Monologo femminile - Melina Matthews in \"Olympo\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Jara, nuova direttrice del CAR Pirineos nella serie Olympo, arriva in un momento chiave della narrazione: quando il centro cerca di ricostruire la propria immagine dopo le prime crepe visibili nel sistema. Questo discorso, pronunciato in un contesto istituzionale e apparentemente celebrativo, è in realtà una dichiarazione di intenti molto più inquietante di quanto sembri a un primo ascolto. 

Vincenti e perdenti

STAGIONE 1 EP 5

MINUTAGGIO: 2:30-4:50

RUOLO: Jara

ATTRICE: Melina Matthews

DOVE: Netflix

ITALIANO

Mi piacerebbe iniziare dicendo che se c’è una cosa che noi atleti odiamo più di ogni altra, è il fatto che si parli di noi solo quando scoppia uno scandalo doping. Il doping è per i perdenti. Noi vincenti non abbiamo mai sentito il bisogno di scorciatoie. E la mia visione per il centro è questa: qui devono esserci solo vincenti. Come nuova direttrice del CAR, voglio lanciare un messaggio ottimista. Si parlerà ancora di noi, si. Ma solo per i nostri successi sportivi, perché qui abbiamo giovani atleti con un talento straordinario. Abbiamo una squadra di rugby che si è appena qualificata per i mondiali. Abbiamo una squadra di nuoto artistico che lotta per la conquista di un posto alle olimpiadi.E poi ci sono volti meno noti. Ma il talento, senza disciplina, non è niente. E questo Isabel Duràn non lo ha mai capito. Io ho passato ben vent’anni in questo centro, ho vinto medaglie olimpiche, ho battuto record mondiali, e per questo, al di là del doping, sono molte le cose su cui avrò tolleranza zero.

Olympo

Olympo” è un thriller psicologico ambientato nel mondo dell’alta competizione, ma usa lo sport solo come punto di partenza per parlare di controllo, identità e potere. Il cuore narrativo della serie è il CAR Pirineos, centro sportivo d’élite sperduto tra le montagne spagnole, in cui si allenano i giovani atleti più promettenti del paese. Ma dietro la patina di eccellenza e disciplina si nasconde un sistema che assomiglia più a un laboratorio sociale che a un campus sportivo. La protagonista, Amaia Olaberria (interpretata da Clara Galle), è l’archetipo della campionessa plasmata fin da piccola: rigida, devota, impeccabile. Tutto in lei – postura, sguardo, linguaggio del corpo – comunica un’idea di perfezione quasi militare. Ma è una perfezione costruita su fondamenta instabili, perché Amaia è un prodotto del sistema, non una persona libera. La serie ce lo mostra subito: il CAR è un ambiente ipercontrollato, dove anche la fragilità emotiva è vista come una colpa. Il minimo segno di stanchezza, il minimo cedimento, viene registrato e corretta.

Quando la sua amica e rivale Núria inizia a eccellere misteriosamente in ogni disciplina, qualcosa si rompe. E quel qualcosa non è solo dentro Amaia, ma nella realtà stessa del CAR. Questo è il punto in cui “Olympo” inizia a muoversi su un terreno molto più scivoloso del classico teen drama sportivo: si entra nel campo della manipolazione, del condizionamento, di un sistema che non solo allena i corpi, ma tenta di riscrivere le menti. Il punto di svolta nella narrazione è la scoperta, da parte di Amaia, di un progetto clandestino portato avanti nel centro: un vero e proprio esperimento sociale su giovani atleti, che mira a produrre l’atleta perfetto attraverso sostanze dopanti, lavaggio del cervello, sorveglianza costante e terapie invasive. Nessuno è davvero al sicuro: psicologi, medici, allenatori, persino le famiglie sembrano essere parte – consapevole o meno – di un disegno molto più ampio.

Qui il racconto prende una piega quasi distopica, alla “Black Mirror”, ma con un’estetica che richiama molto da vicino il mondo reale. Il doping, i disturbi alimentari, le pressioni psicologiche, la disumanizzazione del talento… sono tutte realtà del mondo sportivo contemporaneo. Il centro sportivo diventa una metafora di qualsiasi ambiente che promette successo a patto di sacrificare se stessi.

Analisi Monologo

“Il doping è per i perdenti. Noi vincenti non abbiamo mai sentito il bisogno di scorciatoie. Jara apre con una frase che sembra moralizzatrice, ma che è in realtà costruita per separare il mondo in due categorie nette: vincenti e perdenti. Non c’è spazio per sfumature, non esiste la possibilità di fragilità o fallimento. È una dicotomia che suona bene nei discorsi pubblici, ma che applicata al contesto educativo di un centro giovanile rivela una concezione profondamente punitiva del talento.

“Qui devono esserci solo vincenti.”: chi non rientra in questa definizione è automaticamente fuori. Non si tratta solo di un auspicio, ma di un criterio selettivo. La meritocrazia viene presentata come naturale, ma in realtà è uno strumento di esclusione.

Voglio lanciare un messaggio ottimista.” Il linguaggio qui si fa ambiguo. L’aggettivo “ottimista” è usato per mascherare un messaggio che è tutto tranne che inclusivo. È un esempio perfetto di quella che potremmo chiamare “retorica positiva tossica”: l’uso di parole motivazionali per giustificare una politica iper-selettiva, rigida, spietata.

Il talento, senza disciplina, non è niente. Questa è una delle frasi chiave, anche perché ricollega direttamente la questione sportiva a quella del comportamento. Non basta essere dotati: bisogna essere domabili. Qui emerge il lato più inquietante della filosofia di Jara. La disciplina diventa sinonimo di obbedienza. E infatti subito dopo arriva l’attacco diretto a Isabel Durán – presumibilmente un’ex allieva o collega dissidente – come esempio negativo. Isabel diventa l’emblema di ciò che non sarà più tollerato: la voce fuori dal coro, la ribellione, forse semplicemente la libertà.

Io ho passato vent’anni in questo centro.” Qui Jara attiva il suo capitale simbolico. Le sue medaglie e i suoi record diventano la giustificazione per il potere che ora esercita. In un ambiente dove il valore si misura in risultati, la sua autorità è inattaccabile. Ma proprio per questo la sua visione del centro diventa pericolosamente personale: è la proiezione del suo passato, del suo percorso, dei suoi traumi trasformati in regola.

Conclusione

Questo monologo è un’auto-narrazione ideologica, in cui Jara fissa pubblicamente i parametri morali e culturali del nuovo ordine del CAR. Dietro le parole di apparente entusiasmo e ambizione si cela un sistema che premia l’omologazione e reprime la disobbedienza. Il suo linguaggio parla di successi, ma sottintende controllo.

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