Monologo Femminile - Sarabanda

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

INTRODUZIONE AL MONOLOGO

Il film "Sarabanda" di Ingmar Bergman, esplora il complesso tessuto delle relazioni familiari attraverso il dialogo e il conflitto. Centrali sono i personaggi di Marianne e Johan, e di Karin e Henrik, quest'ultimi legati da un rapporto padre-figlia carico di tensioni e malintesi. Il monologo di Karin è come un momento cruciale del film, rivelando con cruda sincerità le dinamiche oppressive e il crescente disperato bisogno di libertà e comprensione.

DANNATA MUSICA

MINUTAGGIO: 22:27-28:15

RUOLO: Karin

ATTRICE: Julia Dufvenius

DOVE: -



INGLESE


So I sat there with my shattered mind and I tried. I begged him to let me off|the hook, to no avail. He made me play the same part|at least twenty times! Finally I said. quietly: "I don't give a damn about this". I said that it wasn't a class,|it was animal torture. Henrik was also angry, but he laughed and said that I should... try from the beginning, where it says: "Lebhaft, sehr markiert...|mit festen Bogenstrichen." I was so angry that I couldn't. He said I was doing it on purpose. I said that he didn't have the|skills to teach: I was unfair. Dad is the most patient, sensitive and|courteous teacher there is. He said it had nothing to|do with the teaching, but rather with willpower|and discipline... and that I was lazy. That I was lazy! Then I got up and left the|cello because I was trembling. I said that it was enough for the day|and that I was going out for a walk. He turned pale. I'd never seen him like that. And he said: I put my boots on and|headed for the door. I didn't hear him approach,|but he grabbed me by the shoulders... You're not leaving! You're not leaving! I sat and cried. And I said: ...never again". And kept crying until I felt empty. Then I thought of coming over to see|granddad and begging him to help me... leave that lunatic. It was too much for me. Now the old man can take|care of his crazy son: send him to the farm,|go to the police... or kill him. Then I became aware that|from now on, I know nothing. I know nothing about my life,|what I'll do or become. Then I realized that mom is dead, and I can't ask her anything. I was overcome with sorrow for|myself and cried again. You must think I'm a very nervous person, but I'm not.



ITALIANO


Si, diciamo di si. Ci sediamo uno di fronte all’altro con il nostro strumento, il leggio in mezzo. Abbiamo lavorato sul quarto movimento. quel maledetto Hindemith ha scritto sulla partitura: “ Quartine vivaci senza alcuna espressione e sempre pianissimo”. Capisci? Io me ne sto lì seduta col mio cervello mestruale in tilt e dovrei essere vivo senza espressione. Ho chiesto di saltare la lezione, ma papà è stato irremovibile. Solo le prime battute, l'attacco. Mi ha costretta a ripetere la stessa battuta almeno venti volte, sicuramente 20 volte e alla fine con una calma estrema, nonostante la mia rabbia, ho detto che non ne potevo più e che me ne fregavo di tutto; ho provato a scherzare dicendo che quello non era un insegnamento ma crudeltà contro gli animali. anche Henrik era arrabbiato ma ha riso un po' e ha proposto di riprendere ancora l'inizio della sonata dove l'annotazione è così semplice e Chiara: “Vivace, molto marcato con colpi d'Arco decisi”. Ma a quel punto ero così infuriata che è stato un disastro fin dall'inizio. Hendrick Allora ha detto che lo facevo apposta e gli ho risposto che se avesse avuto un barlume di pedagogia avrebbe capito che non si poteva continuare così. E’ stato ingiusto da parte mia perché papà è il maestro più paziente intelligente e sensibile che si possa desiderare. E ha aggiunto che non era questione di capire o non capire, ma questione di volontà e autocontrollo, e che io ero pigra, che io ero pigra! Che il problema era tutto lì. Allora mi sono alzata e ho posato il violoncello con molta prudenza, perché tremavo tutta, e poi gli ho detto che per oggi era finita e che volevo fare una passeggiata da sola. Allora è sbiancato, non lo avevo mai visto così, e mi ha detto: “Tu non esci da questa stanza”, ma io non ho risposto. Ho messo il maglione e sono andata verso la porta. Non mi sono accorta che era dietro di me, e mi ha preso per le spalle e mi ha trattenuta dicendo: tu non vai, non vai, non vai. Allora sono riuscita a girarmi e l'ho colpito in faccia facendogli cadere gli occhiali; ha iniziato a picchiarmi alla cieca. Si è piazzato alla davanti alla porta e io ho cercato di uscire, allora mi ha gettato a terra e l'ho visto in faccia, credevo che volesse uccidermi. Sono quasi sicura che volesse uccidermi perché ha cercato di mettermi le mani alla gola, ma poi sono riuscita a prendere lo sgabello e a colpirlo proprio in fronte, facendolo cadere all'indietro; eravamo entrambi sul pavimento e lui è finito sul suo violoncello mandandolo in pezzi, e così è tornato in se per nemmeno un attimo, dal fracasso voglio dire, e io ne ho approfittato a per uscire.Poi ho corso, alla fine non sapevo nemmeno dov'ero finita ma vedevo il lago. Ed ero così arrabbiata, così terribilmente furiosa che non riuscivo a smettere di piangere, e poi mi sono seduta e lì e ho detto: mai più, mai più, mai più. E così ho continuato a piangere fino a sentirmi del tutto vuota. Allora ho pensato: adesso vado dal nonno, gli racconto tutto e gli chiedo di aiutarmi a fuggire da quel pazzo che ha perso del tutto la testa, gli dico che ne ho sopportate tante, ma che adesso è finita, che adesso il vecchio può prendersi cura del suo figlio pazzo e sbattermi il manicomio o denunciarlo alla buon costume oppure ucciderlo. poi ho girovagato per un bel po' nel bosco perché non sapevo dov'ero. E a volte mi sembrava che Henrik mi stesse seguendo, ma poi ho sentito delle voci, ho visto il nonno in veranda con una signora estranea, che però mi pareva di riconoscere. Non sapevo se farmi avanti o meno, e poi mi sono resa conto che da quel momento non so più niente. Non so niente della mia vita, non so come comportarmi e cosa fare della mia vita. e mi è venuto in mente che mamma e irrimediabilmente morta e sepolta, e che non posso più chiederle niente. e dopo mi è venuto un tale attacco un tale attacco di vittimismo che ho iniziato di nuovo a piangere. Probabilmente pensi che sono nevrotica. Ma è proprio quello che non sono.

SARABANDA

"Sarabanda" è un film del 2003 diretto dal regista svedese Ingmar Bergman. Si tratta di un dramma intenso che funge da epilogo alla precedente opera di Bergman, "Scene da un matrimonio" del 1973. Il film è strutturato come una serie di dialoghi tra i personaggi principali, Marianne e Johan, interpretati rispettivamente da Liv Ullmann e Erland Josephson.


La trama di "Saraband" si concentra sulla visita di Marianne a Johan dopo molti anni di separazione. Lei scopre che la vita di Johan è segnata da relazioni complesse e tensioni familiari, specialmente con il suo figlio Henrik e la nipote Karin. Henrik, un musicista vedovo, sta lottando per superare la morte della moglie e ha un rapporto difficile e conflittuale con la figlia Karin, una giovane violoncellista talentuosa. La storia esplora i temi della solitudine, del rimpianto e della difficile comunicazione tra le generazioni.


Marianne, nel suo ruolo quasi di osservatrice esterna, interagisce con entrambi, cercando di comprendere e, forse, di mediare nei loro conflitti. Il titolo "Saraband" fa riferimento a una forma di danza che simboleggia il complicato intreccio delle relazioni umane presenti nel film. Bergman usa il dialogo e le intense performance degli attori per esplorare profondi dilemmi umani e esistenziali.

ANALISI MONOLOGO

Il monologo di Karin è un'espressione della tensione e del dolore interiore che caratterizzano la sua relazione con il padre, Henrik. Attraverso le sue parole, Bergman esplora temi profondi come la comunicazione interrotta, le aspettative oppressive e il conflitto generazionale.


La parte iniziale del monologo si concentra sulla frustrazione di Karin nei confronti delle rigide aspettative artistiche imposte dal padre durante le loro sessioni musicali. La citazione di Hindemith sul suonare "senza alcuna espressione e sempre pianissimo" simboleggia la freddezza e la distanza emotiva che Karin percepisce in Henrik. La sua lotta per esprimere sé stessa artisticamente sotto la guida inflessibile del padre è una metafora della loro relazione più ampia, caratterizzata da incomprensioni e da un rigido controllo emotivo.


Il climax emotivo del monologo si verifica quando Karin descrive un'escalation fisica durante una discussione. La violenza fisica che segue è il risultato di una lunga storia di tensioni represse e di comunicazione fallita. Il fatto che la discussione degeneri fino a diventare fisica rivela quanto sia grave il divario tra padre e figlia, e quanto profondamente Karin si senta intrappolata e disperata.


La fuga di Karin verso il lago e il suo desiderio di cercare rifugio presso il nonno indicano il suo bisogno di sicurezza e comprensione, che sente di non ricevere da Henrik. La sua confusione finale e la crisi di identità sottolineano l'impatto devastante che gli anni di tensione e incomprensione hanno avuto sulla sua stabilità emotiva.

CONCLUSIONI

Il monologo di Karin serve come potente climax emotivo del film, sottolineando la profondità della disconnessione emotiva e la gravità del conflitto familiare. Attraverso la sua espressione di dolore, frustrazione e rabbia, Bergman ci permette di intravedere la complessità delle relazioni umane e l'arduo cammino verso la comprensione e la riconciliazione.

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