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Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
Arrivata alla fine di un lungo arco narrativo e psicologico, e alla fine della terza stagione di “Ginny e Georgia”, Ginny si presenta di fronte a una platea con una poesia che suona come un bilancio. Non è più la ragazza chiusa in una stanza che scrive versi per trattenere il dolore. Ora è una giovane donna che ha attraversato il fuoco, e sceglie di mettersi in gioco in pubblico, con parole che non sono più solo sfoghi, ma tentativi di comprendere e di trasformare.
STAGIONE 3 EPISODIO 10
MINUTAGGIO: 32.20-34:26
RUOLO: Ginny
ATTRICE: Antonia Gentry
DOVE: Netflix
INGLESE
The name of this poem,
because names are very important…
The name of this poem is "Beginnings."
Here we are, starting fresh
But I don't remember
What it feels like to feel whole
How do you fix a hole in your chest?
A Band-Aid? Cold compress?
If a tree falls in the wood
Would it make a sound
If no one was around to swing the axe
To cut off my head
And stop the train of thoughts
To derail the track
And divert from the one-track mind I have?
Having to go through things
That make you strong weakens you
It's a catch-22
So, what do you do?
The flame, the heat
Licking at my skin to a beat
A rhythm, a release
The flame consumes me
I eat the pain, or it eats me
A cavernous, carnivorous beast
With an insatiable appetite
And I'm just a bite, and I'm gone
As who I once was goes up in flames
I'm trying to change, to grow
To tie this all up in a neat, tidy bow
But I'll never know right and wrong
Weak and strong
A binary that already has complexities
And shades of gray
And I just want to be okay
I can't keep burning through life this way
Will it ever stop?
There can't be more shoes that drop
I need hope that all will be well
That my heart will swell and fill the hole
I need to accept what I can't control
The secrets are told
There's nothing new to learn or unfold
I need peace
To gather the pieces of my soul
Or I will burn until there is nothing left.
ITALIANO
Il titolo di questa poesia… Il titolo di questa poesia… perché i titoli sono molto importanti… Il titolo di questa poesia è “Ripartenze”.
“Eccoci qui a ripartire da zero, ma non so come si faccia a ripartire davvero. come si ripara un buco nel petto,
Con un cerotto?
Con un bendaggio stesso?
Se un albero cadesse farebbe rumore, Se non ci fosse qualcuno a brandire l’ascia che mi taglia la teste,
Come fermerei il treno dei pensieri che deraglia il binario e devia il binario al binario unico?
Tutte le cose che ti rendono forte, ti riducono all’osso
E’ un paradosso, quindi come posso?
La fiamma, il calore che lecca la mia pelle senza amore, al ritmo, una liberazione
La fiamma mi consuma.
O mangio il dolore o lui mangia me,
Una bestia carnivora con un appetito insaziabile.
Basta un modo e sono morta.
E quello che ero una volta andrà in fiamme.
Cerco solo di cambiare.
Di essere donna, di legarmi con un fiocco
Di essere una colonna.
Ma non so cosa è giusto e cosa no,
Cosa è debole e cosa è forte,
Un binario che ha già tante sfumature.
Io non voglio più avere paure.
Non voglio bruciare la vita con queste andature.
Finirà mai? Non voglio più quei brutti guai, voglio sperare che vada tutto bene, che il mio cuore si gonfi per vivere e respirare.
Devo accettare che non tutto si può controllare,
I segreti sono da svelare.
Niente di nuovo da provare o capire.
Voglio solo un pò di pace per raccogliere i pezzi del mio divenire.
O brucerò finché di me non resterà più niente."
“Ginny & Georgia” è quel tipo di serie che sembra voler giocare con le aspettative del pubblico per poi ribaltarle nel momento esatto in cui pensi di aver capito il tono della storia. All’apparenza è un teen drama con tinte comedy, un po’ come Una mamma per amica – e l’associazione iniziale è anche voluta, diciamolo – ma in realtà è un ibrido narrativo che affonda le mani nel crime, nel melodramma familiare e in un certo realismo psicologico che non sempre funziona, ma quando lo fa, sa colpire nel segno. La chiave, alla fine, resta sempre lì: nel rapporto madre-figlia. Georgia e Ginny. Due donne – perché Ginny è a tutti gli effetti una ragazza che sta cercando di diventare donna – che si specchiano l’una nell’altra, a volte riconoscendosi, a volte odiandosi. Dopo il colpo di scena finale della stagione 2 – Georgia arrestata nel bel mezzo del suo matrimonio con Paul per l’omicidio di Tom – la stagione 3 cambia registro. E non del tutto per il meglio.
La serie si sposta verso un drama più giudiziario, trasformando il cuore narrativo della storia, che era l’ambiguità morale di Georgia e la crescita di Ginny, in un intreccio da legal thriller dove i tempi si dilatano, i dialoghi si appesantiscono e i personaggi sembrano risucchiati da una spirale di eventi che raramente riesce a farli respirare. Il passato torbido di Georgia, invece di aggiungere profondità, comincia a diventare quasi un pretesto narrativo, uno “scudo” per giustificare ogni sua azione presente. In pratica, il trauma come giustificazione permanente. Georgia ottiene la libertà vigilata, ma perde Paul – che le chiede il divorzio quando capisce che quel confine morale che lei varca regolarmente è qualcosa con cui non può più convivere.
E qui, uno degli archi narrativi più interessanti della stagione: il fallimento della "nuova vita perfetta". Georgia è convinta di potersi redimere indossando un abito da sposa, ma la verità (quella che Ginny conosce bene) è che nessuna messa in scena può cancellare le colpe. Ginny inizia la stagione nel caos emotivo: il trauma del tradimento della madre, la confusione sulla sua identità etnica e sociale, il disturbo da autolesionismo, la rottura con Marcus e una famiglia che si sbriciola. A tenere tutto insieme è Zion, il padre “giusto”, il punto fermo che la spinge verso la poesia. È lui che la invita ad iscriversi al corso che la mette in contatto con Wolfe (Ty Doran), personaggio secondario ma importante per mostrare un lato di Ginny che cerca di costruirsi da sé, fuori dalle definizioni imposte dagli altri.
La crescita di Ginny è più interessante di quella di Georgia, perché avviene sotto sforzo. Mente, manipola, ma anche impara. La decisione di ricattare Cynthia per salvare la madre è uno di quei momenti in cui lo spettatore si rende conto che Ginny sta assomigliando un po’ troppo a Georgia. Ed è qui che si apre uno dei veri temi della stagione: quanto puoi odiare i tuoi genitori senza diventare come loro? Il finale della stagione 3 prova a chiudere il cerchio: Georgia libera, Ginny più consapevole, Marcus in terapia, Paul fuori dai giochi e Joe di nuovo in primo piano. Ma la vera domanda non è cosa succederà nella stagione 4, ma se i personaggi abbiano ancora qualcosa da dire.
“Eccoci qui a ripartire da zero,
ma non so come si faccia a ripartire davvero.”
L’apertura è già una confessione. Ginny si trova in quel limbo in cui si desidera cambiare ma non si sa da dove iniziare. Il verbo “ripartire” non ha un oggetto chiaro: da cosa? verso cosa? È una condizione emotiva sospesa, ed è proprio lì che si muove la poesia.
“Come si ripara un buco nel petto,
Con un cerotto?
Con un bendaggio stesso?”
La metafora del dolore fisico – il buco nel petto – è semplice ma efficace. Ginny chiede: come si cura qualcosa che non si vede? Il “cerotto” suona ironico, quasi infantile. Il “bendaggio” è già più serio, ma non meno insufficiente. È la sensazione di essere oltre ogni rimedio superficiale. Non cerca una soluzione rapida, cerca una comprensione.
“Se un albero cadesse farebbe rumore,
Se non ci fosse qualcuno a brandire l’ascia che mi taglia la testa...”
Qui entra un’immagine disturbante e forte: la violenza non è più accidentale, è scelta. L’ascia ha un soggetto, anche se non viene detto chi. È una frase che può essere letta come riferimento alle persone che le hanno fatto del male, ma anche come metafora dell’autodistruzione: e se fossi io quell’ascia?
“Come fermerei il treno dei pensieri che deraglia il binario...”
Questa parte riflette l’instabilità mentale che Ginny vive quotidianamente. Il treno dei pensieri che deraglia è un’immagine perfetta dell’ansia e del rimuginio. È una mente che non trova pace, che devia da sé stessa, che non riesce a seguire un tracciato.
“Tutte le cose che ti rendono forte, ti riducono all’osso
È un paradosso, quindi come posso?”
Un verso che riassume uno dei concetti centrali della serie: la resilienza ha un costo. Ginny è stanca di essere forte. Si chiede se valga davvero la pena resistere quando la resistenza stessa ti consuma.
“O mangio il dolore o lui mangia me,
Una bestia carnivora con un appetito insaziabile.”
Il dolore prende forma animale, tangibile. È un’entità con cui bisogna fare i conti, sempre. Non si può ignorare, non si può contenere: o lo si affronta, o ci divora. Il confine tra vittima e carnefice qui diventa poroso, confuso.
“Cerco solo di cambiare.
Di essere donna, di legarmi con un fiocco
Di essere una colonna.”
Qui Ginny dichiara esplicitamente il suo desiderio di trasformazione. Ma attenzione: legarsi con un fiocco suggerisce una ricerca di forma, di ordine, persino di grazia. Essere una colonna è l’opposto: forza, stabilità, struttura. Sono due immagini in contrasto, e riflettono il conflitto interno tra voler essere accogliente e voler essere solida.
“Non voglio più avere paure.
Non voglio bruciare la vita con queste andature.”
È il primo momento in cui Ginny parla in positivo. Non dice solo cosa la consuma, ma cosa desidera evitare. È un passo avanti rispetto alla prima poesia: ora cerca attivamente un modo per vivere diversamente.
“Devo accettare che non tutto si può controllare,
I segreti sono da svelare.”
Questa è la frase-chiave della maturazione di Ginny. Fino a quel momento, gran parte del suo dolore derivava dal non sapere, dal non capire, dal tenere tutto dentro. Ora comincia ad accettare l’imprevedibilità. L’idea che i segreti, per quanto pesanti, vanno tirati fuori. Che la verità, anche se fa male, è l’unico modo per guarire.
“Voglio solo un po’ di pace per raccogliere i pezzi del mio divenire.”
La parola divenire è centrale. Ginny non cerca più di “essere qualcosa”, ma di diventarlo. Questo verso è, forse, il più adulto di tutta la poesia. E il più sincero. Non chiede felicità, chiede pace. Il diritto di ricomporsi.
“O brucerò finché di me non resterà più niente.”
Il monologo si chiude su un’immagine estrema. Non c’è lieto fine, ma una consapevolezza chiara: o cambia, o si autodistruggerà. Non ci sono più vie di mezzo. Ma la scelta, ora, è dichiarata.
Con "Ripartenze", Ginny ci consegna la poesia della consapevolezza. Non è una liberazione, non è una vittoria: è una presa d’atto. È il momento in cui capisce che le sue ferite fanno parte di lei, ma che non devono governarla. Non cerca più di essere la “figlia perfetta”, la “ragazza che capisce tutto”, la “Georgia 2.0”. Vuole essere qualcosa d’altro, qualcosa che ancora non ha nome. E il fatto stesso che salga su un palco per dirlo – davanti a tutti – è già un atto di guarigione.
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