Monologo maschile - \"Olympo\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo davanti a un monologo che racchiude l’essenza più cruda e viscerale di Olympo, e che nel tono e nella scrittura si inserisce alla perfezione nel linguaggio diretto e senza filtri che caratterizza l’intera serie. Qui l’allenatore della squadra di rugby prende la parola alla fine di una partita vinta, ma lo fa in un momento che sembra quasi una sconfitta morale. Il testo ha ritmo, rabbia e fisicità verbale.

Siamo nello spogliatoio, dopo una vittoria che dovrebbe essere festeggiata, e invece l’atmosfera è tesa. Il coach entra e prende il centro della scena. Le sue parole esplodono come una seconda metà partita, ma stavolta psicologica. Il tono è quello di un uomo che non si accontenta. Un uomo per cui il rugby è una questione di onore, appartenenza, sangue e sudore. L’allenatore parla ai suoi ragazzi, ma allo stesso tempo sta parlando a se stesso. È un discorso che nasce da una frustrazione profonda: quella per una vittoria che non sente davvero meritata.

Rugby con le palle

STAGIONE 1 EP 3

MINUTAGGIO: 28:00-29:00

RUOLO: Allenatore Rugby

ATTORE:

DOVE: Netflix

ITALIANO

Bravissimi, ottimo lavoro signori, abbiamo vinto, è andata bene. Ma se vinciamo ancora così mi sparo un colpo sulle ginocchia. Signori, questo è Rugby, non è danza contemporanea. Charlie, vengono a placcarti e che fai? Un plié, una spaccata… sembra che stai per prenderlo nel culo! Dannazione, signori! Ora c’è l’Italia! L’Italia non è il Portogallo. Se danno un metro agli Italiani, che dico un centimetro, ci ficcheranno una burrata su per il culo. E questo non deve succedere. Dobbiamo essere compatti. Mostrate di essere dei veri giocatori di rugby. Siamo a una vittoria dalla gloria, la nostra gloria, e niente può fermarci, capito? Vaffanculo! D’accordo? Tu invece, dove ce l’hai la testa? Uniti signori, uniti e compatti. Siamo la Spagna! E le nostre palle sono molto molto più grandi. E questa non è una veglia funebre. Abbiamo vinco e manca una partita. Forza, forza, forza!

Olympo

Olympo ruota attorno al CAR Pirineos, un centro di allenamento d'élite immerso tra le montagne, dove il concetto di eccellenza non è solo un obiettivo, ma una religione. I protagonisti sono un gruppo di adolescenti-atleti selezionati tra i migliori del paese nelle loro rispettive discipline. È un microcosmo chiuso, ipercontrollato, competitivo fino all’ossessione. Qui, l’identità personale è costantemente messa in secondo piano rispetto al ruolo di atleta. La storia si accende quando Amaia Olaberria (Clara Galle), nuotatrice di punta e capitana della squadra nazionale di nuoto artistico, comincia a perdere terreno. La sua migliore amica Núria (Maria Romanillos), da sempre in ombra, la supera in alcune performance chiave. Da questo momento si insinua il sospetto: qualcosa non torna. Núria ha cambiato ritmo, intensità, risultati. E nel mondo di Olympo, dove nulla è lasciato al caso, il cambiamento genera paranoia.

Questa frattura tra Amaia e Núria è la chiave per entrare dentro uno dei filoni principali della serie: il dubbio sul doping. Un sospetto che non riguarda solo Núria, ma si estende come un virus a tutto il gruppo. Dopo che una ragazza accusa un malore durante l’allenamento in piscina, l’ipotesi di sostanze vietate inizia a farsi strada, insinuandosi in un ambiente già carico di pressione, invidia e rivalità.

Il titolo "Olympo" richiama chiaramente il Monte Olimpo, la dimora degli dei nella mitologia greca. In questa serie, però, gli dei sono adolescenti, e il loro pantheon è fatto di medaglie, record, schede di valutazione e selfie patinati su Instagram. La "Olympo" non è solo un nome altisonante, è il traguardo massimo, il nome dato a un programma che garantisce l'accesso a squadre nazionali, sponsorizzazioni, gloria.

Tutti vogliono arrivarci. Nessuno sa quanto costa davvero.

Analisi Monologo

"Bravissimi, ottimo lavoro signori, abbiamo vinto, è andata bene. Ma se vinciamo ancora così mi sparo un colpo sulle ginocchia."

Il sarcasmo iniziale è immediato. L’allenatore disinnesca la retorica della vittoria, toglie ogni valore a un successo che non ha il sapore della battaglia vinta. Il "colpo sulle ginocchia" è un’immagine che fa male, ironica ma anche profondamente simbolica: è lì, nelle ginocchia, che si misura la tenuta dell’atleta. Un colpo lì significa rinunciare alla corsa, al combattimento. Esattamente ciò che accusa i suoi giocatori di aver fatto. "Signori, questo è Rugby, non è danza contemporanea." Questa frase è una frustata. Il contrasto tra il rugby – sport di contatto, di impatto fisico – e la danza contemporanea – arte del corpo, ma in tutt’altra direzione – è usata per sottolineare la mancanza di aggressività, la leggerezza inaccettabile con cui i suoi hanno affrontato il gioco. È anche una critica sociale mascherata: nell’ambiente machista del rugby, accostare la prestazione atletica alla danza è visto come un insulto. Una provocazione usata di proposito per umiliare e risvegliare.

"Charlie, vengono a placcarti e che fai? Un plié, una spaccata… sembra che stai per prenderlo nel culo!"

La personalizzazione dell’accusa serve ad aumentare la pressione nel gruppo. Charlie viene ridicolizzato, messo sotto i riflettori. La terminologia coreutica – "plié", "spaccata" – usata in un contesto sportivo aggressivo ha un effetto dirompente. L’allenatore non cerca solo di correggere: vuole colpire nell’ego. E la frase conclusiva del periodo, volutamente volgare, serve proprio a far esplodere la tensione accumulata. "Ora c’è l’Italia! L’Italia non è il Portogallo." Si passa alla minaccia concreta: l’avversario successivo. E l’Italia, nel discorso dell’allenatore, è sinonimo di pericolo. Non è più una squadra, ma una forza invasiva. Quella burrata usata come metafora diventa l’elemento comico e disturbante che rompe gli argini della compostezza linguistica: esagerato, ma funzionale. Sta dicendo: o vi svegliate, o sarete umiliati.

"Siamo a una vittoria dalla gloria, la nostra gloria, e niente può fermarci, capito? Vaffanculo!" Il tono cambia bruscamente. Dal sarcasmo si passa alla carica. Qui entra la parte più epica del discorso, ma è un’epica sporca, incattivita. "La nostra gloria" non è retorica: è personale, è del gruppo. Ed è a un passo. Il "vaffanculo" lanciato in mezzo al discorso serve a sporcare il momento solenne, a ricordare che questa gloria non è per i puri di cuore. È per chi ha le mani sporche di fango e sangue. "Uniti signori, uniti e compatti. Siamo la Spagna! E le nostre palle sono molto molto più grandi." La chiusura è nazionalista e grezza, un mix di orgoglio e testosterone. L’allenatore recupera il senso di appartenenza, l’identità collettiva, ma lo fa sempre dentro un linguaggio di pura fisicità. Non si parla di valori astratti: si parla di palle. Di ciò che, nel suo immaginario, fa la differenza tra un atleta e un ballerino. Tra un vincente e un codardo.

"E questa non è una veglia funebre. Abbiamo vinto e manca una partita. Forza, forza, forza!" Il finale è una scossa. Smettetela di guardarvi le scarpe, non è il momento di fare lutto. È una vittoria, anche se sporca. E ora c’è da combattere l’ultima battaglia. Il triplice "forza" è il modo più fisico e teatrale con cui può chiudere il discorso. È quasi un colpo di tamburo.

Conclusione

Questo monologo è l’esempio perfetto di come Olympo lavori sul filo del paradosso: qui la vittoria viene usata come occasione per distruggere l’illusione di essere forti. Il coach non motiva con frasi fatte, non consola, non abbraccia. Rovescia il tavolo. Per lui il rugby è guerra, e i suoi soldati hanno ballato. Serve qualcosa di più, qualcosa che non si allena con i muscoli: l’istinto animale della lotta.

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