Monologo maschile - Luca Marinelli in \"Lo chiamavano Jeeg Robot\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Lo Zingaro non è un villain che vuole “il potere” nel senso classico. A lui interessa essere visto, essere riconosciuto. È uno che si trucca, si mette i glitter, si veste come un popstar anni ‘80 e cita Anna Oxa mentre tortura la gente. Ma non è una maschera: è la sua identità vera. Questo monologo arriva in un momento in cui si è già trasformato nel suo alter ego definitivo, e prova a coinvolgere Enzo in un’idea di potere che non passa più per la criminalità, ma per il gesto spettacolare.

Io solo una cosa vojo sape

MINUTAGGIO: 1:31:00-1:32:47

RUOLO: Lo Zingaro

ATTORE: Luca Marinelli

DOVE: Netflix

ITALIANO

Io solo na cosa vojo sape. Solo una. Ma tu chi cazzo sei? Perché c’hai sta forza?  T’ha mozzicato un ragno? Un pipistrello? Sei cascato da n’antro pianeta? Allora… m’ho voi dì o je dovevo strappa le braccia a Alessiuccia tua. Ao, tu a me me lo devi dì. Perché co sti poteri ce potevo pure divertì insieme. Te l’immagini, du Fiji de a supermignotta come noi, e allora si che se famo rispetta da tutti. Dai gente, da e televisioni, da o stato. Hai visto er telegionale? Hanno bloccato l’appalti. A camorra sta a già a festeggia,. Te o dico perché. Erano loro i bombaroli. E se lo Stato s’è cacato sotto pe du bombette, pensa se je famo scoppia qualcosa de speciale, tipo il parlamento, o l’Olimpico, durante Roma-Lazio. Famo er botto più grosso de tutti i botti de tutti i bengala, de tutti i derby de tutta a storia Der carico italiano, allora si che ce trasmettono a reti unificate, Enzè!

Lo chiamavano Jeeg Robot

"Lo chiamavano Jeeg Robot", diretto da Gabriele Mainetti e uscito nel 2015, è un film italiano che si muove con decisione dentro un genere ancora raro nel nostro cinema: il cinecomic con ambientazione urbana, che però si fonde con il noir, il dramma sociale e un certo senso di grottesco molto romano.

La trama segue Enzo Ceccotti, interpretato da Claudio Santamaria, un ladruncolo solitario e borderline che vive a Tor Bella Monaca, uno dei quartieri più difficili di Roma. Enzo si muove ai margini della legalità, tra piccoli furti, pornografia consumata in solitudine e una vita totalmente chiusa al contatto umano. Non è un antieroe affascinante: è un disadattato. Tutto cambia quando, durante una fuga dalla polizia, Enzo si tuffa nel Tevere e entra in contatto con dei fusti radioattivi. Da quel momento inizia a manifestare una forza sovrumana e una capacità rigenerativa rapidissima. Ma qui viene il primo punto interessante del film: Enzo non ha nessuna intenzione di “diventare” un eroe. Non è Spider-Man che si mette a fare il bene del prossimo. Enzo vuole solo continuare a sopravvivere, possibilmente sfruttando questi poteri per i suoi scopi personali.

Il film lavora bene proprio in questo: l’origine del supereroe viene declinata secondo logiche di quartiere, fatte di cinismo, individualismo e necessità. Il potere non è visto come una responsabilità, ma come un’occasione. L’altro personaggio chiave è Alessia, interpretata da Ilenia Pastorelli. È una ragazza mentalmente fragile, segnata da un passato di abusi, che ha sviluppato un mondo interiore dove si rifugia: quello dell’anime Jeeg Robot d'acciaio. Per lei Enzo non è un delinquente: è Hiroshi Shiba, il protagonista del cartone, il salvatore. Ed è attraverso lo sguardo di Alessia che Enzo comincia, a poco a poco, a trasformarsi. L’idea che possa essere un eroe agli occhi di qualcuno — non in senso generico, ma nel senso intimo e fragile di chi ha bisogno di credere in qualcosa — inizia a scardinare la sua corazza. Il villain, Fabio Cannizzaro detto Lo Zingaro, interpretato da Luca Marinelli, è un personaggio che sembra uscito da un fumetto ma calato perfettamente nella realtà italiana. Ex cantante pop fallito, cocainomane, narcisista patologico e ossessionato dalla fama. Vuole diventare “qualcuno” e per farlo è disposto a tutto, anche a diventare il cattivo da fumetto che devasta la città.

Lo Zingaro è l’opposto di Enzo. Dove Enzo si nasconde, Lo Zingaro vuole essere visto. Dove Enzo è silenzio, Cannizzaro è spettacolo. E nel confronto tra i due c’è anche uno scontro tra due visioni del potere: quello che si consuma nell’ombra e quello che esplode nel desiderio ossessivo di visibilità.

Analisi Monologo

Ao, tu a me me lo devi dì. Perché co sti poteri ce potevo pure divertì insieme.” Il tono è quasi quello di un amico offeso. È uno dei tratti più disturbanti del personaggio: la sua percezione distorta della complicità. Lo Zingaro non vede Enzo come un nemico, ma come un’occasione mancata di partnership. Due reietti con superpoteri che avrebbero potuto “divertirsi” insieme. Qui emerge una visione infantile del potere: come un giocattolo da condividere, un videogioco da affrontare in co-op. “Du Fiji de a supermignotta come noi…” Qui si sente tutta la poetica storta del personaggio. La frase è volgarissima, ma dietro c’è una richiesta vera: essere parte di qualcosa. Lo Zingaro si vede come un anti-eroe televisivo, un freak ribelle che può ribaltare l’ordine delle cose.

E allora sì che se famo rispetta da tutti. Dai gente, da e televisioni, da o stato.” Non gli basta comandare: vuole che il mondo lo guardi mentre lo fa. Questa è la vera cifra del personaggio. Non è un mafioso, è un performer. Vuole la fama, il rispetto, la trasmissione a reti unificate. E per ottenerla, l’unica strada è il terrore come palcoscenico. “Hai visto er telegiornale? Hanno bloccato l’appalti. A camorra sta a già a festeggia…” Questa parte del monologo svela un sottotesto molto forte: la saldatura tra criminalità e comunicazione, tra violenza e informazione. Lo Zingaro ha capito che oggi non basta sparare o rapinare. Serve colpire l’immaginario. E se già due bombe possono bloccare lo Stato, allora perché non alzare il tiro? “Pensa se je famo scoppia qualcosa de speciale…” L’Olimpico durante Roma-Lazio. Il Parlamento. I luoghi simbolici della collettività e del potere. Il suo sogno non è dominare il sistema: è distruggerlo in diretta, col massimo share. Il riferimento ai “bengala” del derby è geniale e malato: Lo Zingaro non distingue tra spettacolo e realtà, vede il crimine come un evento mediatico.

Allora sì che ce trasmettono a reti unificate, Enzè!Il nome di Enzo, detto in chiusura, ha un doppio effetto. Da un lato è un tentativo di coinvolgimento, come a dire “guarda che il palco è pure tuo”. Dall’altro suona come un’accusa: “potevamo farlo insieme e invece sei un vigliacco”. È qui che Lo Zingaro si rivela completamente: non è un megalomane classico. È un narcisista tragico, incastrato nella necessità di essere riconosciuto da un mondo che lo ha sempre ignorato.

Conclusione

Questo monologo è uno dei momenti più disturbanti e del film. Non perché racconta un piano terroristico, ma perché ci mostra il bisogno disperato di apparire che muove il personaggio. Lo Zingaro è un villain ibrido: nasce nei bassifondi, ma sogna i riflettori. Non vuole comandare il mondo, vuole andare in onda. E proprio in questo, è figlio del presente. Di un’epoca dove la visibilità ha sostituito la sostanza. Dove il gesto estremo non è più un mezzo, ma un fine. Dove l’eroe e il criminale competono per lo stesso tipo di attenzione.

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