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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo avviene durante un momento di pausa, un raro istante in cui Ava si permette di abbassare le difese. Sta parlando con qualcuno (nella sceneggiatura è con Michael, ma nel film è più diluito in una serie di confessioni) e torna a uno degli episodi chiave della sua rovina: la bugia del padre, il tradimento affettivo e simbolico che ha cambiato per sempre la percezione di sé.
MINUTAGGIO: 32:00-35:00
RUOLO: Ava
ATTRICE: Jessica Chastain
DOVE: Netflix
INGLESE
About years ago, at my most fucked up, I caught my dad having an affair. And I told him that if he didn't tell Mom, that I was going to do it myself. So... he cried. And he promised me that he would tell her about it. But what he did instead was... tell her that he caught me stealing money from his wallet. He said that I tried to blackmail him into giving me $ , , and that if he wouldn't do it, that I would make up a story about him having an affair. I was a total alcoholic-addict piece of sh*t at the time who had been caught stealing money for dr*gs, so... naturally, she believed him. I don't blame her. But him... The look on his face when she was confronting me about it. It was like he was amused... for using me to save his a*s. I couldn't get through that day without using. Made me want to k*ll him. Oh, I f*ckin' fantasized about it. And I knew that if I didn't leave immediately, that I would. So... I left and I joined the army. When I heard he was dead, I knew it was safe to come back. That's all I got.
ITALIANO
Circa 10 anni fa, quando toccai quasi il fondo, beccai mio padre con un’amante. E gli dissi che se non lo avesse detto alla mamma allora l’avrei fatto io stessa. Così lui pianse e… poi mi promise che glielo avrebbe detto. Ma quello che gli disse invece fu… le disse che mi aveva beccato a rubare dei soldi dal suo portafogli. Lui raccontò che io avevo cercato di ricattarlo per avere mille dollari, e che se non me li avesse dati, mi sarei inventata la storia che l’avevo trovato con un’amante. Ero davvero un’alcolizzata, una totale merda, che… aveva… rubato dei soldi per la droga, quindi… ovviamente lei gli credette. Non la biasimo. Ma lui… lo sguardo che aveva sul volto quando mi affrontò… sembrava quasi divertito, di avermi usata per salvarsi il culo. Non avrei superato quel giorno senza farmi. Io volevo ammazzarlo. Questa cosa l’ho fantasticata davvero. E sapevo che se non me ne fossi andata subito, l’avrei fatto. Perciò… decisi di arruolarmi nell’esercito. Quando ho saputo che era morto sono potuta tornare. Questo è quanto.
"Ava" (2020), diretto da Tate Taylor, è un thriller d’azione che si muove tra ombre familiari e un mondo di violenza sistemica, mettendo al centro un personaggio femminile con un passato spezzato e una lucidità affilata come un bisturi. La trama ruota intorno ad Ava Faulkner, interpretata da Jessica Chastain, che dà al film non solo il nome, ma soprattutto un’anima stanca e lucida, in bilico tra senso di colpa, ricerca di redenzione e istinto di sopravvivenza. L’inizio del film ci cala subito nel suo mondo: Ava è un’ex soldatessa con una dipendenza alle spalle, ora al servizio di un’agenzia clandestina che elimina bersagli con precisione chirurgica. Ma a differenza dei colleghi, Ava ha un’abitudine rischiosa: chiede alle sue vittime perché qualcuno le voglia morte. E questa non è una semplice eccentricità narrativa. È la crepa che mina tutta l’impalcatura del suo lavoro.
Fare domande significa cercare senso in qualcosa che dovrebbe essere solo esecuzione. Vuol dire che Ava non ha chiuso del tutto i conti con se stessa.
E infatti, durante un colpo in Francia, mentre interroga un uomo d'affari prima di ucciderlo, viene ascoltata da Camille, una figura laterale all’inizio ma che tornerà con forza nel finale. Questo dettaglio è importante: la scena introduce il tema del controllo e della sorveglianza, e suggerisce che in questo mondo di spie e sicari, nessun gesto resta invisibile. Il ritorno a Boston ci svela una seconda dimensione del personaggio: Ava come sorella, come figlia, come ex fidanzata. Sono passati otto anni dall’ultima volta che ha visto la famiglia. Sua madre è malata, Judy (la sorella) ha preso il suo posto nella vita del suo ex compagno Michael. Le tensioni sono immediate. Il passato di Ava pesa come una presenza costante nella stanza: le sue dipendenze, la sua sparizione, il suo ritorno improvviso. Ma non si tratta solo di conflitti emotivi, qui il dramma familiare è una specie di specchio distorto della sua vita come assassina. In entrambi i mondi, Ava è una figura ambigua: amata e temuta, rifiutata ma necessaria.
Il rapporto con Duke, mentore e figura paterna, è un altro dei poli emotivi del film. All’inizio sembra l’unico a volerle bene per davvero, l’unico a difenderla quando l'organizzazione – capeggiata da Simon – comincia a considerarla una variabile fuori controllo. Ma anche qui il film gioca con l’ambiguità: quanto è sincero Duke? E quanto invece sta cercando solo di salvare la faccia? Il fatto che venga ucciso da Simon segna un punto di non ritorno: non c’è più nessuno a fare da mediatore tra Ava e il sistema. Ora è una mina vagante, fuori da ogni codice. La sua vendetta non è solo personale, è quasi rituale. Simon, come figura, incarna il controllo cieco, l’efficienza senza umanità. Ucciderlo significa chiudere un cerchio. Uno degli snodi più interessanti del film è il rapporto con Michael e il modo in cui Ava cerca di proteggerlo da Toni, figura criminale legata al gioco d’azzardo. Qui si vede un’Ava diversa: non è un’assassina, è una donna che tenta di riparare, di evitare che le persone che ama finiscano in trappole simili a quelle in cui è finita lei. Quando lascia in vita Toni, dopo aver avuto la possibilità di ucciderla, fa una scelta chiara: la violenza non è sempre la risposta. Non lo è per Michael, almeno. In un film pieno di sangue, quel momento ha un peso emotivo notevole.
La potenza di questo monologo sta nel modo in cui la memoria viene raccontata: non come un ricordo strutturato, ma come qualcosa che ancora pulsa, che non è stato metabolizzato. Ava non parla in modo lineare. Fa pause, cambia tono, si interrompe. Ed è lì che Jessica Chastain lavora sottopelle, usando la voce come se stesse tirando fuori qualcosa che le fa ancora male, dopo dieci anni.
Vediamo due livelli sovrapposti:
superficiale: il racconto dell'evento – il padre colto in flagrante, la promessa infranta, la bugia.
profondo: la discesa nell’abisso – il momento in cui Ava comprende di essere sacrificabile. Non solo non viene creduta, ma viene usata. Lo sguardo del padre che “sembrava quasi divertito” è una lama sottile: non è il gesto in sé, è la complicità del cinismo.
Questa parte è centrale: “Sembrava quasi divertito, di avermi usata per salvarsi il culo.”
È la frase più devastante. Perché non c'è solo rabbia. C’è umiliazione. Il riconoscere che un genitore ha scelto il proprio sollievo al prezzo della dignità della figlia. Ava non dice che voleva farsi giustizia: dice che “voleva ammazzarlo”. Parla di un desiderio crudo, istintivo, che ha bisogno di un’esplosione o di una fuga.
E infatti: “Sapevo che se non me ne fossi andata subito, l’avrei fatto. Perciò… decisi di arruolarmi nell’esercito.” L’arruolamento, che all’apparenza potrebbe sembrare una scelta patriottica o di riscatto, diventa una fuga esistenziale, un tentativo di sopravvivere a se stessa.
Questo monologo è uno snodo fondamentale nel film Ava. Non spiega solo un episodio del passato. Spiega il linguaggio emotivo del personaggio. Spiega perché Ava è sospettosa, perché si tiene lontana da chi ama, perché ha bisogno di controllare tutto, anche durante le sue missioni. È una donna che è stata tradita nel momento in cui avrebbe avuto bisogno di un adulto che la proteggesse. E quindi, ha imparato a proteggersi da sola, nel modo più duro possibile.
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