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~ LA REDAZIONE DI RC
Al centro di "La 25ª ora", film diretto da Spike Lee, troviamo un monologo crudo e viscerale pronunciato dal protagonista, Montgomery Brogan. Questo monologo è sia un flusso di coscienza rabbioso rivolto contro la città di New York e i suoi abitanti, che un'incursione profonda nella psiche di un uomo che si trova sull'orlo di un abisso personale e morale. Attraverso queste parole cariche di dolore e disillusione, il film esplora temi universali di colpa, pentimento e la ricerca di redenzione.
MINUTAGGIO: 37:02-42:02
RUOLO: Monty Brogan
ATTORE: Edward Norton
DOVE: -
INGLESE
Yeah, fuck you, too. Fuck me? Fuck you, Fuck you and this whole city and everyone in it. Fuck the panhandlers, grubbing for money, and smiling at me behind my back. Fuck the squeegee men dirtying up the clean windshield of my car - get a fucking job! Fuck the Sikhs and the Pakistanis bombing down the avenues in decrepit cabs, curry steaming out their pores stinking up my day. Terrorists in fucking training. SLOW THE FUCK DOWN! Fuck the Chelsea boys with their waxed chests and pumped-up biceps. Going down on each other in my parks and on my piers, jingling their dicks on my Channel 35. Fuck the Korean grocers with their pyramids of overpriced fruit and their tulips and roses wrapped in plastic. Ten years in the country, still no speaky English? Fuck the Russians in Brighton Beach. Mobster thugs sitting in cafés, sipping tea in little glasses, sugar cubes between their teeth. Wheelin' and dealin' and schemin'. Go back where you fucking came from! Fuck the black-hatted Chassidim, strolling up and down 47th street in their dirty gabardine with their dandruff. Selling South African apartheid diamonds! Fuck the Wall Street brokers. Self-styled masters of the universe. Michael Douglas, Gordon Gekko wannabe mother fuckers, figuring out new ways to rob hard working people blind. Send those Enron assholes to jail for FUCKING LIFE! You think Bush and Cheney didn't know about that shit? Give me a fucking break! Tyco! Worldcom! Fuck the Puerto Ricans. Twenty to a car, swelling up the welfare rolls, worst fuckin' parade in the city. And don't even get me started on the Dom-in-i-cans, 'cause they make the Puerto Ricans look good. Fuck the Bensonhurst Italians with their pomaded hair, their nylon warm-up suits, their St. Anthony medallions, swinging their Jason Giambi Louisville Slugger baseball bats, trying to audition for "The Sopranos." Fuck the Upper East Side wives with their Hermès scarves and their fifty-dollar Balducci artichokes. Overfed faces getting pulled and lifted and stretched, all taut and shiny. You're not fooling anybody, sweetheart! Fuck the uptown brothers. They never pass the ball, they don't want to play defense, they take five steps on every lay-up to the hoop. And then they want to turn around and blame everything on the white man. Slavery ended one hundred and thirty seven years ago. Move the fuck on! Fuck the corrupt cops with their anus-violating plungers and their 41 shots, standing behind a blue wall of silence. You betray our trust! Fuck the priests who put their hands down some innocent child's pants. Fuck the church that protects them, delivering us into evil. And while you're at it, fuck J.C.! He got off easy! A day on the cross, a weekend in hell, and all the hallelujahs of the legioned angels for eternity! Try seven years in fuckin' Otisville, J.! Fuck Osama Bin Laden, al-Qaeda, and backward-ass cave-dwelling fundamentalist assholes everywhere. On the names of innocent thousands murdered, I pray you spend the rest of eternity with your seventy-two whores roasting in a jet-fuel fire in hell. You towel-headed camel jockeys can kiss my royal Irish ass! Fuck Jacob Elinsky. Whining malcontent. Fuck Francis Xavier Slaughtery my best friend, judging me while he stares at my girlfriend's ass. Fuck Naturelle Riviera, I gave her my trust and she stabbed me in the back, sold me up the river, fucking bitch. Fuck my father with his endless grief, standing behind that bar sipping on club sodas, selling whisky to firemen, and cheering the Bronx Bombers. Fuck this whole city and everyone in it. From the row-houses of Astoria to the penthouses on Park Avenue, from the projects in the Bronx to the lofts in Soho. From the tenements in Alphabet City to the brownstones in Park Slope to the split-levels in Staten Island. Let an earthquake crumble it, let the fires rage, let it burn to fucking ash and then let the waters rise and submerge this whole rat-infested placeNo. No, fuck you, Montgomery Brogan. You had it all, and you threw it away, you dumb fuck!
ITALIANO
Affanculo io? Vacci tu! Tu e tutta questa merda di città e di chi ci abita. In culo ai mendicanti che mi chiedono soldi, e che mi ridono alle spalle. In culo ai lavavetri, che mi sporcano il vetro pulito della macchina. In culo ai sikh e ai pakistani, che vanno per le strade a palla con i loro taxi decrepiti. Puzzano di curry da tutti i pori, mi mandano in paranoia le narici. Aspiranti terroristi. E rallentate,cazzo! In culo ai ragazzi di Chelsea, con il torace depilato e i bicipiti pompati, che se lo succhiano a vicenda nei miei parchi… e te lo sbattono in faccia sul Gay Channel. In culo ai bottegai coreani, con le loro piramidi di frutta troppo cara, con i loro fiori avvolti nella plastica. Sono qui da dieci anni e non sanno ancora mettere due parole insieme. In culo ai russi di Brighton Beach. Mafiosi e violenti, seduti nei bar a sorseggiare il loro tè con una zolletta di zucchero tra i denti. Rubano, imbrogliano e cospirano. Tornatevene da dove cazzo siete venuti! In culo agli ebrei ortodossi, che vanno su e giù per la 47ma nei loro soprabiti imbiancati di forfora, a vendere diamanti del Sudafrica dell’apartheid. In culo agli agenti di borsa di Wall Street, che pensano di essere i padroni dell’universo. Quei figli di puttana si sentono come Michael Douglas-Gordon Gekko e pensano a nuovi modi per derubare la povera gente che lavora. Sbattete dentro quegli stronzi della Enron a marcire per tutta la vita. E Bush e Cheney non sapevano niente di quel casino? Ma fatemi il cazzo di piacere! In culo alla Tyco, alla ImClone, all’Adelphia, alla WordsCom! In culo ai portoricani, venti in una macchina e fanno crescere le spese dell’assistenza sociale. E non fatemi parlare di quei pipponi dei dominicani: al loro confronto i portoricani sono proprio dei fenomeni. In culo agli italiani di Bensonhurst, con i loro capelli impomatati, le loro tute di nylon, le loro medagliette di Sant’Antonio… che agitano la loro mazza da baseball firmata Jason Giambi sperando in un’audizione per I Soprano. In culo alle signore dell’Upper East Side, con i loro foulard di Hermès e i loro carciofi di Balducci da 50 dollari, con le loro facce pompate di silicone, truccate, laccate e liftate. Non riuscite a ingannare nessuno, vecchie befane! In culo ai negri di Harlem. Non passano mai la palla, non vogliono giocare in difesa, fanno cinque passi per arrivare sotto canestro, poi si girano e danno la colpa al razzismo dei bianchi. La schiavitù è finita centotrentasette anni fa! E muovete le chiappe, è ora… In culo ai poliziotti corrotti che impalano i poveri cristi e li crivellano con quarantuno proiettili, nascosti dietro il loro muro di omertà. Avete tradito la nostra fiducia! In culo ai preti che mettono le mani nei pantaloni di bambini innocenti. In culo alla Chiesa che li protegge, non liberandoci dal Male. E dato che ci siamo, ci metto anche Gesù Cristo: se l’è cavata con poco. Un giorno sulla croce, un week-end all’Inferno, e poi gli alleluja degli angeli per il resto dell’Eternità. Provi a passare sette anni nel carcere di Otisville. In culo a Osama Bin Laden, a Al Qaeda e a quei cavernicoli retrogradi dei fondamentalisti di tutto il mondo. In nome delle migliaia di innocenti assassinati, vi auguro di passare il resto dell’eternità con le vostre 72 puttane ad arrostire a fuoco lento all’Inferno. Stronzi cammellieri con l’asciugamano in testa, baciate le mie nobili palle irlandesi! In culo a Jacob Elinksy, lamentoso e scontento. In culo a Francis Slaughtery, il mio migliore amico, che mi giudica con gli occhi incollati sulle chiappe della mia ragazza. In culo a Naturelle Riviera: le ho dato la mia fiducia e mi ha pugnalato alla schiena, mi ha venduto alla polizia, maledetta puttana. In culo a mio padre, con il suo insanabile dolore, che beve acqua minerale dietro il banco del suo bar, vendendo whisky ai pompieri e inneggiando ai “Bronx Bombers”. In culo a questa città e a chi ci abita. Dalle casette a schiera di Astoria agli attici di Park Avenue, dalle case popolari del Bronx ai loft di Soao, dai palazzoni di Alphabet City alle case di pietra di Parks Row e a quelle a due piani di Staten Island. Che un terremoto la faccia crollare, che gli incendi la distruggano, che bruci fino a diventare cenere e che le acque si sollevino e sommergano questa fogna infestata dai topi. No… No: in culo a te, Montgomery Brogan. Avevi tutto e l’hai buttato via, brutto testa di cazzo!
"La 25ª ora" (25th Hour) è un film del 2002 diretto da Spike Lee, basato sul romanzo omonimo di David Benioff, che ha anche scritto la sceneggiatura per il film. La pellicola affronta i temi del rimorso e della redenzione, inserendosi perfettamente nella corrente cinematografica che esplora la complessità della natura umana e delle scelte di vita.
Il protagonista del film è Montgomery Brogan, ovvero Edward Norton. Monty è un ex spacciatore di droga di New York che, nell'arco dell'ultimo giorno di libertà prima di iniziare a scontare una pena di sette anni di prigione, riflette sulla sua vita e su come è arrivato a quel punto. Il personaggio di Monty è sfaccettato, rivelando complessità emotive e moralità ambigua, che lo rendono uno dei ruoli più memorabili nella carriera di Norton.
Nel corso della giornata, Monty interagisce con vari personaggi importanti nella sua vita, tra cui il suo padre James (Brian Cox), la sua fidanzata Naturelle (Rosario Dawson), e i suoi due migliori amici, Frank (Barry Pepper) e Jacob (Philip Seymour Hoffman). Queste interazioni servono a esplorare i vari aspetti della vita di Monty, comprese le decisioni che hanno portato alla sua caduta, e a riflettere su temi universali come l'amore, l'amicizia, il tradimento e la possibilità di redenzione.
"La 25ª ora" è particolarmente riconosciuto per la sua rappresentazione autentica di New York subito dopo gli attacchi dell'11 settembre, offrendo una toccante meditazione sulla città e sui suoi abitanti durante un periodo di grande dolore e incertezza. La regia di Spike Lee enfatizza questa dimensione, integrando la narrativa personale di Monty con una più ampia riflessione sulla città di New York, rendendo il film un commento sociale.
Il monologo di Monty Brogan rappresenta un momento cruciale del film, svelando sia la complessità del protagonista che la profondità con cui la pellicola esplora temi di rabbia, disillusione e autodistruzione. Il monologo è un flusso di coscienza, una litania di rancore verso praticamente ogni aspetto della vita di New York e, più in profondità, verso l'umanità in generale. Monty sfoga la sua rabbia contro una vasta gamma di gruppi e individui - mendicanti, lavavetri, minoranze etniche, omosessuali, bottegai, mafiosi, agenti di borsa, politici, imprenditori corrotti, immigrati, residenti dei quartieri alti e bassi, le forze dell'ordine, la Chiesa, e persino figure storiche e religiose. Questo attacco verbale culmina in una realizzazione amara e devastante: l'unica persona verso cui Monty dovrebbe veramente dirigere la sua rabbia è se stesso.
Monty si confronta con le sue scelte di vita, riconoscendo che, nonostante il suo disprezzo per ciò che lo circonda, la responsabilità delle sue circostanze ricade su di lui. Questa consapevolezza di auto-distruzione è palpabile, poiché lui si attribuisce la colpa per aver "buttato via" tutto. Attraverso gli occhi di Monty, il monologo dipinge un quadro critico della società americana post-11 settembre - una città e una nazione alle prese con il razzismo, la xenofobia, la corruzione, l'avarizia, e la disuguaglianza. Spike Lee utilizza queste parole per esplorare la disillusione e il malcontento, riflettendo sulle tensioni sociali dell'epoca.
Nonostante la specificità delle lamentele di Monty, il suo sfogo tocca un nervo universale, esprimendo sentimenti di perdita, tradimento e rimpianto che molti possono riconoscere. Questo monologo segna un punto di svolta nel film, dove Monty inizia a fare i conti con la sua realtà imminente di prigionia e con le scelte che lo hanno portato lì. È una resa dei conti con sé stesso, un momento di chiarezza crudele ma necessaria. Monty si rende conto che la sua rabbia verso gli altri è in realtà una maschera per il suo senso di colpa e per il suo desiderio di redenzione, anche se non sa come ottenerla o se sia persino possibile.
Il monologo di Monty diventa un potente commento sull’essere umano, riflettendo le sfide, i conflitti interni e la ricerca di senso che definiscono l'esperienza umana. Attraverso l'esplosione verbale di Monty, Spike Lee e Edward Norton ci offrono uno spaccato intenso e indimenticabile sulla natura delle scelte personali, sull'inevitabilità delle conseguenze e sulla possibilità di introspezione e cambiamento.
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