Il Monologo di Mercuzio sulla Regina Mab: Disincanto in Romeo e Giulietta

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo nel cuore del primo atto di “Romeo e Giulietta”, e Romeo è ancora prigioniero dell’idea dell’amore romantico, perso dietro Rosalina. Mercuzio, amico fidato e figura libera da convenzioni, sta cercando di scuoterlo, di riportarlo con i piedi per terra, ma non lo fa con un discorso diretto. Lo fa raccontando — quasi vomitando — un’immaginaria filastrocca visionaria: il discorso sulla Regina Mab, una minuscola fata che visita i dormienti portando sogni che riflettono i loro desideri più nascosti.

In superficie sembra un gioco verbale, un flusso di immagini buffe e leggere, ma sotto c’è una visione cinica e perfino angosciata della realtà: i sogni non sono altro che proiezioni distorte, illusioni, menzogne. E chi sogna troppo — come Romeo — rischia di perdersi.

Mercuzio, Romeo, e la regina Mab

Da te è stata la Regina Mab, che è la levatrice delle fate! Non è più grande della pietra che sta sull’anello dell’assessore comunale. 

Arriva sulla punta del naso di chi dorme, trainata da una squadra di atomi.

Il suo cocchio ha i raggi delle ruote fatti con lunghe gambe di ragno, il mantice è fatto con ali di cavalletta, i finimenti con umidi raggi di luna; la sua frusta è un ossicino di grillo, lo sverzino un filo d’erba. Il suo cocchiere è una zanzarina con un mantello grigio, più piccolo della metà di uno di quei bruchi tondi che si annidano nelle dita di quelle ragazze oziose. Il cocchio, poi, è un guscio di nocciola lavorato dallo scoiattolo legnaiolo o dal vecchio tarlo che, è risaputo, sono da sempre i carrozzieri delle fate. 

E così, una notte dopo l’altra, la regina Mab galoppa attraverso il cervello degli amanti che subito sognano l’amore! Galoppa anche sulle ginocchia dei cortigiani perché sognino di inchini, sulle dita degli avvocati perché sognino di parcelle o sulle labbra delle dame perché sognino di baci! Ma la perfida Mab, nauseata dal loro alito dolciastro per i troppi dolciumi, gliele guasta quelle labbra, riempiendole di bolle. 

Alle volte galoppa sul naso di un uomo di corte perché sogni di una supplica, oppure solletica con una coda di porco il naso di un curato perché sogni di riscuotere un’altra decima. Altre volte, invece, trotta sul collo di un soldato e questo sogna di nemici sgozzati, di brecce e di imboscate, di spade di Toledo, di botti fonde cinque braccia, e poi gli fa rullare un tamburo negli orecchi, per svegliarlo di soprassalto e dopo avergli fatto tirare due o tre bestemmie lascia che si riaddormenti.

E’ proprio quella Mab che di notte intreccia le criniere dei cavalli e riduce i crini fatali in peli luridi e unti che se si sciolgono portano sciagura. Lei è quella strega che quando le giovani vergini stanno supine, salta loro sulla pancia perché imparino come farsi cavalcare!

Romeo e Giulietta

“Romeo e Giulietta” è una delle tragedie più note di William Shakespeare, scritta intorno al 1595, e da allora è diventata uno dei testi fondamentali del teatro occidentale. Ma ridurla a una “storia d’amore tragica” è fare un torto alla ricchezza e alla stratificazione della sua trama. Siamo a Verona, in un’Italia rinascimentale che Shakespeare dipinge come un luogo carico di tensione sociale, onore familiare e pulsioni giovanili. Al centro della scena ci sono due famiglie nobili rivali: i Montechi e i Capuleti. Il conflitto tra le due casate è così radicato da diventare una costante nella vita quotidiana della città.

Romeo Montecchi è un ragazzo che inizialmente si strugge per Rosalina, un amore non corrisposto. È qui che Shakespeare gioca con un primo cliché: l’amore malinconico e idealizzato, che però viene subito spazzato via. Infatti, appena Romeo partecipa di nascosto a una festa dei Capuleti, incontra Giulietta, e da quel momento la storia cambia binario. Quello che prima sembrava amore adolescenziale diventa qualcosa di più immediato e pericoloso. Romeo e Giulietta si innamorano al primo sguardo. Ma l’ironia tragica è che scoprono solo dopo l’identità dell’altro. Lui è un Montecchi, lei una Capuleti. Due nomi che, nella loro Verona, significano automaticamente separazione e conflitto.

La storia si muove con una velocità quasi cinematografica. Nel giro di pochi giorni, Romeo e Giulietta passano dall’innamoramento al matrimonio segreto, organizzato con l’aiuto di Fra Lorenzo, una figura che cerca disperatamente di portare pace tra le due famiglie. Ma gli eventi prendono una piega incontrollabile.

Tebaldo, cugino di Giulietta, sfida Romeo a duello. Romeo rifiuta, ormai imparentato con lui, ma Mercuzio, amico di Romeo, lo affronta e viene ucciso.

Romeo, accecato dal dolore e dalla rabbia, uccide Tebaldo. Questo gli costa l’esilio da Verona.

Giulietta, nel frattempo, viene promessa in sposa a Paride, un giovane nobile gradito alla famiglia.

E qui entra in gioco uno dei punti chiave della tragedia: il tempo e la comunicazione sbagliata.

Fra Lorenzo propone a Giulietta un piano: bere un filtro che la farà sembrare morta per 42 ore, così da evitare il matrimonio e poter poi fuggire con Romeo. Ma la lettera che dovrebbe spiegare il piano a Romeo non arriva. Romeo riceve solo la notizia che Giulietta è morta. Decide allora di andare al sepolcro dei Capuleti, dove trova Paride, lo uccide, e poi si toglie la vita con un veleno.

Quando Giulietta si risveglia e trova Romeo morto, si trafigge con un pugnale. Le due famiglie, di fronte ai corpi dei loro figli, decidono di porre fine alla faida.

Shakespeare gioca in modo sottile con l’impulsività giovanile. I due protagonisti non si amano con lentezza o misura, ma si buttano nell’amore come fosse una corsa a perdifiato contro il mondo adulto. La loro è una storia d’amore e disobbedienza, ma non c'è nessuna idealizzazione: le loro scelte portano conseguenze durissime.

Il dramma si regge tutto su una serie di ritardi, errori di comunicazione, coincidenze mancate, che fanno da cornice a un sistema sociale rigido, dove il nome che porti e la casata a cui appartieni contano più dei tuoi sentimenti.

In questo senso, la tragedia diventa anche il fallimento di una città intera, che non sa ascoltare, non sa cambiare, e che assiste impotente a un destino che sembrava evitabile.

Analisi Monologo

Il monologo parte con un tono quasi da favola: “Da te è stata la Regina Mab, che è la levatrice delle fate!” È una creatura minuscola, quasi invisibile, con un carro fatto di elementi naturali minuscoli: gambe di ragno, ali di cavalletta, ossicino di grillo. C’è una precisione ossessiva in questa descrizione, come se Shakespeare stesse costruendo una miniatura barocca, un mondo intero fatto di dettagli infinitesimali. Ma più si va avanti, più il tono cambia.

Mab non porta sogni neutri o innocenti: porta sogni che confermano i vizi di chi dorme. L’amante sogna l’amore, il cortigiano sogna inchini, l’avvocato sogna parcelle, il curato sogna decime, il soldato sogna violenza. In ognuno di questi esempi, Mercuzio sta dicendo una cosa chiara: i sogni non ci rendono migliori, ci inchiodano a ciò che siamo. Non rivelano verità, amplificano desideri bassi o violenti.

E poi la svolta. La Mab si fa sempre più inquietante, quasi sadica. Non solo rovina le labbra delle dame, ma: “Lei è quella strega che quando le giovani vergini stanno supine, salta loro sulla pancia perché imparino come farsi cavalcare!” Qui il monologo esce completamente dai binari della favola. C’è un’intrusione del corpo, del sesso, della violenza, che rompe il tono giocoso e lo trasforma in qualcosa di cupo. Mercuzio non crede nell’amore puro, non crede nell’innocenza dei sogni. Vede il desiderio come un cavallo imbizzarrito, qualcosa che possiede, che cavalca, che contamina. È una visione materialista e amara, e soprattutto, è un attacco diretto alla visione idealizzata dell’amore che Romeo abbraccia.

Anche a livello ritmico, il monologo è frenetico. Shakespeare costruisce frasi lunghe, quasi senza respiro, con un accumulo di immagini che sfiora il delirio. Mercuzio sembra preda delle sue stesse parole: inizia a raccontare per gioco, ma qualcosa si libera in lui — un’inquietudine che non riesce a controllare.

Conclusione

Il monologo della Regina Mab è il ritratto poetico del disincanto. Mentre Romeo è ancora convinto che l’amore sia un destino scritto nelle stelle, Mercuzio ci dice che è un sogno sporco, un riflesso dei nostri desideri più banali o più oscuri. E non è un caso che sia proprio Mercuzio il primo a morire nella tragedia: è un personaggio che non appartiene né al mondo degli amanti né a quello degli adulti, e la sua lucidità lo rende tragicamente fuori posto.

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