Monologo maschile - \"Prendi il volo\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Mack in Prendi il volo è breve ma denso di significato, una di quelle scene che sembrano secondarie ma rivelano molto più di quanto mostrino in superficie. La scena del monologo arriva in un momento preciso: la sera, in quello che dovrebbe essere un momento tenero e rassicurante – la buonanotte raccontata da un padre ai propri figli. Eppure Mack, invece di raccontare una storia per farli sognare, ne approfitta per rafforzare la sua visione del mondo: meglio lo stagno, meglio la sicurezza, meglio non rischiare. La fiaba che racconta è costruita per avere una morale, ma è una morale sbilenca, spinta dalla sua ansia più che da una reale saggezza.

Favola della buona notte

MINUTAGGIO: 00:20-01:36

RUOLO: Mack

ATTORE: Kumail Nanjiani

DOVE: Netflix

ITALIANO

E ora, la fiaba della buonanotte. C’era una volta uno stagno meraviglioso. Era un paradiso, ed erano tutti felici. Beh, non tutti tutti. C’erano due anatroccoli che soffrivano di una strana malattia. Si annoiavano. Ed erano ansiosi di scoprire cosa ci fosse al di là del loro accogliente stagno: “Dai, dò un’occhiata”; “Papà dice che è pericoloso lasciare lo stagno”; “”Pff, siamo forti e coraggiosi. Niente ci fa paura.” Decisero così di avventurarsi, dritti fra le braccia dei… predatori! Erano circondati, in trappola. Ma loro non avevano paura. I piccoli eroi attaccarono i predatori e… Morirono! E’ finita.

Prendi il volo

Prendi il volo” (titolo originale Migration) è un film d’animazione del 2023 prodotto da Illumination Entertainment – gli stessi dietro a Cattivissimo Me e Sing, per intenderci – diretto da Benjamin Renner (già regista de Ernest & Celestine) e co-diretto da Guylo Homsy. La sceneggiatura porta la firma di Mike White, noto al grande pubblico per la serie The White Lotus, ma qui si cimenta con una narrazione molto più familiare e lineare, pensata per un pubblico ampio ma capace di coinvolgere anche chi ama trovare spunti più profondi nei film d'animazione. La famiglia Mallard vive nello stagno del New England, un habitat sicuro, chiuso, familiare.

Mack, il capofamiglia, è il classico genitore iperprotettivo che ha fatto del “meglio lo stagno che il mondo là fuori” la sua filosofia di vita. Pam, la madre, invece ha un desiderio di scoperta e movimento che riflette un bisogno emotivo latente, quello di far crescere i propri figli esponendoli alla vita. Il punto di rottura arriva quando uno stormo in viaggio verso la Giamaica risveglia quel senso di “e se provassimo anche noi?”. Il viaggio inizia così: come scelta e non come necessità, un dettaglio non banale, perché Prendi il volo parla anche del coraggio di uscire da una comfort zone che non sempre è veramente confortevole. Il film si snoda come un road movie in cielo.

Ogni tappa è una metafora: la palude con Erin l’airone è il primo confronto con il pregiudizio (la paura che Erin voglia mangiarli); New York è il caos urbano, ma anche il luogo dell’incontro con Testatosta e Delroy, due personaggi che incarnano l’idea di solidarietà in ambienti ostili; la fattoria delle anatre pechinesi è un microcosmo perfettamente camuffato da paradiso, ma in realtà è una trappola che parla di illusioni rassicuranti (tipo l’industria alimentare che inganna gli animali con il benessere prima della fine).

Analisi Monologo

Questa scena è importante perché mostra come Mack utilizza la narrazione per il controllo emotivo. Non lo fa con cattiveria, e nemmeno con consapevolezza. È semplicemente il modo in cui si è costruito un’identità. Il punto chiave è la struttura della "fiaba": Lo stagno è un paradiso. Qui Mack imposta il mondo come lo vede lui: piccolo, ma sicuro. La parola “paradiso” è un’esagerazione intenzionale, come a dire “perché dovreste mai cercare altro?”. È un messaggio auto-rassicurante. I protagonisti si annoiano. Questa è la minaccia, per lui. Non i predatori, non i pericoli: l’inquietudine. Il bisogno di scoperta. E infatti la “malattia” di cui soffrono i due anatroccoli è… la curiosità. Per Mack, questo non è uno stimolo, ma un pericolo.

La ribellione e la punizione. I piccoli anatroccoli “si avventurano” e vengono “circondati, in trappola”. Il finale non lascia ambiguità: “Morirono! È finita.” È un colpo secco, comico nel ritmo, ma crudele nel contenuto. È come se Mack volesse chiudere ogni possibilità alternativa con una pietra tombale, letteralmente. Quello che emerge, in fondo, è un padre che non riesce a separare la paura dal ruolo educativo, e finisce per travestire la sua ansia da saggezza. Ma il modo in cui racconta – diretto, grottesco, un po’ teatrale – tradisce quanto sia instabile quella sicurezza che cerca di trasmettere. Mack non è il saggio capobranco: è un uomo (o meglio, un’anatra) terrorizzato all’idea che le cose cambino.

Conclusione

In questo senso, il monologo funziona quasi come una profezia: i suoi figli non muoiono, non restano intrappolati, e Mack stesso scoprirà – proprio grazie a quel viaggio che voleva evitare – che la sicurezza non sta nel luogo in cui vivi, ma nel legame che costruisci con chi ti sta accanto.

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