Mobland: Il crollo emotivo di Jan in un monologo feroce

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo davanti a uno dei momenti più emotivamente tesi di Mobland: il monologo di Jan, interpretata da Joanne Froggatt, la moglie di Harry De Souza (non Eddie, come nomina nel momento di rabbia e confusione). Un personaggio che per gran parte della serie ha vissuto sul bordo del baratro, consapevole della vita criminale del marito, ma decisa a resistere per proteggere ciò che resta della loro famiglia.

In questo sfogo, però, tutto crolla. Jan non è più una moglie paziente né una complice silenziosa. È una donna al limite, prigioniera di una realtà che non ha scelto e che ora la sta soffocando. E lo dice chiaro, senza filtri. 

Io sono fuori!

MOBLAND 1X10

MINUTAGGIO: 50:00-51:00

RUOLO: Jan
ATTRICE:Joanne Froggatt

DOVE: Paramount +

INGLESE



What, and play happy fucking families? Yeah? I-I live in a world, Harry, where men in masks show up outside my front door. Where every five minutes, I'm dragged out of bed at the crack of fucking dawn to go and sit in some... safe house, some floating cat shit emporium. I know, let's all go up to the Cotswolds, with the biggest pack of maniacs who ever lived. You know, I-I turn around, and the-the whole floor is just covered with bodies, just fucking lying there. And then, my husband comes back from work and... tells me he's just killed a man. And you just stand there with that fucking look on your face. Who the fuck are you, Harry? Tell me, 'cause I don't know. Who the fuck are you? You know, I ca... I just, I can't... I can't take it anymore! All right? I can't do this. You fucking do it. Me and Gina, we can't do this! Not anymore! fuck.



ITALIANO

E giochiamo alla famiglia felice? Si. Io vivo in un mondo in cui uomini dal volto coperto si presentano alla mia porta. In cui vengo buttata già dal letto all'alba per andare a casa in una "casa sicura". Una cazzo di casa galleggiante. Ma certo! Andiamo alle Cotswolds, con il più grande branco di maniaci che sia mai esistito. Io mi giro e l'intero pavimento è ricoperto di corpi, stesi lì, cazzo. E dopo mio marito torna dal lavoro e mi dice che ha appena ucciso un uomo. E stai fermo lì. Con quello sguardo di merda. Chi cazzo sei, Eddie? Dimmelo. Perché io non lo so. Chi cazzo sei tu. Sai, io… io… io non ce la faccio più! Ok? Non posso farlo. Fallo tu cazzo! Io e Gina non possiamo farlo! Non più. 

Mobland

"Mobland", serie originale Paramount+ diretta nei primi episodi da Guy Ritchie, è una gangster story tutta britannica che si muove lungo i binari del revenge drama, immersa fino al collo nel sangue, nei tradimenti e nella lotta di potere tra clan rivali. Dieci episodi che disegnano una mappa di relazioni criminali sempre più soffocanti, con personaggi che sembrano scolpiti nel granito: violenti, impulsivi, disillusi, eppure umanamente fragili.

La storia si sviluppa in una Londra plumbea, dove la criminalità organizzata è trattata come una vera azienda familiare. Il clan degli Harrigan, che controlla il traffico di droga nella capitale, è retto formalmente da Conrad Harrigan (Pierce Brosnan), ma la vera mente dietro le operazioni è Maeve Harrigan (Helen Mirren), sua moglie, manipolatrice lucida e calcolatrice. Attorno a loro si muove una famiglia disfunzionale, con figli inadatti al comando (Brendan e Kevin) e un nipote, Eddie, pronto a far saltare ogni equilibrio.

Tom Hardy interpreta Harry Da Souza, il risolutore, il "fixer" del clan Harrigan. È lui che prende decisioni pratiche, è lui che ripulisce il caos, risolve le crisi, neutralizza le minacce. Lavorando nell’ombra, Harry è il tipo che incute rispetto con uno sguardo, senza bisogno di alzare la voce. Il suo ruolo è centrale non solo nella dinamica criminale, ma anche nell'equilibrio narrativo: senza Harry, Mobland perderebbe il suo asse.

Eppure Harry non è un personaggio monolitico. La sua vita personale racconta un altro tipo di conflitto. Con Jan, la moglie (interpretata da Joanne Froggatt), condivide una relazione consumata dal silenzio, dai compromessi e dall’abitudine al lusso ottenuto col sangue. Una donna consapevole, sì, ma ormai stanca di convivere con la doppia vita del marito.

Il punto di rottura arriva con un gesto sconsiderato: il nipote Eddie, viziato e instabile, uccide un uomo in un nightclub, di fronte al figlio di Richie Stevenson, boss rivale che controlla lo spaccio di fentanyl. Da qui parte una faida spietata, costruita come un domino che crolla pezzo dopo pezzo: parenti, amici, alleati, tutti coinvolti nel ciclo della vendetta.

Analisi Monologo

E giochiamo alla famiglia felice? Sì.” La frase di apertura è amara. È sarcasmo puro. Jan mette in dubbio la farsa della quotidianità: la casa bella, la scuola privata per la figlia, la cena cucinata, tutto perde significato quando la violenza diventa routine. La sua è una vita costruita sulla finzione, e ora quella finzione non regge più. Io vivo in un mondo in cui uomini dal volto coperto si presentano alla mia porta.” La minaccia non è più solo astratta: è fisica, concreta, ha un volto – anche se coperto – e una presenza nella sua casa. La famiglia non è più un rifugio, ma un campo minato. Il senso di insicurezza totale è ciò che alimenta la crisi di Jan.

Vengo buttata giù dal letto all’alba… in una cazzo di casa galleggiante.” Il riferimento a una “casa sicura” diventa una presa in giro: non c’è nulla di sicuro in quella vita. Nemmeno nelle misure protettive. La frustrazione è evidente: non solo Jan è costretta a vivere in fuga, ma è anche trattata come un accessorio, spostata come un pacco, senza controllo sulla propria esistenza. Il pavimento è ricoperto di corpi. Questa è l’immagine visiva più potente e disturbante. Il trauma è ormai parte integrante della sua quotidianità. E il tono con cui lo dice – tra rabbia e terrore – trasmette l’idea di una donna ormai in preda al panico. La violenza non è più lontana: è sotto i suoi piedi.

E dopo mio marito torna dal lavoro e mi dice che ha appena ucciso un uomo.” Jan mette a confronto la normalità della routine familiare con la brutalità del mestiere del marito. C’è qualcosa di profondamente inquietante nel tono con cui racconta la scena: Harry torna a casa come se fosse rientrato dall’ufficio, mentre lei è ancora sporca del sangue psicologico versato. Ed è qui che arriva la vera domanda.“Chi cazzo sei, Harry? Dimmelo.”l punto è che non è più l’uomo che amava. È diventato un estraneo. O forse lo è sempre stato.

Io… io non ce la faccio più. Ok? Fallo tu, cazzo! La crisi emotiva arriva al picco. Jan si disintegra. Si arrende. Ma non è una sconfitta debole: è una resa piena di lucidità. Sta dicendo: io ho fatto la mia parte, ho resistito, ho taciuto, ho sacrificato. Ora basta. Non voglio più vivere per sopportare. Non è più una questione di coppia: è una questione di sopravvivenza.

Conclusione

Il monologo di Jan è uno degli sfoghi più umani di tutta Mobland. Non c’è strategia, non c’è manipolazione, non c’è potere. C’è solo verità. Una donna che ha passato anni ad adattarsi a un mondo che non le appartiene, che ha costruito castelli sulla sabbia, e che ora vede tutto franare.

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