Il monologo di KJ Apa in The Last Summer: analisi e significato

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo all’inizio dell’estate. Il liceo è finito, l’università è lì che aspetta. Ma The Last Summer non parte con una scena d’azione, né con un dialogo. Parte con una riflessione. E quella riflessione arriva dalla voce di Griffin (KJ Apa), che apre il film con un monologo costruito come un flusso di coscienza controllato: breve, ritmato, pieno di “pause interne” che lo rendono quasi musicale.

L'ultima estate

MINUTAGGIO: 00:10-1:47 

RUOLO: Griffin

ATTORE: KJ Apa

RUOLO: Netflix


ITALIANO

Incombe. Il futuro voglio dire. Finalmente è arrivato. Il momento che attendevamo dal primo minuto del primo giorno dell’ultimo anno di liceo: le vacanze estive. L’ultima occasione per non pensare. Per annullare tutto. Per darci dentro. Per fare progetti. O… un piano b. L’ultima occasione per amare te stesso. O fingere di essere un altro. In 72 giorni hai l’ultima occasione per le tue cotte secolari, o per prendere una decisione stupida. E giocarsi tutto. Perché, cosa abbiamo da perdere, vero?

The last summer

The Last Summer, film del 2019 diretto da William Bindley, prodotto da Netflix, con un cast giovane guidato da KJ Apa (Riverdale), Maia Mitchell (The Fosters), Jacob Latimore, Halston Sage e altri volti noti del teen drama contemporaneo.

Ambientato in una Chicago estiva e luminosa, The Last Summer segue un gruppo di adolescenti all’ultimo anno di liceo, alle prese con il passaggio all’età adulta, poco prima che ognuno di loro prenda strade diverse per l’università. Il film non ha una sola storyline principale: è una narrazione corale, costruita come un mosaico di vicende intrecciate, in cui ogni personaggio rappresenta un diverso tipo di transizione, di dubbio, di scelta.

Non è tanto una storia densa di eventi quanto un ritratto generazionale, fatto di dialoghi leggeri, svolte prevedibili e una certa patina estetica da "giovani belli e inquieti". Non è un dramma adolescenziale alla Lady Bird, né ha l’ironia brillante di Love, Simon. Gioca piuttosto sulla nostalgia immediata: quella di un’estate ancora in corso che già comincia a mancare mentre la si vive.

Le varie linee narrative procedono in parallelo: Griffin (KJ Apa) e Phoebe (Maia Mitchell) si incontrano per caso e costruiscono un legame genuino, ostacolato da segreti familiari e scelte universitarie. Lui è il figlio di due genitori divorziati, destinato a una prestigiosa università; lei è una ragazza con ambizioni artistiche, più incerta sul proprio futuro. La loro storia è il centro emotivo del film, ed è quella più classica: la "boy meets girl" con complicazioni da college in arrivo.

Erin e Alec, una coppia che si lascia all’inizio del film per potersi “godere l’estate” da single prima del college, e finisce in una spirale di rivalità, tentativi di ingelosirsi, e un confronto finale su cosa significhi davvero "crescere insieme". Foster e Chad, due amici nerd che decidono di passare l’estate cercando di avere relazioni fugaci grazie a una lista (piuttosto triste) di ragazze che Foster afferma di aver già frequentato. Qui il tono vira sulla commedia leggera, ma il percorso di Chad prende una piega più tenera quando inizia una relazione inaspettata con una donna più grande.

Audrey, una ragazza che ha perso il posto all’università e passa l’estate lavorando come babysitter, cercando di capire chi è davvero al di fuori del percorso prestabilito che tutti si aspettano da lei.

Analisi Monologo

“Incombe. Il futuro voglio dire.” Due parole per aprire: “Incombe”. Secco, netto. È una scelta interessante. Non dice “Il futuro sta arrivando” o “È alle porte”. Dice “incombe”. È una parola che porta con sé una certa pressione, quasi un’ombra. Come a dire che quello che dovrebbe essere un momento di libertà – l’estate – in realtà è già carico di aspettative. “Finalmente è arrivato. Il momento che attendevamo dal primo minuto del primo giorno dell’ultimo anno di liceo: le vacanze estive.” Qui si passa a un tono più leggero. Il contrasto è voluto: prima la parola grave (“incombe”), poi il tono eccitato del conto alla rovescia che ogni adolescente conosce. Si crea una tensione tra la voglia di spensieratezza e il peso che ogni singolo momento estivo comincia ad assumere proprio perché è “l’ultimo”.

“L’ultima occasione per non pensare. Per annullare tutto. Per darci dentro. Per fare progetti. O… un piano b.” È interessante come la struttura frasale diventi quasi uno slogan: brevi frasi dichiarative, ritmo veloce. Ogni opzione sembra valida, ma ogni scelta nasconde una fuga. “Annullare tutto” è un’espressione pesante per chi dovrebbe essere felice. “Un piano B” è l’ammissione che i piani A, quelli sognati per anni, potrebbero non funzionare. “L’ultima occasione per amare te stesso. O fingere di essere un altro.” Qui il monologo diventa più personale. Si parla di identità. Dell’ultima possibilità di capire chi si è, oppure di giocare ancora un po’ a essere qualcun altro. È una frase che ha a che fare con il grande tema dell’adolescenza: chi sto diventando? E cosa succede se non mi piace la risposta?

“In 72 giorni hai l’ultima occasione per le tue cotte secolari, o per prendere una decisione stupida. E giocarsi tutto.” La precisione del numero – 72 giorni – è quasi ossessiva. Come se ogni giornata contasse. Ed è proprio questo che fa scattare l’ansia estiva: la consapevolezza che ogni istante potrebbe essere decisivo. “Giocarsi tutto” non vuol dire fare qualcosa di eroico. Vuol dire fare qualcosa di impulsivo, emotivo, autentico.

“Perché, cosa abbiamo da perdere, vero?” E qui arriva la chiusa, quasi buttata lì. Sembra una domanda leggera, ma in realtà è pesante. È la frase che si dice chi è in bilico. Che sa di non essere ancora adulto, ma sente che il tempo per “giocare” sta finendo.

Conclusione

Questo monologo è l’esempio perfetto di come The Last Summer costruisca il suo linguaggio emotivo: non con grandi rivelazioni o frasi ad effetto, ma con parole che sembrano uscite da un diario, o da una nota scritta sul telefono durante una notte d’estate. KJ Apa lo interpreta con una voce tranquilla, quasi piatta, ma non svogliata – come chi sta riflettendo ad alta voce e ha bisogno di sentirsi dire certe cose per crederci.

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