Monologo maschile - Pif in \"Momenti di trascurabile felicità\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo che ci troviamo davanti arriva all’inizio di “Momenti di trascurabile felicità”. Potremmo aspettarci un flusso di coscienza drammatico, in stile “bilancio della vita”. Ma no. Paolo parla di motorini, semafori, zanzare e benzina. Ed è proprio questo che lo rende potente. Siamo davanti a un racconto sulla morte che non vuole sembrare un racconto sulla morte. È un discorso disordinato, terreno, paradossale – e per questo molto umano.

Poi sono morto

MINUTAGGIO: 2:44-5:20

RUOLO: Paolo

ATTORE: Pif

DOVE: Disney+

ITALIANO

Quando vado in motorino ho un solo obiettivo: non mettermi in fila. Voglio stare davanti a tutti e se qualcuno in macchina si incazza gli dico: “Se volevo stare in fila, prendevo la macchina pure io”. E poi c’è una cosa che faccio da anni: c’è un momento in cui il semaforo della strada di destra diventa rosso e non tocca a noi. E nemmeno a quelli di fronte che devono girare alla loro sinistra. È un momento che so calcolare alla perfezione e so che, se sbaglio di un quarto di secondo, sono fottuto. È il momento in cui posso attraversare l’incrocio impunemente, perché è il momento in cui è rosso per tutti e l’incrocio è deserto. Ho sbagliato di un quarto di secondo, eppure, erano anni che lo facevo. Mentre morivo, pensavo che avrei fatto i conti con le cose importanti della mia vita: i dolori profondi e le gioie fondamentali, i bivi e gli errori, i traumi e le vittorie e invece, ecco le cose che mi passavano davanti: “È che io ti penso spesso, sì, però non tutti i giorni”. Cerco di analizzare questa frase da 20 anni. Ma non l’ho capita. Anzi, una cosa l’ho capita: sembra bella, ma non è bella. Ma l’Autan e lo Yoga, possono coesistere? Non sono in contraddizione? E soprattutto, la luce del frigorifero, si spegne veramente quando lo chiudiamo? Perché il benzinaio ti dice sempre: “Un po’ più avanti per favore”? E perché lo dice sempre quando hai appena spento il motore? E poi, mi viene in mente la mia fissazione: il martello frangi vetro. Davanti al martello frangi vetro, c’è un vetro e allora come si fa a prendere un martello frangi vetro all’interno di una bacheca con un vetro, se non con un altro martello frangi vetro? Ragionavo su questo e su altri trascurabili pensieri negli ultimi istanti. Poi, sono morto.

Momenti di trascurabile felicità

"Momenti di trascurabile felicità" è un film italiano del 2019 diretto da Daniele Luchetti, tratto dai libri di Francesco Piccolo, in particolare da Momenti di trascurabile felicità e Momenti di trascurabile infelicità. Quello che ci troviamo davanti è un racconto sulla morte travestito da film sulla vita. E in questo, Luchetti gioca tutto sul tono, sul ritmo e sull’umanità bizzarra del suo protagonista. Paolo (Pif) è un uomo di mezza età, ingegnere, sposato con due figli, una vita apparentemente normale e abitudinaria. Un giorno, attraversando in motorino un incrocio rosso a Palermo, viene investito e muore. Stop. Fine del film? No. È proprio da qui che parte la storia. Per un errore burocratico nell’aldilà — un “difetto di sistema” — Paolo si ritrova con un credito di 1 ora e 32 minuti di vita. Gli viene concesso di tornare sulla Terra, in carne e ossa, per quel tempo esatto. E qui parte il film vero: cosa ci fai con 1 ora e 32 minuti se sei già morto?

Il tempo supplementare di Paolo diventa un contenitore di gesti minimi, dettagli insignificanti, pensieri assurdi e domande che di solito non ci concediamo nemmeno il tempo di formulare: “Perché la schiuma del cappuccino è diversa al bar rispetto a casa?” oppure “Perché quando ci tagliamo le unghie guardiamo il pavimento come se le unghie dovessero sparire?” Il film vive proprio di questi dettagli che, nella nostra quotidianità, sembrano insignificanti ma che, quando guardati con lo sguardo di chi sta per sparire, diventano quasi rivelatori. Il racconto segue una struttura molto episodica: Paolo si muove in una Palermo assurdamente sospesa, quasi onirica, alla ricerca non di qualcosa da fare, ma forse di un senso. Rivede la moglie (interpretata da Thony), i figli, gli amici, e — come succede spesso nei momenti di passaggio — si rende conto che la vita che ha vissuto gli è scivolata addosso più di quanto pensasse.

Analisi Monologo

So che, se sbaglio di un quarto di secondo, sono fottuto.” Paolo apre il monologo con un ricordo che mescola arroganza quotidiana e una piccola sfida alla sorte. L’attraversamento del semaforo non è solo un gesto rischioso, è una specie di rituale personale in cui lui si illude di avere il controllo sul tempo e sullo spazio. Ma quel "quarto di secondo" che sbaglia è la crepa improvvisa nella sua routine: basta un frammento di tempo microscopico per spezzare la continuità della vita. Qui il film ci suggerisce che non esiste un momento eroico in cui moriamo, nessuna frase da citare, nessuna consapevolezza definitiva. La morte arriva mentre stai ancora pensando alla precedenza all’incrocio. 

E invece, ecco le cose che mi passavano davanti...” Ed è qui che arriva il colpo di scena del monologo: nel momento in cui Paolo credeva che avrebbe rivisto tutta la sua vita in forma epica – dolori, amori, traumi – gli passano davanti le piccole, trascurabili domande che lo hanno ossessionato nel tempo. “Luce del frigorifero”, “Autan e Yoga”, “martello frangi vetro”.  Il punto non è solo la comicità del contenuto, ma il modo in cui queste domande prendono il sopravvento, come se il cervello, nel momento più serio, si rifugiasse nell’assurdo.

C’è anche un momento più intimo: “È che io ti penso spesso, sì, però non tutti i giorni.” Questa frase, è un enigma emotivo che Paolo non riesce a decifrare da vent’anni. Non è un grande discorso d’amore. È una frase detta male, che suona sincera ma fa male. Forse è l’unico momento in cui affiora davvero qualcosa di sentimentale nel monologo. Ed è anche l’unico passaggio che non fa ridere.

Davanti al martello frangi vetro, c’è un vetro...” Questo è un piccolo esempio di comicità kafkiana, una riflessione sul cortocircuito tra funzione e forma, tra sicurezza e assurdità. Paolo si perde a ragionare su un oggetto pensato per le emergenze che è, di fatto, inaccessibile. È l’emblema di una vita costruita su sistemi contraddittori, su gesti che si annullano da soli. È tragicomico, come l’intero film.

Conclusione

Il monologo si chiude con un’ultima frase lapidaria: “Ragionavo su questo e su altri trascurabili pensieri negli ultimi istanti. Poi, sono morto.” Ecco, la chiave è tutta lì. Nessuna catarsi, nessuna rivelazione. Solo il brusco ritorno alla realtà (anzi, alla fine della realtà). La morte non arriva dopo una riflessione risolutiva, ma nel pieno del pensiero frammentato. E così, questo monologo diventa un ritratto lucidissimo di come siamo davvero: pieni di cose non risolte, pensieri inutili, domande senza risposta che continuiamo a farci solo per abitudine.

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