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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo introduttivo che apre Maleficent (2014) è un passaggio chiave, perché stabilisce il tono, il punto di vista e la nuova architettura morale del film. Siamo davanti a una fiaba che sa di essere una fiaba, ma che ci invita da subito a sospettare delle versioni ufficiali. Il film si apre con una voce narrante femminile — calda, malinconica, quasi materna — che ci chiede di ascoltare “di nuovo una vecchia storia”. Ma subito dopo, ci lancia un invito implicito: "vediamo quanto bene la conosciate". Non è una frase buttata lì. È un avvertimento gentile, un modo per dirci che ciò che pensiamo di sapere su questa storia potrebbe essere sbagliato. O incompleto. La fiaba di La Bella Addormentata sta per essere riscritta dall’interno, partendo proprio da chi è sempre stata messa ai margini del racconto.
MINUTAGGIO: 00:21-2:31
RUOLO: Aurora
ATTRICE: Elle Fanning
DOVE: Netflix
INGLESE
Let us tell an old story anew, and we will see how well you know it. Once upon a time, there were two kingdoms that were the worst of neighbors. So vast was the discord between them that it was said only a great hero or a terrible villain might bring them together. In one kingdom lived folk like you and me, with a vain and greedy king to rule over them. They were forever discontent, and envious of the wealth and beauty of their neighbors. For in the other kingdom, the Moors, lived every manner of strange and wonderful creature. And they needed neither king nor queen, but trusted in one another. In a great tree on a great cliff in the Moors lived one such spirit. You might take her for a girl, but she was not just any girl. She was a fairy. And her name was Maleficent.
ITALIANO
Lasciate che di nuovo vi narri una vecchia storia, e si vedrà quanto bene la conosciate. C’erano una volta due regni vicini, e uno era il peggior nemico dell’altro. Si diceva che la discordia tra loro fosse così profonda, che solo un grande eroe, o un vero cattivo avrebbe potuto farli riavvicinare. In uno dei due regni, vivevano persone come voi e come me, governate da un re vanesio e avido. Esse erano sempre scontente, e invidiose della ricchezza e della bellezza del regno vicino. Perché nell’altro regno, la Brughiera, vivevano innumerevoli strane e prodigiose creature, a cui non servivano né re né regine, perché si fidavano le une delle altre. Dentro un grande albero, su un imponente rupe della Brughiera, viveva uno di quegli imponenti spiriti. Si potrebbe scambiare per una ragazza, ma lei non era solo una ragazza; lei era una fata, e il suo nome era Malefica.
"Maleficent" (2014) è un film che si muove tra fiaba, revisionismo e un'estetica fantasy molto marcata. Diretto da Robert Stromberg, scenografo di lunga esperienza al suo debutto da regista, e interpretato da Angelina Jolie nei panni dell’iconica strega, il film è una rilettura del classico Disney La Bella Addormentata nel Bosco (1959), ma dal punto di vista del “cattivo”. O meglio: di colei che nel film d'animazione originale era rappresentata come l’essenza stessa del male. Il film non si limita a riscrivere la storia: la riscrive da dentro. Sposta il punto di vista, riformula le dinamiche morali e sposta il baricentro emotivo da Aurora (Elle Fanning) a Malefica stessa. Inizia come un racconto di formazione che diventa tragedia, poi redenzione. Ma il punto forte sta nel modo in cui mette in discussione l’idea del “male puro”.
Malefica non è una strega malvagia: è una creatura delle brughiere, potente e giusta, che viene tradita da chi ama. Il gesto che la trasforma — il furto delle ali da parte di Stefano (Sharlto Copley), l’uomo in cui riponeva fiducia — è una chiara allusione a un abuso, a una violenza che la spinge in una spirale di vendetta. Qui il film fa una scelta interessante: la “maledizione” che lancia contro Aurora nasce da dolore, non da una predisposizione al male. Il cuore di Maleficent è proprio questo: una riflessione sul trauma e sulle conseguenze emotive che si porta dietro. È un tema raro da vedere trattato in un blockbuster fantasy, soprattutto indirizzato a un pubblico giovane. Non è solo il tradimento amoroso a generare la trasformazione di Malefica, ma la perdita di un’identità, di un ruolo nella propria comunità, di una visione del mondo. È un personaggio che attraversa tutte le fasi del dolore: rabbia, negazione, solitudine, e infine, una forma di elaborazione e perdono.
La sua relazione con Aurora è il vero nucleo emotivo della storia. Cresce da spettatrice e nemica a figura materna. C’è un cambio di ruolo che sovverte lo schema tradizionale della fiaba: la fata cattiva diventa la salvatrice, mentre il re — l’uomo — diventa l’antagonista consumato dalla paranoia.
Maleficent appartiene a quel filone di cinema che rilegge i “cattivi” delle fiabe in chiave umana. È lo stesso approccio che vedremo con Joker (2019), Cruella (2021), o Wicked. Ma qui la messa a fuoco è più chiara: il male non è un dato di partenza, ma un esito. E se si scava abbastanza a fondo, si può trovare la crepa che ha dato origine alla frattura. Questo rende Maleficent un film interessante da analizzare, soprattutto per come parla di vendetta, amore non romantico e possibilità di cambiare traiettoria emotiva.
"Lasciate che di nuovo vi narri una vecchia storia..." Qui c'è un meccanismo tipico delle fiabe: l'oralità. Ma invece di dire semplicemente "C'era una volta", ci mette di fronte a un ricordo collettivo, qualcosa che crediamo di conoscere. E già questo è significativo. La voce narrante non vuole solo raccontare, vuole correggere. "Due regni vicini, e uno era il peggior nemico dell’altro." Questo è l’incipit di un conflitto archetipico: due mondi in opposizione. Ma il testo va oltre la contrapposizione generica tra “luce e tenebre”, e subito attribuisce caratteristiche precise. Da una parte, il mondo degli uomini: governato da un re avido, abitato da persone invidiose. Dall’altra parte, la Brughiera: un regno senza re né regine, dove la fiducia è alla base della convivenza.
È una sovversione completa dei codici delle fiabe classiche. Il regno degli uomini, che in una narrazione classica rappresenterebbe ordine e civiltà, qui è associato a decadenza morale. La Brughiera — il regno del “diverso”, del magico — è invece il luogo dell’equilibrio e della cooperazione. "Si diceva che la discordia tra loro fosse così profonda, che solo un grande eroe, o un vero cattivo avrebbe potuto farli riavvicinare." Qui siamo al cuore della visione del film. La dicotomia eroe/cattivo è presentata come un costrutto narrativo. È una delle righe più dense del monologo: suggerisce che il mondo si aspetta una figura estrema per rompere lo stallo, ma lascia aperto il dubbio su quale sarà il ruolo di Malefica. Sarà lei l’eroe, o la cattiva? Oppure entrambe le cose, in momenti diversi?
"Si potrebbe scambiare per una ragazza, ma lei non era solo una ragazza; lei era una fata." Anche qui, linguaggio semplice ma ricco di sottotesto. L’idea che “non fosse solo una ragazza” richiama un tema ricorrente in tutto il film: Malefica è molto di più di ciò che appare, e soprattutto non può essere ridotta a una categoria univoca. Fata, guerriera, madre, vittima, vendicatrice… è tutte queste cose insieme.
Questo monologo iniziale è fondamentale per capire che Maleficent non è una semplice operazione di restyling Disney, ma un vero e proprio tentativo di riscrivere l’archetipo. Le fiabe ci hanno sempre parlato in bianco e nero: il bene da una parte, il male dall’altra. Ma qui la voce narrante ci avvisa che i confini non sono più così netti. Ci invita ad ascoltare, ma anche a mettere in discussione.
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