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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo discorso arriva nella parte conclusiva de L’alba del giorno dopo (The Day After Tomorrow), in un momento in cui la tempesta si è finalmente placata e il mondo comincia a fare i conti con quello che è successo. Siamo al culmine emotivo e tematico del film. E questo monologo, affidato al presidente subentrato (il vicepresidente diventato presidente dopo la morte del suo predecessore), non è semplicemente una chiusura narrativa. È un momento di svolta ideologica: la voce del potere che riconosce la propria cecità e, almeno in teoria, si apre a una nuova visione del mondo.
Il discorso è l’equivalente di un epilogo morale: il momento in cui la leadership riconosce le proprie colpe e, per una volta, non cerca di giustificarle.
MINUTAGGIO: 1:51:43-1:54:24
RUOLO: Vice President Raymond Becker
ATTORE: Kenneth Welsh
DOVE: Disney+
INGLESE
These past few weeks have left us all… with a profound sense of humility… in the face of nature’s destructive power. For years we operated under the belief… that we could continue consuming our planet’s natural resources… without consequence. We were wrong. I was wrong. The fact that my first address to you comes from a consulate on foreign soil… is a testament to our changed reality. Not only Americans… but people all around the globe… are now guests in the nations we once called the Third World. In our time of need they have taken us in and sheltered us… and I am deeply grateful for their hospitality.
ITALIANO
Queste ultime settimane ci hanno lasciato dentro un profondo senso di umiltà, davanti al potere distruttivo della natura. Per molti anni siamo andati avanti con l’illusione di poter continuare a sperperare le risorse del pianeta senza subirne le conseguenze. Ci sbagliavamo. Io mi sbagliavo. Il fatto che il mio primo discorso alla Nazione vi giunge da una terra straniera, è la dimostrazione che la realtà è cambiata. Non solo gli Americani. Molti altri popoli del globo sono ora ospiti di nazioni che per tanto tempo abbiamo chiamato il Terzo Mondo ci hanno accolto e dato asilo. E io sono loro profondamente grato di tale ospitalità. Per giorni abbiamo trepidato per la sorte delle persone bloccate a Nord. Oggi, abbiamo motivo di sperare. Poche ore fa ho ricevuto la notizia che un piccolo gruppo di persone è sopravvissuto a New York. Contro ogni probabilità, e superando avversità spaventose. Ho immediatamente avviato una missione di soccorso per portare tutti in salvo e cercare altri superstiti.
Parliamo di The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo, film del 2004 diretto da Roland Emmerich. Un disaster movie che si inserisce in pieno nella tradizione di Emmerich: eventi su scala globale, una minaccia quasi apocalittica, e il tentativo umano (spesso maldestro) di reagire. Ma qui il nemico non è uno tsunami alieno (Independence Day) o una creatura gigantesca (Godzilla), bensì il pianeta stesso. O meglio, il clima. La storia parte da una scoperta scientifica: il climatologo Jack Hall (interpretato da Dennis Quaid) rileva anomalie nei ghiacci dell’Antartide. Durante una missione di carotaggio, si accorge che il clima potrebbe cambiare molto più rapidamente di quanto si pensasse. L’idea che viene messa in campo (ed è una forzatura narrativa, anche se ispirata a teorie reali) è che un cambiamento repentino della salinità degli oceani possa interrompere la Corrente del Golfo, innescando una nuova era glaciale nell’emisfero nord. Ovviamente nessuno lo prende sul serio — almeno non subito. Ma nel giro di pochi giorni cominciano ad accadere eventi meteorologici anomali: grandinate enormi, tempeste violente, tornado che devastano Los Angeles, nevicate intense in zone dove non nevica mai. E poi, il salto. Tre gigantesche super-tempeste iniziano a formarsi sull’America del Nord, sull’Europa e sull’Asia. Sono cicloni artici che risucchiano l’aria calda e portano l’atmosfera a temperature istantaneamente letali: si parla di -100°C in pochi minuti.
Mentre il mondo cade nel panico, Jack cerca di salvare suo figlio Sam (Jake Gyllenhaal), che si trova a New York per una gara di scienze. La città viene travolta prima da uno tsunami (che è in realtà una gigantesca ondata causata dal livello del mare che sale) e poi da una gelata istantanea. Sam, insieme ad altri ragazzi, trova rifugio nella biblioteca pubblica, dove si barricano e aspettano che passi la tempesta, bruciando libri per scaldarsi.
Jack intraprende un viaggio a piedi attraverso gli Stati Uniti congelati per raggiungerlo, e sì: il cuore del film è proprio qui. Non tanto nella CGI o nei palazzi che crollano sotto il peso del ghiaccio, ma nel gesto personale di un padre che attraversa l’impossibile per arrivare dal figlio. Una parte intima, quasi silenziosa, in un film che invece urla a pieni polmoni.
Il presidente pronuncia un’ammissione pubblica di colpa: “Ci sbagliavamo. Io mi sbagliavo.” È un passaggio cruciale. Nella tradizione politica americana (soprattutto post-11 settembre, contesto in cui il film è stato concepito), un presidente che ammette un errore è un evento raro. E qui è messo nero su bianco. Si tratta di un cambio di paradigma: da una retorica dell’infallibilità a una retorica dell’umiltà. Inoltre, il fatto che il discorso sia trasmesso da una nazione del "Terzo Mondo" — espressione volutamente utilizzata nel film — rovescia la gerarchia globale. I cosiddetti paesi ricchi ora sono rifugiati, e i paesi storicamente marginalizzati diventano i salvatori. È una scelta retorica netta, che funziona come autocritica geopolitica.
Il passaggio in cui si parla delle persone rimaste bloccate a Nord — in particolare del gruppo sopravvissuto a New York — serve a reintrodurre la speranza. Ma è una speranza realistica, che arriva dopo il disastro, non prima. La linea “Contro ogni probabilità, e superando avversità spaventose” riecheggia la resistenza umana in condizioni estreme, e si collega direttamente alla narrazione personale di Sam e degli altri rifugiati nella biblioteca.
Qui il film prende una piega quasi intima: il mondo è crollato, ma la capacità dell’uomo di resistere (non di dominare) diventa l’elemento chiave. Il cuore del discorso è nella frase: “Per molti anni siamo andati avanti con l’illusione di poter continuare a sperperare le risorse del pianeta senza subirne le conseguenze.” Questa è la vera tesi del film. The Day After Tomorrow è un blockbuster catastrofico, ma è anche una parabola ecologista travestita da action movie. E questa frase è la sua morale. Roland Emmerich usa il presidente per dare voce a una presa di coscienza collettiva: l’arroganza antropocentrica ha un prezzo, e quel prezzo è appena stato pagato con milioni di vite e lo stravolgimento del pianeta.
Questo monologo non è solo un discorso politico, ma la chiusura tematica di tutto il racconto. Serve a rimettere in ordine una realtà che è stata completamente disarticolata. Non c’è più una nazione al comando, non c’è più una tecnologia in grado di risolvere tutto. C’è una comunità umana che ha capito (forse troppo tardi) di dover rinegoziare il proprio posto nel mondo.
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