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~ LA REDAZIONE DI RC
Siamo nel secondo atto della drammaturgia Come tu mi vuoi, in un momento di massima tensione emotiva. Dopo essere stata accolta nella casa di Bruno Pieri con la speranza che lei sia Liza, la moglie scomparsa dieci anni prima, la protagonista — l’Ignota — si è sottomessa a questa possibilità. Ha accettato di "essere" quella donna. Ma in questo monologo, la maschera non si limita a calzare il volto: si fonde con la pelle, diventa carne.
Quello che Pirandello fa dire alla sua protagonista è una dichiarazione di guerra contro ogni forma di identità data o oggettiva. L’essere, per lei, non è una condizione fissa, ma un processo: “Essere è farsi”. E il “farsi” avviene attraverso lo sguardo dell’altro, attraverso la volontà di aderire a un'immagine desiderata. Ma quando quell’immagine viene rifiutata o fraintesa — come accade con Bruno — la costruzione crolla, e si svela la tragedia di chi ha rinunciato a se stessa per diventare come tu mi vuoi.
Perché è inutile, inutile, inutile: debbono aver sempre ragione i fatti! terra terra!
Tu sai bene che ignoravo tutto, ma non importa!
Ti voglio dir questo soltanto. Sono stata qua con te quattro mesi.
Sono venuta qua; mi sono data tutta a te, tutta; t’ho detto: «Sono qua, sono tua; in me non c’è nulla, più nulla di mio: fammi tu, fammi tu, come tu mi vuoi! M’hai aspettata per dieci anni? Fai conto che non sia stato nulla! Eccomi di nuovo a te; ma non per me più, non per tutto ciò che quella può aver passato nella sua vita; no, no; nessun ricordo più, dei suoi, nessuno: dammi tu i tuoi, i tuoi, tutti quelli che tu hai serbati di lei come fu allora per te! Ora ridiventeranno vivi in me, vivi di tutta quella tua vita, di quel tuo amore, di tutte le prime gioje che ti diede!»
E quante volte non t’ho domandato “così?… così?” beandomi della gioja che in te rinasceva dal mio corpo che la sentiva come te!
Sì!, Io, Cia! Io sono Cia! Io sola! Io! Io!
Non quella (indica il ritratto) che fu, e – come forse non lo seppe nemmeno lei stessa, allora – oggi, così, domani come i casi della vita la facevano.
Essere? Essere è niente! Essere è farsi.
E io mi sono fatta quella!
Ma non hai compreso nulla, tu.
“Come tu mi vuoi” è una delle opere meno frequentemente messe in scena di Luigi Pirandello, ma al tempo stesso una delle più affilate nel trattare il tema dell’identità, dell’illusione e della percezione dell’io attraverso lo sguardo degli altri.
Andata in scena per la prima volta nel 1930 a Berlino, è una drammaturgia scritta appositamente da Pirandello per essere recitata in una lingua straniera. Questo dettaglio non è irrilevante: il tema stesso della lingua e della perdita del radicamento culturale è centrale nell’opera.
La vicenda si svolge nella Berlino del primo dopoguerra. In un ambiente freddo e disilluso, segnato dalla disfatta e dal vuoto morale lasciato dalla guerra, vive una donna senza nome, chiamata semplicemente la Sconosciuta. Lavora in un locale notturno come compagna di un uomo ambiguo, uno scrittore fallito e cinico, conosciuto come l’Uomo, che l’ha presa con sé e la mantiene. Non è amore quello che li lega, ma una coesistenza fatta di dipendenza reciproca e disincanto.
Un giorno, questa donna viene avvicinata da un uomo italiano, Salter, che sostiene di aver finalmente ritrovato Liza, la moglie del suo amico Bruno Pieri, dispersa da dieci anni dopo la fine della guerra. Bruno la credeva morta o fuggita, ma ora, guardando la Sconosciuta, è convinto che lei sia proprio sua moglie, Liza.
La donna inizialmente respinge l’idea. Non ricorda nulla del suo passato prima della guerra, non si riconosce in quella Liza che tutti vogliono farle indossare come un vestito. Eppure, pian piano — anche per stanchezza, per la voglia di essere “qualcuno” — accetta di recarsi in Italia, a casa dei Pieri, dove vive Bruno con la madre e la figlia.
Nel secondo atto ci troviamo in Italia, in casa Pieri. La tensione si fa psicologica. Tutti i personaggi ruotano attorno a lei cercando di confermare o smentire che sia davvero Liza. La madre di Bruno è convinta che non sia sua nuora. La figlia la osserva con diffidenza. Solo Bruno sembra aggrapparsi con ostinazione a questa possibilità: che la sua Liza sia tornata, che nulla sia davvero andato perduto.
E qui la questione esplode in pieno stile pirandelliano: chi siamo davvero? Siamo ciò che crediamo di essere o ciò che gli altri vedono in noi? La Sconosciuta si trova in mezzo a due mondi: da una parte la sua vita anonima e cinica a Berlino, dall’altra questa identità “ricostruita” che le viene offerta. Ma nessuna delle due sembra appartenerle fino in fondo.
Il dramma si chiude senza una risposta definitiva. Non c’è una prova certa che la Sconosciuta sia davvero Liza. Anche quando viene mostrata una fotografia in cui lei appare con Bruno prima della guerra, lei non riesce a riconoscersi. Accetta il ruolo, ma lo fa quasi con distacco, come se stesse accettando un copione più che ritrovando se stessa.
La battuta finale è una delle più taglienti dell’intera opera: "Come tu mi vuoi", pronunciata dalla protagonista come una resa. Non c’è più nessuna ricerca di verità, ma solo l’accettazione del fatto che si può essere chi gli altri decidono che tu sia.
La prima parte del monologo mette subito le cose in chiaro: “Perché è inutile, inutile, inutile: debbono aver sempre ragione i fatti! Terra terra!” Questa frase è uno schiaffo alla speranza. È la constatazione che ogni tentativo di crearsi un’identità alternativa, più autentica o più sentita, va in frantumi contro la forza brutale della realtà. “I fatti” — i documenti, i ricordi, la voce degli altri — hanno sempre l’ultima parola, anche quando mentono o semplificano.
Poi arriva la parte più intima e vertiginosa: “Sono venuta qua; mi sono data tutta a te, tutta... fammi tu, fammi tu, come tu mi vuoi!” Qui l’Ignota rivendica l’atto di abbandono. Non ha imposto sé stessa. Ha scelto di aderire alla visione che Bruno voleva avere di lei. Un atto di resa totale: la rinuncia all’identità personale in favore di un’identità riflessa, costruita su desideri altrui. Ma è un atto consapevole, quasi artistico. Non si limita a essere Liza: diventa Liza, plasmandosi attivamente sull'immagine che Bruno ha conservato per dieci anni. È un atto di creazione. È teatro puro. “E quante volte non t’ho domandato ‘così?… così?’ beandomi della gioja che in te rinasceva dal mio corpo…” Qui c’è una frase che taglia più di molte altre. Il “così?... così?” è un gesto da attrice, da performer, da persona che si guarda costantemente nello specchio dell’altro per capire se è giusta, se funziona, se è più vera della verità. E lo fa per amore, ma anche per fame di esistenza.
“Essere? Essere è niente! Essere è farsi.”
Questa è la chiave di tutto. Pirandello qui fa dire alla protagonista qualcosa che distrugge il concetto statico di identità. L’essere non è un punto di partenza, ma un punto d’arrivo. Una costruzione, spesso dolorosa, che passa attraverso continue reinvenzioni. Un’identità che non si “possiede”, ma che si fabbrica nel rapporto con gli altri. “Io sono Cia! Io sola! Io!” Qui, l’Ignota tenta un ultimo colpo di coda. Rivendica un’identità personale che ha forgiato lei stessa, non in base a chi era dieci anni fa, ma in base a ciò che ha vissuto ora. Cia è il nome che ha scelto, che ha fatto suo, e che non le viene riconosciuto. E quando dice: “Ma non hai compreso nulla, tu.” sta accusando Bruno di aver voluto un fantasma, non una persona viva. Di aver preferito l’illusione a una verità, anche se nuova.
Il vero dolore non è nella perdita del passato, ma nel rifiuto del presente. Lei ha voluto essere quella donna per amore, ha cancellato sé stessa, ha vissuto in funzione di un’immagine che credeva condivisa. E quando scopre che quell’immagine non basta, che l’altro non la riconosce — proprio nel momento in cui ha aderito completamente a ciò che lui desiderava — capisce che la sua identità resta negata.
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