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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Renee Chester Wilson, è un momento di particolare densità emotiva e ambiguità nel film Mea Culpa. È un passaggio che funziona su più livelli: confessione personale, vendetta trattenuta, memoria artistica e resoconto psicologico. Ma soprattutto: è un atto performativo, una messa in scena verbale che tiene incollato chi ascolta e rivela molto di più di quanto sembri.
Rene racconta la sua relazione con Zyair Malloy, l’artista accusato di omicidio al centro del film, e lo fa con una lucidità disturbante. Il suo discorso è una spirale: parte da una riflessione sul valore dell’arte e finisce in una zona intima e quasi spettrale, dove la memoria si mescola all’ossessione.
MINUTAGGIO: 1:20:27-1:23:50
RUOLO: Renee Chester Wilson
ATTRICE: Angela Robinson
DOVE: Netflix
INGLESE
I wanted to share with you who he is. Look at these walls. There's Basquiat, Warhol, Jon Moody, Sam Gilliam, Mark Bradford, and Derrick Adams. He didn't belong on these walls. Those bitches out there want me to get rid of all of his paintings. Not a chance. He's gonna make me rich one day. Well, rich er. I helped him. And as soon as things started going well for him, it was bye-bye, old broad. The world awaits. You can't understand nothing. You're not even 50. You have no idea No, he was never violent. But that's not how a snake works. A snake is never violent when they're stalking their prey. It's only when they get right into striking distance that they can become very violent. Was he ever within striking distance with you? No. He got what he wanted, and he was gone. He charmed me. I told him I was angry with my ex, and he sat me down in front of an easel and made me paint. He said, "Close your eyes, and tell me what color you feel." So I said, "Blue." And he made me paint waves. Then he asked me, "Are you angry?" And I said, "Yes." And then he said, "Well, that feels like red to me." So there I was with this canvas of blue waves and red lines. It was a mess. And you know what he did? No, I don't. He finished it. And he put it on the canopy over the bed. And one morning, I looked up, and there was my face. Bigger than life. I was the canvas that he played with until it was done. But there are many canvases. Many layers, darling. Look at your face.
ITALIANO
Si tesoro, volevo parlare con te di lui. Di chi è davvero. Guarda queste pareti. C’è Basquiat, Warhol, jon Moody, Sam Gilliam, Mark Bradford e Derek Adams. Lui non potrà mai competere con loro. Quelle stronze lì fuori vogliono che mi sbarazzi dei suoi dipinti, neanche per sogno. Mi faranno arricchire un giorno. Beh, ecco… Arricchire di più. Io l’ho aiutato. E appena le cose gli sono cominciate ad andare bene ha detto: “Bye Bye, vecchia bacucca”. Il mondo lo aspettava. Tu non sai niente, non hai neanche cinquant’anni. Non ne hai idea. Avrei tanto da dire, tesoro, tu cosa vuoi sapere? No, lui non è mai stato violento. Ma non è così che agiscono i serpenti. Un serpente non è mai violento quando insegue la sua preda. E’ soltanto quando si trova alla giusta distanza che può diventare davvero violento. Mi ha ammaliata, ho detto che ero arrabbiata con il mio ex e lui mi ha fatto mettere seduta di fronte e a una tela, e mi ha fatto cominciare a dipingere. Mi ha detto: “Chiudi gli occhi e dimmi a quale colore stai pensando” E io gli ho detto… “Il blu” E lui mi ha fatto… dipingere delle onde. Poi mi ha domandato… :“Sei tanto arrabbiata?” E io gli ho detto di sì. Lui ha risposto: “Allora io andrei più sul rosso” E mi sono ritrovata lì. Di fronte a una tela piena di onde blu e di linee rosse. Era un disastro. E sai cosa ha fatto? Lo ha finito lui, e lo ha appeso sul soffitto, in alto, sopra il letto. E la mattina ho guardato in alto e ho visto la mia faccia, più grande di quella tela. C’ero io su quella tela. Mi aveva dipinto tutta la notte. Ma ci sono molte altre tele. Molti altri strati, tesoro. Guarda che bel faccino, ahaha.
La trama di "Mea Culpa" si muove su due binari paralleli: da un lato la ricerca della verità in un caso giudiziario carico di ombre, dall'altro il disfacimento progressivo di una famiglia borghese americana in un contesto di potere, ambizione e ferite non rimarginate. Un legal drama con dinamiche da thriller psicologico, ma anche un ritratto intimo del senso di colpa, delle pressioni familiari e della discesa emotiva di una donna che cerca di mantenere il controllo mentre tutto intorno a lei vacilla. Mea è una donna profondamente divisa tra i suoi doveri professionali, le aspettative della madre e di una famiglia “di facciata”, e la crescente consapevolezza che la giustizia non sempre coincide con la legge. In questo senso, il film gioca fin dal titolo con l’ambiguità: “Mea culpa” non è solo una confessione latina, ma una specie di grido silenzioso che accompagna tutto il suo percorso.
Zyair è il classico personaggio che destabilizza. È carismatico, forse troppo, ma anche fragile nei momenti giusti. Il film ci chiede: può un uomo che ha delle zone d’ombra essere innocente? E può un avvocato difendere qualcuno senza lasciarsi trascinare dalle sue emozioni?
Il rapporto tra Mea e Zyair diventa sempre più difficile da definire. Lei si sente attratta dalla sua causa, ma anche da lui. È qui che il film si diverte (e ci mette in difficoltà): cosa succede quando un caso non è più solo un caso?
Uno degli aspetti più interessanti di Mea Culpa è come mette in scena la famiglia come sistema di potere. Azalia, la madre di Mea, è una figura dominante, quasi machiavellica, che sembra più preoccupata delle apparenze che del benessere della figlia. Kal, il marito, è un uomo in crisi, che si rifugia in scelte autodistruttive e che non regge il confronto con la forza (e la crescente autonomia) della moglie.
Poi c’è Ray, il cognato, che rappresenta il potere istituzionale e politico, ma anche l’ipocrisia. Il suo interesse a perseguire Zyair sembra personale, ma è anche strategico: un’occasione per farsi un nome nella corsa alla poltrona di sindaco. Il film suggerisce che dietro la giustizia si nascondono ambizioni, vendette e compromessi.
“Guarda queste pareti. C’è Basquiat, Warhol, Jon Moody, Sam Gilliam, Mark Bradford e Derek Adams.” Rene sta costruendo un contesto. Le pareti di casa sua sono un museo personale: selettivo, colto, simbolico. Quello che dice in modo implicito è: “Io so riconoscere l’arte vera”. E Zyair, nella sua opinione, non è a quel livello. Questo incipit serve a inquadrare il suo punto di vista come autorevole, ma anche come ferito. È il tono di chi ha vissuto nell’orbita di un talento e ne è uscita bruciata.
“Lui non potrà mai competere con loro [...] Mi faranno arricchire un giorno. Beh, ecco… Arricchire di più.” C’è un doppio gioco continuo tra disprezzo e attaccamento. Rene non vuole bruciare i suoi quadri, anzi li considera un investimento. Ma nel farlo sminuisce Zyair, lo riduce a una pedina. È un modo per esorcizzare la delusione: se non può più amarlo, può almeno sfruttarlo. È un gesto crudele, ma profondamente umano.
“Un serpente non è mai violento quando insegue la sua preda. È soltanto quando si trova alla giusta distanza che può diventare davvero violento.” Questa è la parte più inquietante del monologo. Qui Zyair viene descritto come manipolatore emotivo, calcolatore, invisibilmente pericoloso. Non c'è bisogno che alzi la voce o che faccia del male in modo diretto. Il suo potere è più subdolo: sta nell’effetto che ha sull’altro. Il serpente non morde subito. Seduce, si avvicina, poi colpisce.
“Chiudi gli occhi e dimmi a quale colore stai pensando” [...] “Mi sono ritrovata lì. Di fronte a una tela piena di onde blu e di linee rosse.” Qui il monologo cambia tono. Diventa un flashback intimo, tenero, quasi poetico. Il ricordo della pittura è descritto come un momento di vulnerabilità e connessione autentica. Ed è questo che rende il monologo così potente: non è un’accusa lineare, ma una testimonianza contraddittoria, viva, piena di rimpianto.
Zyair non è mai stato violento con lei — eppure l’ha marchiata. Le ha dato un’esperienza che non riesce a dimenticare, nel bene e nel male. La tela sopra il letto è una metafora di controllo, ma anche di riconoscimento. L’ha vista più di quanto lei stessa si vedesse. E questa è una delle forme più ambigue di potere che una persona possa avere su un’altra.
Il monologo di Renee è un piccolo film. In pochi minuti, ci racconta un’intera relazione, ma anche una teoria dell’arte e dell’amore: l’arte può curare, ma può anche ferire; l’amore può elevare, ma anche consumare. Zyair emerge da queste parole come un uomo indecifrabile: né del tutto innocente, né semplicemente colpevole.
Rene, dal canto suo, non è solo una testimone: è una narratrice inaffidabile, ma proprio per questo affascinante. È coinvolta, è ferita, è ancora dentro la tela. E questo rende il suo monologo un pezzo essenziale per capire non solo Zyair, ma tutto il sottotesto emotivo del film.
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