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~ LA REDAZIONE DI RC
In un film costruito su relazioni distorte, abbandoni e silenzi, questo monologo della madre (interpretata da Geena Davis) rappresenta la voce che Ava ha aspettato per tutta la vita. È la confessione di una donna che ha scelto la paura invece che la protezione, e che adesso guarda in faccia le conseguenze. Ma non c’è vittimismo in quello che dice: c’è chiarezza, e forse anche una forma di rispetto nei confronti della figlia.
MINUTAGGIO: 1:07:30-1:09.00
RUOLO: Bobbi
ATTRICE: Geena Davis
DOVE: Netflix
INGLESE
You should choose carefully what you tell me, Ava. 'Cause you can't... un-say it, and I can't un-hear it. And I would love to believe that you work at the United Nations, honey, I really would. I'm sorry. I... I knew who your father was when I married him. I didn't want to look at that part of him, so... I focused on the half of him that made me happy and I, uh, ignored the half of him that broke my heart. If I'd have called him out then for screwing around, it'd be not only for his betrayal, it'd be because he lied about his daughter to save his own a*s, and... well, any decent mother would have to leave the man then, right? I was scared to be alone. I chose him over you. That's why I didn't want to talk to you. I dreaded you calling every six months, because... you knew what I'd done. Whatever it is, whatever it is that you've been hiding... I don't care. Because I can see in your eyes that it's given you a strength... You would never do to your child... what I did to mine. I can see, you are not scared. And that... makes me very proud.
ITALIANO
Dovresti decidere con attenzione che cosa dirmi, Ava. Perché non puoi rimangiartelo. E io non posso non ascoltare. Vorrei veramente credere che lavori alli Nazioni Unite, tesoro… io lo vorrei tanto. Io lo sapevo chi era tuo padre quando l’ho sposato. Non volevo vedere quel lato di lui. Quindi mi sono concentrata solo sulle cose in cui mi rendeva felice. E ho ignorato quella parte che mi ha spezzato il cuore. Avrei dovuto affrontarlo quando scopava in giro. E non soltanto perché mi tradiva. Ma soprattutto perché… Aveva mentito su sua figlia per salvarsi il culo. Beh, qualsiasi madre dignitosa avrebbe dovuto lasciare quell’uomo, giusto? Ma io avevo paura di stare da sola. E ho scelto lui al posto tuo. Ecco perché io non volevo parlarti, sapevo che mi chiamavi ogni sei mesi perché… Conoscevi la verità. Qualsiasi cosa… qualsiasi cosa tu mi nasconda non mi interessa. Perché io vedo nei tuoi occhi che ti dà forza. Tu non faresti mai a tua figlia quello che io ho fatto alla mia. Ma lo vedo, che tu non hai paura. E questo mi rende molto orgogliosa.
"Ava" (2020), diretto da Tate Taylor, è un thriller d’azione che si muove tra ombre familiari e un mondo di violenza sistemica, mettendo al centro un personaggio femminile con un passato spezzato e una lucidità affilata come un bisturi. La trama ruota intorno ad Ava Faulkner, interpretata da Jessica Chastain, che dà al film non solo il nome, ma soprattutto un’anima stanca e lucida, in bilico tra senso di colpa, ricerca di redenzione e istinto di sopravvivenza. L’inizio del film ci cala subito nel suo mondo: Ava è un’ex soldatessa con una dipendenza alle spalle, ora al servizio di un’agenzia clandestina che elimina bersagli con precisione chirurgica. Ma a differenza dei colleghi, Ava ha un’abitudine rischiosa: chiede alle sue vittime perché qualcuno le voglia morte. E questa non è una semplice eccentricità narrativa. È la crepa che mina tutta l’impalcatura del suo lavoro.
Fare domande significa cercare senso in qualcosa che dovrebbe essere solo esecuzione. Vuol dire che Ava non ha chiuso del tutto i conti con se stessa.
E infatti, durante un colpo in Francia, mentre interroga un uomo d'affari prima di ucciderlo, viene ascoltata da Camille, una figura laterale all’inizio ma che tornerà con forza nel finale. Questo dettaglio è importante: la scena introduce il tema del controllo e della sorveglianza, e suggerisce che in questo mondo di spie e sicari, nessun gesto resta invisibile. Il ritorno a Boston ci svela una seconda dimensione del personaggio: Ava come sorella, come figlia, come ex fidanzata. Sono passati otto anni dall’ultima volta che ha visto la famiglia. Sua madre è malata, Judy (la sorella) ha preso il suo posto nella vita del suo ex compagno Michael. Le tensioni sono immediate. Il passato di Ava pesa come una presenza costante nella stanza: le sue dipendenze, la sua sparizione, il suo ritorno improvviso. Ma non si tratta solo di conflitti emotivi, qui il dramma familiare è una specie di specchio distorto della sua vita come assassina. In entrambi i mondi, Ava è una figura ambigua: amata e temuta, rifiutata ma necessaria.
Il rapporto con Duke, mentore e figura paterna, è un altro dei poli emotivi del film. All’inizio sembra l’unico a volerle bene per davvero, l’unico a difenderla quando l'organizzazione – capeggiata da Simon – comincia a considerarla una variabile fuori controllo. Ma anche qui il film gioca con l’ambiguità: quanto è sincero Duke? E quanto invece sta cercando solo di salvare la faccia? Il fatto che venga ucciso da Simon segna un punto di non ritorno: non c’è più nessuno a fare da mediatore tra Ava e il sistema. Ora è una mina vagante, fuori da ogni codice. La sua vendetta non è solo personale, è quasi rituale. Simon, come figura, incarna il controllo cieco, l’efficienza senza umanità. Ucciderlo significa chiudere un cerchio. Uno degli snodi più interessanti del film è il rapporto con Michael e il modo in cui Ava cerca di proteggerlo da Toni, figura criminale legata al gioco d’azzardo. Qui si vede un’Ava diversa: non è un’assassina, è una donna che tenta di riparare, di evitare che le persone che ama finiscano in trappole simili a quelle in cui è finita lei. Quando lascia in vita Toni, dopo aver avuto la possibilità di ucciderla, fa una scelta chiara: la violenza non è sempre la risposta. Non lo è per Michael, almeno. In un film pieno di sangue, quel momento ha un peso emotivo notevole.
Il monologo inizia con un avvertimento: “Dovresti decidere con attenzione che cosa dirmi, Ava. Perché non puoi rimangiartelo. E io non posso non ascoltare.” Qui la madre mette in chiaro una cosa: ora è pronta ad ascoltare, davvero. Non è un’introduzione retorica, è una dichiarazione di vulnerabilità. È un modo per dire “non mentirmi, perché questa volta voglio sapere chi sei”.
La confessione più forte arriva subito dopo: “Io avevo paura di stare da sola. E ho scelto lui al posto tuo.” In questa frase c’è tutto. Il nucleo dell’abbandono che Ava ha subito da parte della madre, e che finora il film aveva solo suggerito. È il riconoscimento esplicito di una scelta sbagliata. Non si nasconde dietro giustificazioni: ammette che la paura ha avuto la meglio sull’istinto materno. E lo dice con un tono quasi calmo, come se dopo anni passati a negare, ora le parole potessero finalmente uscire.
C'è un passaggio fondamentale: “Qualsiasi cosa… qualsiasi cosa tu mi nasconda non mi interessa. Perché io vedo nei tuoi occhi che ti dà forza.” La madre non chiede spiegazioni, non pretende redenzione. Vede che Ava è sopravvissuta, e che dentro quella sopravvivenza c’è qualcosa di buono. Il punto non è più sapere “che cosa fa” Ava, ma riconoscere chi è diventata, e rispettarlo.
E poi arriva la frase che fa da specchio all’intero arco narrativo del film: “Tu non faresti mai a tua figlia quello che io ho fatto alla mia.” È qui che si compie un passaggio chiave: la madre riconosce che Ava, nonostante tutto, ha rotto il ciclo. Non ha ereditato l’inerzia emotiva della sua famiglia. È stata disfunzionale, violenta, isolata – ma ha ancora dei principi, e soprattutto, non ha paura.
L’ultima frase: “E questo mi rende molto orgogliosa.”
Detta da una madre che si è sempre tenuta distante, suona quasi come una benedizione laica. Non è la classica frase da riconciliazione, ma è il massimo che quella donna può dare. E ha un peso enorme.
Questo monologo funziona proprio perché non cerca perdono: cerca verità. È un'ammissione che ha il sapore di una resa emotiva, fatta in silenzio, senza aspettarsi nulla in cambio. Ed è probabilmente la cosa più vera che la madre abbia mai detto ad Ava. Nel contesto del film, questa scena è un controcanto perfetto rispetto a tutte le altre relazioni tossiche che lo attraversano: tra Ava e il padre, tra Ava e Simon, tra Ava e se stessa. Per una volta, qualcuno sceglie Ava, senza condizioni. E lo fa con sincerità, mettendo sul piatto le proprie colpe, senza sconti.
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