Monologo maschile - John Goodman in \"10 Cloverfield Lane\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Howard in "10 Cloverfield Lane" è una delle scene chiave del film: arriva in un momento in cui la tensione ha iniziato ad accumularsi e Michelle, così come lo spettatore, è sospesa in un limbo di incertezza. In questa scena, Howard offre una confessione che sembra umana, vulnerabile. Ma come sempre con lui, ogni parola è ambigua. Il monologo si colloca dopo che Michelle ha iniziato a sospettare seriamente della stabilità mentale di Howard, e poco prima che prenda la decisione di tentare la fuga. Howard si apre, le racconta una verità che non aveva mai confessato: l’incidente d’auto che ha portato Michelle nel bunker è stata colpa sua.

Prendi i vestiti di mia moglie

MINUTAGGIO: 43:16-45:13

RUOLO: Howard

ATTORE: John Goodman

DOVE: Netflix

INGLESE

I know it's hard, realizing they're all gone. The ones you love. I have something to confess to you. I crashed into your car. Your accident was my fault. When I found out about the incoming attack, I got frantic. I knew I needed to get back here as soon as possible, so I was driving like a maniac. I tried to pass you, and I'm the reason you went off the road. I mean, I know I seem like a sensible guy, but at the time, I wasn't myself. It was an accident, but it was my fault. I was afraid to tell you, and, I'm sorry. Um... You should shower. Even the smallest amount of air that came through the hinges could be toxic. These were Megan's. If you want. I recognized that woman's car.

ITALIANO

So che è difficile, capire che non c’è più nessuno. I tuoi cari. Ti devo confessare una cosa. Ti ho buttata fuori strada. Il tuo incidente è stata colpa mia. Quando mi sono reso conto dell’imminente attacco ero nel panico, sapevo che dovevo tornare qui prima possibile, e mi sono messo a correre come un pazzo. Ho provato a sorpassarti, e… A causa mia sei uscita di strada. Si, lo so, sembro una persona assennata, ma in quel momento non ero me stesso. E’ stato un caso, ma è stata solo colpa mia. Avevo… avevo paura di dirtelo. E… mi dispiace. Fatti una doccia. Anche una minima quantità d’aria passata dalla porta può intossicarti. Questi erano di Megan, se vuoi.

10 Cloverfield Lane

10 Cloverfield Lane” (2016), diretto da Dan Trachtenberg, è un film che si muove in un terreno molto interessante: prende le regole del thriller psicologico e le incastra dentro una cornice da sci-fi post-apocalittico. Il risultato è un’opera che lavora sul sospetto, sull’angoscia e sull’instabilità del punto di vista dello spettatore. Andiamo con ordine. La storia si apre con un incidente stradale. Michelle (Mary Elizabeth Winstead) sta lasciando la sua città e il suo compagno dopo una discussione: lo capiamo attraverso una serie di inquadrature silenziose, essenziali, che ci dicono molto del suo stato emotivo senza una parola. La sua macchina esce di strada e lei perde i sensi.

Quando si risveglia, si trova incatenata a un letto, in un bunker sotterraneo. Qui entra in scena Howard (John Goodman), un uomo corpulento, ambiguo, dalle maniere gentili ma che sembrano trattenere qualcosa di disturbante. Le dice che fuori è successo qualcosa di catastrofico: un attacco chimico o nucleare — non è chiaro. Il mondo esterno, secondo lui, è invivibile. Michelle non ha scelta: deve restare nel bunker per sopravvivere.

Nel bunker c’è anche un altro personaggio, Emmett (John Gallagher Jr.), che conferma la versione di Howard. Emmett dice di aver visto un’esplosione e di aver cercato rifugio nel bunker, che in parte ha aiutato a costruire. Ma qui inizia il cuore della tensione narrativa: chi dice la verità? La trama gioca su un meccanismo classico: la protagonista non sa se può fidarsi di chi ha intorno. Il bunker diventa una prigione ambigua. È un rifugio o una trappola? Howard si comporta in modo paternalistico, a tratti violento, con un controllo quasi ossessivo su ciò che succede nel rifugio.

Man mano che Michelle esplora lo spazio, raccoglie indizi: una finestra con segni di sangue e graffi, una fotografia misteriosa, una storia che non combacia. Ecco che il film diventa una partita a scacchi tra la protagonista e Howard. Michelle cerca di mantenere la calma, ma prepara la fuga. Lo spettatore viene tirato da una parte e dall’altra, senza mai sapere fino in fondo chi ha ragione.

Nel terzo atto, Michelle riesce finalmente a scappare dal bunker. E qui il film cambia pelle. Quando esce all’aperto, si rende conto che… sì, c’è davvero qualcosa là fuori. Il cielo è solcato da navi aliene, ci sono creature sconosciute. Non era del tutto paranoia. Howard aveva ragione – ma lo era anche un uomo disturbato, capace di gesti estremi.

Il film si chiude con Michelle che decide di non fuggire, ma di andare incontro al pericolo: sente alla radio che c’è una resistenza in atto e si dirige verso Houston, pronta a combattere.

Analisi Monologo

Howard inizia con una frase quasi compassionevole: “So che è difficile, capire che non c’è più nessuno. I tuoi cari.” Questa apertura serve da gancio emotivo. Parla della perdita, del trauma — elementi su cui si costruisce spesso un legame tra esseri umani. È un modo per abbassare le difese emotive di Michelle. Subito dopo, però, arriva la rivelazione: “Ti devo confessare una cosa. Ti ho buttata fuori strada.” Questo è il cuore del monologo. Howard confessa la sua colpa, ma lo fa in un modo che cerca di minimizzare la responsabilità. Dice che era nel panico, che stava cercando di tornare al bunker perché sapeva dell’imminente attacco. Il tono, almeno in apparenza, è quello di chi cerca perdono. Ma ci sono due cose che rendono questa confessione disturbante:

Il momento in cui arriva. Perché proprio ora? È come se Howard capisse che Michelle sta prendendo distanza da lui, e questa rivelazione diventa una strategia per riavvicinarsi, per riconquistare la fiducia perduta.
La frase finale:  “Fatti una doccia. Anche una minima quantità d’aria passata dalla porta può intossicarti. Questi erano di Megan, se vuoi.”

Questo passaggio cambia radicalmente il tono. Dopo una confessione così intima, Howard chiude con una frase che sembra casuale, ma che è profondamente inquietante. Nomina Megan — un personaggio misterioso, che non è mai stato spiegato del tutto — e offre i suoi vestiti a Michelle. C’è un senso di sostituzione, di ossessione. Michelle è diventata, nella mente di Howard, una nuova Megan. La doccia, i vestiti, l’ambiente controllato: tutto costruisce l’immagine di una prigione mentale ancora più che fisica.

Conclusione

Questo monologo è un punto di svolta per il personaggio di Howard. Mostra una parte della verità, ma non per liberarsene. Lo fa per ricalibrare il controllo. È un atto di manipolazione travestito da redenzione.

La confessione, infatti, serve un obiettivo: riavvicinare Michelle, farle abbassare la guardia. Ma la chiusura con il riferimento a Megan — e al rituale della doccia come gesto quasi domestico, familiare — rivela un sottotesto ossessivo, disturbante. Howard non vuole solo proteggere Michelle. Vuole ricreare una realtà tutta sua, con dei ruoli precisi. Lui come figura paterna o protettiva, lei come sostituta di una presenza femminile perduta o idealizzata.

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