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~ LA REDAZIONE DI RC
Stiamo entrando nel cuore scuro di The Northman. Questo monologo di Gudrún, interpretato da Nicole Kidman, è uno dei momenti più disturbanti e spiazzanti del film. Non è solo il punto di svolta narrativo, ma è anche il momento in cui tutta la visione del mondo di Amleth — e quindi anche la nostra come spettatori — si frantuma in mille pezzi. Vediamolo in tre fasi: introduzione, analisi e conclusione. Fino a questa scena, Gudrún è un’assenza sacralizzata nella memoria di Amleth. È la madre da salvare, la regina prigioniera, la vittima da liberare. La sua immagine è scolpita nella testa di Amleth in maniera quasi religiosa: un simbolo di purezza e innocenza. Quello che succede invece è un rovesciamento totale. In una scena densa di tensione Gudrún racconta la sua verità. E distrugge tutto.
MINUTAGGIO: 1:29:31-1:32:55
RUOLO: Gudrun
ATTRICE: Nicole Kidman
DOVE: Netflix
INGLESE
I see you have inherited your father’s simpleness. I never mourned him. You were his queen. Your father endured me because I bore him a son. No. His affections were only for silver and rutting his whores. I know not if he had heart enough to love you. He was a coward feigning to be a king. He was nothing. He was just another proud, lust-stained slaver. Yet his brother… His fine brother. A bastard has no shame of himself nor his trade. Your uncle loved me, though he knew well my past. Amleth. Even now, you believe the fairy tale I told you is true? “A noble bride hailing from the land of Brittany”? I never began as his bride. How easily we all become princesses again when the beasts take us for their wives. Yes. You were forced upon your mother. Gunnar was received freely with love. And know you this, it was I who begged on my knees for Fjolnir to kill King Aurvandil. I pressed my lips upon his strong, sweet hand. I kissed it and I begged. And so this day would never come, Fjolnir ordered your death, along with your own mother’s blessing.
ITALIANO
Hai ereditato la dabbenaggine di tuo padre. Io non l'ho mai pianto. Tuo padre mi sopportava appena, perché gli avevo dato un figli. Le sue attenzioni erano solo per l'argento e le sue puttane in calore. Non so neanche se avesse abbastanza cuore per amare te. Era un codardo che si fingeva un re. Non era niente, era solo un altro superbo stupratore di schiave. Invece suo fratello… il suo eccellente fratello. Un bastardo non sente vergogna di se stesso, ne del suo mestiere. Tuo zio è riuscito ad amarmi, pur conoscendo bene il mio passato. Amleth, ancora pensi che la favola che ti ho raccontato sia vera? Una nobile sposa originaria della guerra di Bretagna. Non ho certo cominciato come sua sposa. Come è facile diventare principesse, quando le bestie ci prendono come mogli. Tu sei stato imposto a tua madre, Gunnar è stato accolto liberamente, con amore. E sappi questo: sono stata io che ho supplicato in ginocchio Fjolnir perché uccidesse re Alvandir. Ho premuto le mie labbra, ho baciato la sua dolce e forte mio, l'ho baciata e l'ho implorato. E perché questo giorno non arrivasse mai, Fjolnir ha ordinato che tu fossi ucciso con la benedizione di tua madre.
"The Northman" è un film del 2022 diretto da Robert Eggers, ambientato nell’Islanda del X secolo. È un revenge movie, ma in chiave mitico-arcaica, ispirato direttamente alla leggenda di Amleth, la stessa che qualche secolo dopo avrebbe ispirato Shakespeare per l’Amleto.
La trama segue un arco narrativo essenziale, quasi rituale, costruito come un poema epico vichingo in cui i sentimenti sono scolpiti nella pietra, e le emozioni si muovono come forze primordiali. Il protagonista è Amleth, figlio del re Aurvandil War-Raven (interpretato da Ethan Hawke) e della regina Gudrún (Nicole Kidman). Dopo un rituale d’iniziazione piuttosto disturbante e visivamente intenso — in perfetto stile Eggers — Amleth assiste all’omicidio del padre da parte dello zio Fjölnir (Claes Bang), che prende il potere e si appropria della madre.
A questo punto la trama si riduce a un’ossessione che diventa mantra:
"Vendicherò mio padre, salverò mia madre, ucciderò Fjölnir."
Il giovane Amleth fugge e cresce trasformandosi in un guerriero brutale, quasi una bestia, interpretato da Alexander Skarsgård con un corpo scolpito più per evocare un dio della guerra che un essere umano. Quando scopre che Fjölnir ha perso il suo regno ed è finito a vivere come contadino in Islanda, Amleth decide di infiltrarsi come schiavo. È qui che il film cambia passo. La vendetta non è più un gesto esplosivo e immediato, ma una discesa lenta, calcolata, piena di simboli, allucinazioni e apparizioni mitologiche. Incontra Olga (Anya Taylor-Joy), una schiava-slava con capacità quasi sciamaniche, che diventa sua alleata e complice.
La seconda metà del film è dominata da un gioco mentale e violento tra Amleth e Fjölnir, fatto di mutilazioni, omicidi notturni, corpi appesi, e visioni sovrannaturali. La vendetta, in Eggers, non è mai catartica: è una maledizione, qualcosa che si porta dietro distruzione anche per chi la compie.
"Hai ereditato la dabbenaggine di tuo padre..."
La prima frase è già una coltellata. Gudrún non si limita a criticare il marito morto, lo demolisce. Aurvandil, il "War-Raven", l’eroe guerriero, viene dipinto come un codardo e un predatore. Questo non è solo un attacco personale, è un attacco al mito. La figura paterna idealizzata da Amleth si rivela per quello che è agli occhi di Gudrún: un oppressore, un uomo debole e crudele, che non ha mai amato né lei né il figlio.
"Non ho certo cominciato come sua sposa."
Qui emerge una verità storica: Gudrún era una schiava, presa con la forza. L'elemento più potente del monologo è proprio questo ribaltamento del potere. La “regina” è in realtà una donna che ha imparato a sopravvivere in un sistema brutale, maschile, feudale. E per sopravvivere ha fatto una scelta radicale: ha usato la seduzione, la manipolazione e infine la violenza indiretta.
"Sono stata io che ho supplicato in ginocchio Fjölnir perché uccidesse re Aurvandil."
Questo è il colpo mortale. Gudrún confessa non solo di non essere stata salvata da Fjölnir, ma di averlo spinto lei stessa a compiere l’assassinio. In un gesto di potere mascherato da sottomissione (quasi shakespeariano, tra Lady Macbeth e Medea), Gudrún prende possesso del proprio destino, in un mondo dove le donne sono continuamente oggettivate. E lo fa tradendo il figlio.
La parte finale è ancora più brutale:
“Fjölnir ha ordinato che tu fossi ucciso con la benedizione di tua madre.”
Amleth, il protagonista vendicatore, scopre non solo che la madre non vuole essere salvata — ma che ha desiderato la sua morte. È un trauma su trauma. Il mondo si capovolge, l’eroe perde l’ultima ragione che lo teneva in piedi.
Questo monologo cancella il mito fondante della vendetta. Amleth scopre di essere nato da uno stupro, cresciuto in una menzogna, e che l’unica missione della sua vita era basata su una favola. Il suo percorso da "vendicatore" ora si scontra con una verità che lo costringe a fare i conti con l’ambiguità morale della sua stessa esistenza.
Gudrún non è un semplice personaggio negativo: è un personaggio tragico. Una donna che ha imparato a sopravvivere in un mondo fatto per schiacciare persone come lei. La sua crudeltà non è gratuita: è il risultato di decenni di oppressione, di violenza, di silenzio.
E per questo la sua confessione è anche un atto di potere.
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