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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo arriva in un momento chiave del film Cheerleader per sempre, quando Stephanie (Rebel Wilson) sta cercando di spiegare — più a sé stessa che agli altri — perché quella corona di reginetta del ballo conta ancora così tanto per lei. Non si tratta più di popolarità, like o approvazione sociale: la posta in gioco è personale, quasi infantile. È il bisogno di dare senso a un dolore antico, non risolto. È un dialogo con Seth, ma in realtà è un monologo, perché è evidente che Stephanie sta parlando per la prima volta in modo autentico della perdita della madre, della solitudine, e di quel meccanismo di proiezione attraverso cui ha cercato di sopravvivere all’adolescenza.
MINUTAGGIO: 1:12:00-1:13:57
RUOLO: Stephanie
ATTRICE: Rebel Wilson
DOVE: Netflix
E’ più di una semplice corona. Quando mi sono trasferita in America è stata durissima, mi prendevano tutti in giro, lo ricorderai. Mia madre si è ammalata, e mi sentivo uno schifo, ero infelice. Lo sai cosa mi diceva per tirarmi su il morale? Mi diceva: “Stef, chiudi gli occhi e immagina la tua vita perfetta, perché se puoi immaginarla puoi averla.” E io le dicevo: “Smettila, mamma”. Non le credevo. E poi è morta. Mi sentivo… Non l’ho detto a nessuno, però… non mi ero mai sentita così. E poi un giorno io e te eravamo in auto e ho visto Deanna Russo. Ho pensato: “Uao. Lei è felice.” Era stata la reginetta, e io dovevo essere lei, capito? E volevo esserlo davvero tanto. E quando ci ero vicina di colpo BUM! Il coma. Si è spento tutto. E mi sono risentita uno schifo. Poi ho pensato: “Beh… Voglio… dimostrare che mia madre aveva ragione” Voglio… voglio davvero provare ad avere la vita perfetta. Capisci?
"Cheerleader per sempre", diretto da Alex Hardcastle e distribuito da Netflix nel 2022, si presenta come una classica commedia adolescenziale con una struttura da coming-of-age, ma mescolata a elementi di fish out of water e seconda possibilità. Il motore della storia è la protagonista, Stephanie Conway, interpretata da Rebel Wilson nella sua versione adulta e da Angourie Rice da adolescente, il cui viaggio si sviluppa su un doppio binario temporale: gli anni '90 e l’epoca post-pandemica degli anni 2020. Nel prologo ambientato nel 1999, Stephanie è una teenager australiana appena trasferita negli Stati Uniti. Ha perso la madre da poco e vive con il padre vedovo. Emarginata e invisibile nel microcosmo liceale, decide di reinventarsi per ottenere ciò che Hollywood, MTV e la cultura pop dell’epoca sembrano promettere a tutte le ragazze “normali”: popolarità = felicità. E in questo, il film si inserisce volutamente in un immaginario narrativo pieno di riferimenti agli archetipi da teen movie degli anni ‘90-2000, da Mean Girls a 10 cose che odio di te. Stephanie, in tre anni, si trasforma da outsider in regina della scuola: è capitano delle cheerleader, fidanzata con il quarterback Blaine e pronta a vincere la corona di reginetta del ballo. Ma durante un’esibizione, una mossa sabotata dalla rivale Tiffany la fa cadere e finisce in coma.
Questo primo atto è una sorta di prequel funzionale a costruire i temi principali: l’ossessione per la perfezione apparente, la pressione sociale del liceo e l’identità plasmata dallo sguardo degli altri. Stephanie si risveglia dopo vent’anni. Per lei sono passati pochi giorni, ma il mondo è completamente cambiato. Qui il film gioca sulla collisione tra due epoche: la cultura del 2002, fatta di riviste patinate e sogni di popolarità televisiva, contro il 2022, dominato da social media, inclusività, gerarchie orizzontali e un linguaggio emotivo completamente ristrutturato. La scuola ora non premia più la popolarità esteriore, e Stephanie si trova completamente fuori luogo, sia nei codici che nei valori.
È qui che entra in scena il vero nodo del film: come ridefinire sé stessi in un contesto che non riconosce più le vecchie regole del gioco?
Stephanie inizialmente cerca di replicare il suo vecchio schema: mira di nuovo al titolo di reginetta del ballo, cerca il consenso attraverso i social, ignora i vecchi amici e riscopre i vecchi rivali. Ma la nostalgia non è abbastanza per sopravvivere al presente. Ogni tentativo di riappropriarsi del suo “status” finisce per alienarla ulteriormente. L’unica strada possibile è un percorso di riconnessione, non con la versione perfetta di sé, ma con quella autentica, ferita e imperfetta. Il momento di svolta arriva attraverso vari incontri-scontro: con Seth (amico d’infanzia e interesse romantico rimasto nell’ombra), con Martha (l’amica divenuta preside e figura guida), ma soprattutto con Bri, la figlia di Tiffany, e con la stessa Tiffany, ora adulta, incastrata nei propri errori. Questi personaggi diventano specchi per Stephanie, che inizia a vedere le falle del sistema in cui ha sempre creduto.
Uno dei momenti più emblematici è il confronto in macchina con Deanna Russo (Alicia Silverstone), il “modello ideale” della sua adolescenza. Deanna le rivela come quel sogno di perfezione fosse solo una facciata, e quanto la sua mancanza di preparazione l’abbia danneggiata nella vita reale. È una scena che funziona quasi come monito e passaggio di testimone generazionale.
La sequenza finale del ballo scolastico e della cerimonia di diploma rappresenta il nuovo inizio per Stephanie. Non più guidata dalla voglia di essere amata da tutti, ma dal desiderio di vivere qualcosa che sia suo, in linea con chi è diventata – con tutte le cicatrici, i rimpianti e le nuove consapevolezze.
“È più di una semplice corona” Stephanie rifiuta l’idea che la sua ossessione per il ballo e la popolarità sia superficiale. Non è una corona, è un simbolo. Di cosa? Di tutto quello che ha perso, di tutto quello che sperava di diventare, del senso di riscatto che non è mai riuscita a ottenere. È una frase che lavora per sottrazione: il film ha mostrato il contrario fino a quel momento (Stephanie che vuole i riflettori, i follower, le attenzioni), ma ora capiamo che sotto la superficie c’era una ferita non rimarginata.
“Mia madre si è ammalata, e mi sentivo uno schifo, ero infelice.” Qui il tono cambia: spariscono le battute, le iperboli, la leggerezza. Stephanie entra nel rimosso, nel dolore che non ha mai voluto verbalizzare. L’idea della “vita perfetta” non nasce da una reale ambizione, ma da un messaggio ricevuto in un momento di dolore: un invito a immaginare, a creare un rifugio mentale quando la realtà è troppo dura.
“Mi diceva: ‘Stef, chiudi gli occhi e immagina la tua vita perfetta, perché se puoi immaginarla puoi averla’.” Questa frase è la chiave di tutto. Un consiglio materno che si trasforma in un mantra, poi in un’ossessione. È un’esortazione alla speranza, ma anche un’illusione potenzialmente pericolosa. Stephanie non ha elaborato il lutto, ha costruito un'identità attorno a un'idea idealizzata di felicità. “E poi un giorno io e te eravamo in auto e ho visto Deanna Russo. Ho pensato: ‘Uao. Lei è felice.’”
In questa frase c’è tutto il meccanismo di idealizzazione. Deanna Russo diventa il volto visibile della “vita perfetta” che sua madre le aveva suggerito di immaginare. Non sappiamo nulla di Deanna, ma Stephanie la elegge a modello perché ha bisogno di crederci. Perché il dolore ha bisogno di una direzione per non diventare paralizzante. Il suo sogno non è una carriera, un talento, un ideale etico: è un’immagine. La reginetta del ballo. Un simbolo semplice, chiaro, fotografabile.
“E quando ci ero vicina di colpo BUM! Il coma. Si è spento tutto.”
Il trauma iniziale (la morte della madre) si ripete in forma simbolica. Stephanie perde tutto di nuovo, proprio quando stava per toccare il “sogno”. Il coma diventa una metafora potente: è il tempo congelato dell'adolescenza irrisolta. Vent'anni senza crescita, senza evoluzione emotiva. Solo ora, nel presente, riesce a tornare lì, a mettere in parole quel dolore.
“Voglio… voglio davvero provare ad avere la vita perfetta. Capisci?” La chiusura è tenera, quasi ingenua. Non c’è più ironia, né sicurezza. Stephanie non sta cercando più di vincere, ma di credere. Crede nella possibilità di onorare la promessa di sua madre, nella speranza che quel dolore iniziale possa avere un senso. È una richiesta silenziosa di comprensione e di conferma da parte di Seth, e – indirettamente – anche dello spettatore.
Questo secondo monologo è lo snodo centrale della trasformazione di Stephanie. Mette in chiaro che la sua ossessione per la popolarità non nasce da vanità, ma da dolore e bisogno di conferme. È un meccanismo di compensazione emotiva, costruito attorno a un'idea idealizzata di felicità trasmessa da una madre scomparsa troppo presto. È il momento in cui Stephanie, per la prima volta, prova a essere autentica. E da qui inizia il vero cambiamento del personaggio.
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