  ha subito avuto due figli. E io ho affrontato una inseminazione infernale e una gravidanza incasinata. Mi sento incredibilmente…

Petersen: Tradita.

Cecilie: Esatto, tradita. E sola. Andreas è un ottimo marito e fa del suo meglio ma…

Petersen: Forse ci capisce solo chi ci è passato. 

Cecilie: Ah. Mi si sono rotte le acque.

Petersen: Ora? 

Analisi dialogo

Fino a questo momento Maybe Baby aveva giocato con gli equivoci, con le dinamiche di coppia, con l’assurdità di una situazione che coinvolge embrioni scambiati e identità familiari confuse. Ma in questa scena il tono cambia: Cecilie e Petersen si trovano in uno spazio “vuoto” – quasi simbolico – dove le maschere cadono. Non è più la coppia che litiga, non sono più le donne che competono o si confrontano a distanza: sono due corpi, due storie, due fragilità che si parlano senza filtri.

Il dialogo si apre sul monologo di Cecilie che qui trova una risposta. Petersen, con tutta la sua irriverenza e goffaggine emotiva, risponde a Cecilie non con una soluzione, ma con una forma di presenza che è, in fondo, la cosa più difficile da offrire. “Non potevi sapere che sarebbe stato così difficile." Questa frase è semplice, quasi banale, ma arriva come una carezza. È la prima volta che qualcuno smonta la narrativa colpevolizzante di Cecilie. Petersen non nega la sofferenza, ma le toglie peso. Le dice: non è colpa tua. "A volte penso solo… che forse non merito di diventare madre." Cecilie arriva al cuore della sua ferita. Il verbo meritare è l’indizio più importante: per lei la maternità non è più una possibilità biologica, è diventata una questione morale. E quando la maternità diventa qualcosa che si merita, allora ogni fallimento si trasforma in una sentenza personale.

"Forse tutto ciò di cui avevi bisogno era del mio giovane e fresco utero da svitata."

Petersen sdrammatizza. È una strategia sua, un modo per alleggerire senza scappare. La risata non è una fuga: è una forma di complicità, e un modo per non far sentire Cecilie nel ruolo della vittima. "E magari sarai una mamma migliore perché sei un po' più vecchia, non credi?" Qui il ribaltamento è totale. Petersen restituisce a Cecilie una narrazione diversa: l’età non è un limite, è un valore. L’esperienza, l’attesa, il dolore… tutto può trasformarsi in qualcosa di utile, di forte, di umano.

"Non riesco quasi più a stare nel mio corpo." Petersen si apre. Dopo aver fatto la “forte”, confessa la propria fragilità. Una frase del genere – quasi fisica, viscerale – esprime quello che tante donne provano durante la gravidanza o nei momenti di trauma emotivo: l’alienazione da sé stesse. "Mi sento incredibilmente… / Tradita. / Esatto. Tradita. E sola." Questa è la svolta. Cecilie mette finalmente in parole la sensazione più intima di tutto il film: essere state tradite dal proprio corpo, dal destino, dalla biologia. E Petersen è lì, pronta a raccogliere il vuoto che la frase lascia dietro di sé. Il fatto che indovini la parola prima che Cecilie la dica è una forma di empatia pura, non costruita, non spiegata: è comprensione autentica.

"Forse ci capisce solo chi ci è passato." È il punto di riconoscimento. Non ci sono consigli, non ci sono morali. Solo la consapevolezza che certi dolori non si possono spiegare. Si possono solo condividere. "Ah. Mi si sono rotte le acque." / "Ora?" Il dialogo si chiude con un cambio di ritmo perfetto. La commedia rientra, ma non è evasione. È come se il film dicesse: va bene, adesso si va avanti. Anche nel dolore, si va avanti.

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