Mobland: Il monologo di Conrad e la tragedia del padre

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

In Mobland, i monologhi sono confessioni che rompono il silenzio tra i personaggi e la loro coscienza. Quando Conrad Harrigan, interpretato da Pierce Brosnan, pronuncia questo monologo, ha appena perso il primogenito in modo brutale per mano della mafia messicana. L’uomo che ascoltiamo non è il boss arrogante e sboccato che abbiamo conosciuto nei primi episodi. È un padre. Uno che si sta aggrappando disperatamente al ricordo del giorno in cui la vita ha preso il sopravvento sulla morte. Solo che stavolta la morte ha vinto.

E' nato un principe

STAGIONE 1 EP 8

MINUTAGGIO: 00:15-2:30

RUOLO: Conrad Harrigan

ATTORE: Pierce Brosnan

DOVE: Apple Tv

ITALIANO

Pioveva, il giorno in cui è nato. Ero seduto in corridoio, fuori dalla stanza di tuo padre. Guardavo la levatrice andare e venire. Me la sono fatta sotto come mai prima, o anche dopo. E tu eri dietro quella porta, ansimavi e urlavi come un cervo ferito. Poi all’alba ha smesso di piovere, e ho sentito quel suono sacro. Un esserino appena venuto al mondo. Strillava, con tutto il fiato che aveva, e allora sono entrato nella stanza. Avevo la gola secca, mi tremavano le ginocchia. E la levatrice mi ha portato mio figlio. Poi sono uscito in giardino. Era tutto bagnato dalla pioggia. E l’ho tenuto in braccio, sotto la luce dell’alba. E ho gridato a tutti i vicini: “Udite udite, è nato un nuovo principe! Brendan, il navigatore. Leader di uomini.”

Mobland

"Mobland", serie originale Paramount+ diretta nei primi episodi da Guy Ritchie, è una gangster story tutta britannica che si muove lungo i binari del revenge drama, immersa fino al collo nel sangue, nei tradimenti e nella lotta di potere tra clan rivali. Dieci episodi che disegnano una mappa di relazioni criminali sempre più soffocanti, con personaggi che sembrano scolpiti nel granito: violenti, impulsivi, disillusi, eppure umanamente fragili.

La storia si sviluppa in una Londra plumbea, dove la criminalità organizzata è trattata come una vera azienda familiare. Il clan degli Harrigan, che controlla il traffico di droga nella capitale, è retto formalmente da Conrad Harrigan (Pierce Brosnan), ma la vera mente dietro le operazioni è Maeve Harrigan (Helen Mirren), sua moglie, manipolatrice lucida e calcolatrice. Attorno a loro si muove una famiglia disfunzionale, con figli inadatti al comando (Brendan e Kevin) e un nipote, Eddie, pronto a far saltare ogni equilibrio.

Tom Hardy interpreta Harry Da Souza, il risolutore, il "fixer" del clan Harrigan. È lui che prende decisioni pratiche, è lui che ripulisce il caos, risolve le crisi, neutralizza le minacce. Lavorando nell’ombra, Harry è il tipo che incute rispetto con uno sguardo, senza bisogno di alzare la voce. Il suo ruolo è centrale non solo nella dinamica criminale, ma anche nell'equilibrio narrativo: senza Harry, Mobland perderebbe il suo asse.

Eppure Harry non è un personaggio monolitico. La sua vita personale racconta un altro tipo di conflitto. Con Jan, la moglie (interpretata da Joanne Froggatt), condivide una relazione consumata dal silenzio, dai compromessi e dall’abitudine al lusso ottenuto col sangue. Una donna consapevole, sì, ma ormai stanca di convivere con la doppia vita del marito.

Il punto di rottura arriva con un gesto sconsiderato: il nipote Eddie, viziato e instabile, uccide un uomo in un nightclub, di fronte al figlio di Richie Stevenson, boss rivale che controlla lo spaccio di fentanyl. Da qui parte una faida spietata, costruita come un domino che crolla pezzo dopo pezzo: parenti, amici, alleati, tutti coinvolti nel ciclo della vendetta.

Analisi Monologo

Pioveva, il giorno in cui è nato.” L’apertura è cinematografica. La pioggia fa da sfondo, ma più che un contesto meteorologico, è un riflesso dello stato d’animo: agitazione, paura, attesa. L’immagine di Conrad fuori dalla stanza del parto è quella di un uomo vulnerabile, completamente fuori dal suo elemento. La levatrice che “va e viene” diventa un metronomo dell’ansia. E la paura (“me la sono fatta sotto”) smonta ogni idea di mascolinità tossica che ci si potrebbe aspettare da un capofamiglia del crimine. Ansima e urla come un cervo ferito.” L’immagine è spiazzante. Non c’è dolcezza, né idealizzazione della maternità. C’è il dolore, quasi animale, di una donna che dà alla luce un figlio. E in quell’urlo c’è già un presagio, come se la nascita di Brendan fosse fin dall’inizio attraversata da un senso di tragedia.

Poi all’alba ha smesso di piovere.” Il passaggio dalla notte al giorno, dalla pioggia alla luce, è il momento della trasformazione. E qui il suono del neonato, descritto come “sacro”, è l’elemento che cambia tutto. Conrad entra nella stanza tremando, impacciato, e riceve in braccio il figlio come se fosse un dono sacro. Il contatto fisico col neonato non è solo tenerezza: è investitura. E ho gridato a tutti i vicini: ‘Udite udite, è nato un nuovo principe!’ Qui avviene il passaggio più significativo. Conrad non sta solo ricordando. Sta celebrando. Nel suo racconto, Brendan non è solo un bambino: è “il navigatore”, “leader di uomini”, come se il padre avesse voluto fissare un destino, attribuire un’identità epica a quel neonato ancora incapace di tenere gli occhi aperti. È lo slancio tipico di chi ha perso tutto e cerca disperatamente di trattenere almeno il senso.

Ma è proprio questo l’aspetto più lacerante del monologo: il contrasto tra l’idealizzazione del passato e il vuoto del presente. Conrad evoca il momento in cui la vita era appena iniziata, ma lo fa dopo aver assistito alla sua fine.

Conclusione

Questo monologo funziona perché ci mostra che, al di là del boss, c’è un padre. E non un padre qualsiasi: uno che aveva sognato per il figlio un futuro regale, epico, e che ora deve fare i conti con il vuoto. Brendan non era un personaggio memorabile, e forse neanche particolarmente capace. Ma lo era per suo padre. E tanto basta per trasformare questo monologo in qualcosa che scava dentro, perché parla della perdita non di un figlio, ma di tutto ciò che il padre aveva proiettato su di lui.

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