Monologo finale di Auggie in Wonder: analisi completa

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo finale di Auggie Pullman, protagonista di Wonder, arriva dopo la cerimonia di premiazione, quando ormai il viaggio emotivo del film si è completato. Ma quello che colpisce non è tanto cosa dice, ma come lo dice: con uno sguardo più maturo, più consapevole, che mostra quanto Auggie sia cresciuto senza perdere la sua sensibilità. Il monologo si apre mentre Auggie cammina verso il palco, dopo aver ricevuto la Medaglia Henry Ward Beecher. Il pubblico applaude, ma lui è assorto nei suoi pensieri. In quel momento, la narrazione torna in voice-over, proprio come all’inizio del film. Un cerchio che si chiude: dalla paura del primo giorno, al riconoscimento pubblico dell’ultimo.

Ora sto bene

MINUTAGGIO: 1:43:44-1:45:30
RUOLO: Auggie
ATTORE:
Jacob Tremblay
DOVE: Netflix


Mentre andavo verso quel palco mi sembrava di galleggiare, il cuore mi batteva all’impazzata. Non capivo bene perché mi dessero una medaglia. Non avevo mica fatto saltare in aria la Morte Nera. Avevo solo finito la prima media, come tutti gli altri. Ma in fondo forse è proprio questo il punto. Forse la verità è che davvero non sono normale. Forse se sapessimo quello che pensano gli altri capiremmo che nessuno è normale, e che tutti meritiamo una standing ovation almeno una volta nella vita. I miei amici. I miei insegnanti. Mia sorella, per essermi stata sempre accanto. Mio padre, per averci faccio sempre ridere. E mia madre la merita più di tutti, per non essersi mai arresa, in niente, soprattutto con me. E’ come l’ultimo progetto che ci ha dato il signor Brown. Siate gentili, perché tutti combattono una battaglia dura, e se vuoi davvero vedere come sono le persone, non devi fare altro che guardare.

Wonder

Wonder, film del 2017 diretto da Stephen Chbosky, tratto dal romanzo omonimo di R.J. Palacio. È una pellicola che apparentemente sembra semplice, con un tono delicato e un messaggio chiaro, ma in realtà lavora in maniera molto intelligente su più livelli: quello dell’identità, dell’empatia e della prospettiva. Al centro del film c’è August Pullman, detto Auggie, un bambino di dieci anni nato con una malformazione cranio-facciale, che ha subito numerosi interventi chirurgici fin dalla nascita. Auggie è stato educato a casa fino a quel momento, ma i suoi genitori decidono che è giunto il momento di iscriverlo in una scuola vera e propria: la Beecher Prep, una scuola media privata.

Il film racconta il primo anno di scuola di Auggie, tra ostacoli, pregiudizi e tentativi di integrazione, ma lo fa con una struttura narrativa interessante: alternando i punti di vista. Non si limita a mostrarci la storia attraverso gli occhi del protagonista, ma ci offre anche le prospettive degli altri personaggi chiave, come la sorella Via, l’amico Jack Will, e l’amica Miranda.

Una delle scelte narrative più interessanti è proprio quella di suddividere la trama in capitoli tematici, ognuno centrato su un personaggio. Questa struttura spezza l’idea che esista una sola verità o una sola storia: ogni personaggio vive gli eventi con il proprio bagaglio emotivo, le proprie ferite, i propri silenzi. E qui il film gioca bene, perché ci costringe a ricalibrare continuamente il nostro giudizio.

Auggie, interpretato da Jacob Tremblay, è ovviamente il cuore della storia. Il film ci mostra il suo tentativo di essere “normale” in un mondo che non lo guarda mai per quello che è, ma per come appare.
Via, la sorella maggiore, è un personaggio che potrebbe tranquillamente essere dimenticato in un altro film. Ma qui ha un suo spazio narrativo autonomo. Cresciuta nell’ombra delle attenzioni mediche rivolte ad Auggie, ha sviluppato una maturità precoce e una forte resilienza.
Jack Will, compagno di classe e amico di Auggie, rappresenta l’ambiguità dell’adolescenza. È un ragazzino buono, ma debole. Cede alla pressione sociale e ferisce Auggie, salvo poi cercare un modo sincero per riconciliarsi.

Miranda, amica di Via, è un altro esempio di come il film costruisca personaggi che vivono emozioni autentiche. Non è la “bella e popolare” nel senso stereotipato, ma una ragazza fragile, sola, che si reinventa per sentirsi accettata.


Temi principali

Identità – Il film lavora costantemente sul contrasto tra ciò che si vede e ciò che si è. Il volto di Auggie è la metafora più evidente, ma in realtà tutti i personaggi nascondono qualcosa dietro una “facciata”.

Empatia e riconoscimento – La frase chiave del film è una citazione di Wayne Dyer: "Quando puoi scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile". L’empatia non è presentata come una qualità automatica, ma come una scelta attiva. La gentilezza è un muscolo che va allenato.

Famiglia e assenza – I genitori di Auggie (Julia Roberts e Owen Wilson) sono presenti, affettuosi, ma inevitabilmente incentrati su di lui. Via e Miranda, due figure “satellite”, mostrano cosa succede quando ti senti trascurato, anche se nessuno lo ha fatto di proposito.

Analisi Monologo

“Mentre andavo verso quel palco mi sembrava di galleggiare, il cuore mi batteva all’impazzata.” Non c’è enfasi trionfalistica, c’è smarrimento. Non perché si senta inadeguato, ma perché fatica a credere che ciò stia accadendo davvero. Un bambino che si è abituato a passare inosservato, ora si trova al centro di una celebrazione. Non avevo mica fatto saltare in aria la Morte Nera.” Questa battuta, con il solito riferimento a Star Wars, torna a umanizzare Auggie. È una frase che relativizza il momento: non si sente un eroe. Ha solo finito la scuola media. Eppure, proprio qui si insinua il dubbio:

Ma in fondo forse è proprio questo il punto. Forse davvero non sono normale.” Non è più una constatazione amara, come all’inizio del film. È una riflessione aperta. Auggie non sta cercando di normalizzarsi, sta ridefinendo cosa sia normale. E lo fa con una frase che cambia completamente la prospettiva del film: Forse se sapessimo quello che pensano gli altri capiremmo che nessuno è normale...” Questo passaggio è il cuore filosofico del monologo. Auggie passa dall’idea di essere l’unico diverso, a quella che la diversità è la regola. È un pensiero sorprendentemente adulto: riconosce che ognuno vive la propria battaglia. E se potessimo vedere dentro gli altri, smetteremmo di usare la “normalità” come metro di giudizio.

Poi arriva la parte della gratitudine: I miei amici. I miei insegnanti. Mia sorella... Mia madre.Qui il monologo cambia tono: da riflessione collettiva si fa personale. Auggie riconosce chi lo ha sostenuto, con un linguaggio semplice, sincero, privo di retorica. E quando parla della madre, arriva al punto più intimo: “Per non essersi mai arresa, in niente, soprattutto con me.”

È la forma più alta di riconoscimento: Auggie capisce di essere stato amato non “nonostante” la sua condizione, ma nella sua interezza. Non c'è idealizzazione, ma un’onesta gratitudine.

Infine, la chiusura: Siate gentili, perché tutti combattono una battaglia dura, e se vuoi davvero vedere come sono le persone, non devi fare altro che guardare.” Questa è la lezione di Mr. Browne, ma nelle parole di Auggie assume una nuova profondità. Non è più un compito scolastico. È diventato un principio di vita. E soprattutto è un invito a guardare davvero, con attenzione e senza pregiudizi. Perché la gentilezza, in questo film, non è mai presentata come un gesto facile. È una forma di attenzione attiva. Quasi una forma di resistenza.

Conclusione

Questo monologo finale chiude un viaggio di trasformazione. Quando Auggie dice “forse davvero non sono normale”, lo fa senza giudicarsi. È passato dal desiderio di “fondersi con gli altri” alla consapevolezza che ognuno è unico. E questa consapevolezza non lo isola: lo avvicina.

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