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~ LA REDAZIONE DI RC
Nel film "I'm Thinking of Ending Things" del regista Charlie Kaufman, questo monologo, che funge da cuore pulsante del film, rivela non solo le sue lotte personali con un pensiero invasivo ma anche riflessioni più ampie sulla realtà, l'identità e la solitudine.
MINUTAGGIO: 0:10-2:30
RUOLO: Lucy
ATTRICE: Jessie Buckley
DOVE: Netflix
INGLESE
I'm thinking of ending things. Once this thought arrives, it stays. IIt sticks, it lingers, it dominates. There's not much I can do about it, trust me. It doesn't go away. It's there whether I like it or not. It's there when I eat, when I go to bed. It's there when I sleep. It's there when I wake up. It's always there. Always. I haven't been thinking about it for long. The idea's new. But it feels old at the same time. When did it start? What if this thought wasn't conceived by me, but planted in my mind, pre-developed? Is an spoken idea unoriginal? Maybe I've actually known all along. Maybe this is how it was always going to end. Jake once said, "Sometimes the thought is closer to the truth, to reality, than an action. You can say anything, you can do anything, but you can't fake a thought. The road is mostly empty. It's quiet around here. Vacant. More so than anticipated. So mutch to see, but no many people. Not many buildings or houses. Sky. Trees, fields, fences. The roads and its gravel shoulders. "You wanna stop for a coffe?" "I think I'm ok", I say. "Last chance we'll have before it becomes really farm-y". I'm visiting Jake's parents for the first time. Or I will be, when we arrive. Jake, my boyfriend. He hasn't been my boyfriend for very long. It's our first trip together, our first long drive. So it's weird that I'm feeling nostalgic, about our relationship, about him, about us. I should be exited, looking forward for the first of many. But I'm not. Not at all.
ITALIANO
Sto pensando di finirla qui. Una volta che arriva, il pensiero resta lì e si attacca, persiste, spadroneggia. Non c’è molto che io possa fare. Credetemi. Non va via. È lì, che mi piaccia o no. È lì quando mangio, quando vado a letto, è lì quando dormo, è lì quando mi sveglio. È sempre lì. Sempre. Non è da molto che ci penso. L’idea è nuova. Ma nello stesso tempo sembra vecchia. Quand’è che è cominciato? E se non fossi stata io a concepirla ma mi fosse stata impiantata in testa già sviluppata? È un’idea non detta, non originale. Forse, in realtà, l’ho sempre saputo. Forse è così che doveva andare a finire. Jake una volta ha detto che un pensiero può essere più vicino alla verità, alla realtà, di un’azione. Puoi dire qualunque cosa, fare qualunque cosa, ma non puoi fingere un pensiero. La strada è quasi vuota. Qui intorno c’è un silenzio completo. È più deserto di quanto mi aspettassi. C’è tanto da vedere ma poche persone, pochi edifici o case. Cielo, alberi, campi, staccionate, la strada e il suo ciglio ghiaioso. “Vuoi fermarti per un caffè?”. No grazie, dico. È l’ultima occasione che abbiamo prima che diventi campagna vera. È la mia prima visita ai genitori di Jake. Cioè, lo sarà quando arriveremo. Jake, il mio ragazzo. Non è il mio ragazzo da molto. È la nostra prima gita insieme, il primo viaggio lungo in macchina. Perciò è strano che io senta nostalgia del nostro rapporto, di lui, di noi. Dovrei essere emozionata, felice che sia il primo di tanti. Ma non lo sono. Per niente.
"Sto pensando di finirla qui", diretto da Charlie Kaufman, presenta una trama avvolgente e complessa che sfida le convenzioni narrative e gioca con le percezioni dello spettatore. La storia inizia con una giovane donna, la cui voce narrante ci rivela che sta considerando di porre fine alla sua relazione con il suo ragazzo, Jake. Nonostante i suoi dubbi, decide di accompagnarlo a casa dei suoi genitori per una visita. Durante il viaggio in auto verso la fattoria isolata dei genitori di Jake, la coppia discute di vari argomenti, mostrando una certa tensione e disconnessione emotiva.
Arrivati alla fattoria, le cose prendono una svolta ancora più strana. I genitori di Jake si comportano in modo bizzarro e il tempo sembra non seguire una logica coerente; i genitori appaiono alternativamente giovani e vecchi in momenti diversi. La casa stessa e gli oggetti in essa contenuti sembrano cambiare sottilmente, creando un'atmosfera di crescente surrealismo.
Mentre la visita prosegue, la narrativa si fa sempre più frammentata e disorientante. Vengono inseriti elementi metaforici e allusivi, come discussioni su opere d'arte, fisica e filosofia, che riflettono i temi della memoria, dell'identità e del tempo. Il passato, il presente e il futuro dei personaggi sembrano fondersi, suggerendo che la realtà percepita dalla protagonista potrebbe non essere affatto affidabile.
Dopo la visita, il viaggio di ritorno è altrettanto inquietante, culminando in una scena in una scuola deserta dove Jake e la giovane donna si confrontano con i loro timori e desideri più profondi.
Il monologo di Lucy è un'analisi del pensiero ricorrente, invasivo, che la protagonista esplora lungo tutto il film. Lucy inizia il monologo con "Sto pensando di finirla qui", un pensiero che descrive come persistente e onnipresente. Questo stabilisce il tono per la sua lotta interiore, e sottolinea anche come alcuni pensieri possono diventare dominanti fino a definire la nostra esperienza quotidiana. Lucy si interroga sull'origine del suo pensiero, suggerendo l'idea che potrebbe non essere stato generato autonomamente, ma "impiantato".La citazione di Jake, "un pensiero può essere più vicino alla verità, alla realtà, di un'azione", amplifica questa idea. Suggerisce che ciò che pensiamo in modo privato può essere più rivelatore delle nostre verità interiori rispetto a ciò che manifestiamo esternamente. Ciò solleva questioni filosofiche sulla natura della realtà e su come essa viene percepita o costruita.
La descrizione del viaggio verso la casa dei genitori di Jake evoca un senso di isolamento. Le immagini del paesaggio vuoto e desolato rispecchiano il suo stato interiore di solitudine e distacco. Lucy sente nostalgia di una relazione che non ha ancora avuto il tempo di svilupparsi, indicando una dissonanza tra ciò che potrebbe essere e ciò che è. Lucy nota come dovrebbe sentirsi "emozionata, felice" per questo primo importante viaggio con Jake, ma in realtà non lo è. Questa discrepanza tra le aspettative sociali o personali e i suoi veri sentimenti amplifica il suo senso di alienazione e fornisce uno spunto per riflettere sulla pressione delle norme sociali e sulla difficoltà di conformarsi ad esse quando si sente diversamente.
Il monologo di Lucy rappresenta una narrazione sofisticata e multistrato che trascende il semplice dialogo cinematografico. Attraverso la voce di Lucy, Charlie Kaufman ci porta in un viaggio nell'interiorità del personaggio, mettendo in luce la potenza dei pensieri non detti e delle emozioni sopite. Questa analisi del monologo ci rivela quanto profondamente i nostri pensieri interni possano definire la nostra esperienza di vita, suggerendo che la nostra più intima essenza e la realtà stessa siano costruzioni tanto fragili quanto complesse.
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