Il monologo di Kirk in “Lei è troppo per me”: analisi di una dichiarazione disastrosa

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Kirk arriva in un momento del film in cui lui è ancora fermo, siamo all’inizio del film. Sta per cominciare a frequentare Molly, ma non ha ancora interiorizzato l’idea di “meritarsela”, non si immagina che accadrà di lì a breve. In questo senso, tornare da Marnie – la sua ex, che lo ha sempre trattato con sufficienza – è un atto di autodifesa, quasi inconscio. Kirk non torna da lei perché la ama, ma perché con lei sa chi è: un ragazzo insicuro, subordinato, abituato a farsi piccolo. È la sua zona di comfort emotiva, anche se tossica.

Ti va di tornare insieme?

MINUTAGGIO: 00:20-2:00
RUOLO: Kirk
ATTORE:
Jay Baruchel
DOVE: Netflix

Marnie, noi abbiamo voluto prenderci una pausa, e credo sia stata una grande idea, perché ci ha dato modo di poter… sperimentare, si può dire, cioè. Poter conoscere gente nuova, scambiare opinioni… Tu hai sperimentato molto più di me, a dirla tutta. Hai sperimentato davvero tanto, sei quasi una scienziata. Una specialista. Ma non mi crea problemi, questo, sai? Perché io credo che ora… siamo cresciuti, siamo più forti. Ma sai che c’è Marnie? Sono passati due anni. Io mi sento pronto per provarci di nuovo. Ho bisogno di te. Ho bisogno di noi. Ti ho portato una cosa. (Estrae una terribile foto e un’ancora più terribile cornice a forma di cuore). Allora?

Lei è troppo per me

"Lei è troppo per me" (titolo originale: She’s Out of My League), è una commedia romantica del 2010 diretta da Jim Field Smith, con Jay Baruchel e Alice Eve come protagonisti. A prima vista sembra il classico film da serata leggera, ma dentro ci troviamo un interessante studio sulle insicurezze, sulle dinamiche sociali legate all’autostima e su come spesso si costruiscono relazioni basate su percezioni distorte.

Il protagonista è Kirk Kettner (Jay Baruchel), un ragazzo comune, un po’ goffo, che lavora come addetto alla sicurezza in aeroporto. La sua vita è un limbo: la sua ex ragazza è ancora invischiata nella sua quotidianità, vive con i genitori e si sente chiaramente fuori posto rispetto a qualsiasi idea di “successo” personale o professionale. È il classico underdog, non in senso tragico, ma in senso banale. Quello che la società etichetta come “normale” ma che, nel confronto con gli standard estetici o professionali dominanti, si percepisce costantemente in difetto.

Tutto cambia quando incontra Molly McCleish (Alice Eve), una ragazza attraente, elegante, brillante, che per puro caso dimentica il telefono in aeroporto e lui glielo restituisce. Da qui inizia una dinamica tanto surreale quanto possibile: Molly comincia a mostrare interesse nei confronti di Kirk. E lui – insieme a tutti gli altri attorno a lui – non riesce a capacitarsene.

Il motore comico e drammatico del film è la costante lotta interiore di Kirk che non si sente abbastanza. Il suo problema non è Molly, non è la relazione in sé. Il vero conflitto è tra quello che pensa di sé e quello che gli altri – o meglio, la società – gli hanno fatto credere di meritare.

I suoi amici gli danno un “voto”: lui è un “5”, Molly è un “10”. E in questo sistema numerico da liceo americano si incastra l’intero senso del film: chi decide chi “vale” cosa in amore? Quanto è tossica questa logica del “fuori dalla mia portata”? E, soprattutto: cosa succede quando interiorizzi quell’idea al punto da autosabotarti?

Analisi Monologo

"Marnie, noi abbiamo voluto prenderci una pausa, e credo sia stata una grande idea, perché ci ha dato modo di poter… sperimentare…" Kirk inizia con una falsa consapevolezza. Parla come se stesse prendendo atto di una crescita, di un processo maturo… ma le parole “sperimentare” e “conoscere gente nuova” sono dette con evidente difficoltà. Il linguaggio è vago, interrotto, incerto. Non è un uomo che ha superato la rottura. È un ragazzo che sta cercando di razionalizzare il proprio fallimento sentimentale, mascherandolo da percorso di maturazione.

"Tu hai sperimentato molto più di me, a dirla tutta. Hai sperimentato davvero tanto, sei quasi una scienziata. Una specialista." Qui il tono cambia. Entra il sarcasmo, ma è un sarcasmo amaro. Kirk sta tentando di essere spiritoso, ma il sottotesto è velenoso: sta accusando Marnie, indirettamente, di essere andata con altri uomini. Eppure lo fa con parole che sembrano quasi complimenti, come se volesse rimanere elegante. Il risultato è tragicomico: sta implodendo, e non se ne rende conto. "Ma non mi crea problemi, questo, sai?" Questa frase è la più bugiarda del monologo. È la maschera più evidente: lui è chiaramente turbato, ma vuole a tutti i costi mostrarsi superiore. In realtà si sta sforzando di convincere sé stesso. Questo è un momento da manuale di “self-delusion”: non stai parlando all’altra persona, stai tentando di riordinare la tua stessa testa.

"Perché io credo che ora… siamo cresciuti, siamo più forti. Ma sai che c’è Marnie? Sono passati due anni. Io mi sento pronto per provarci di nuovo. Ho bisogno di te. Ho bisogno di noi." Qui Kirk tocca il fondo. Non perché sia disperato, ma perché non sa nemmeno perché lo sta facendo. Non c’è passione, non c’è reale desiderio. C’è una necessità di definizione: “ho bisogno di noi” è il tentativo disperato di recuperare un’identità perduta. Il problema? “Noi” non esiste più. E probabilmente  non è mai esistito davvero come lui lo immaginava. "Ti ho portato una cosa." (e mostra la cornice a cuore con foto terribile) Questo oggetto è perfetto. È il simbolo della sua idea distorta di romanticismo: un gesto infantile, fuori tempo massimo, appiccicoso nella forma e vuoto nel contenuto. È l’apice dell’imbarazzo. Non perché faccia ridere, ma perché fa male. Chiunque abbia vissuto una rottura sa quanto può essere umiliante aggrapparsi a simboli che dovrebbero risolvere qualcosa che non si può più salvare.

Conclusione

Quello che Kirk fa in questa scena è una supplica di validazione. Sta cercando di rientrare in un ruolo che conosce, pur sapendo – nel profondo – che non gli appartiene più. La vera evoluzione arriverà solo dopo, quando capirà che il problema non è “conquistare” Molly o “riconquistare” Marnie… ma accettarsi come è, senza scuse.

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