Monologo - Richard Jenkins in \"Mangia, prega, ama\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Richard Jenkins – forse il momento più emotivamente disarmante di Mangia, prega, ama – arriva quando la relazione tra lui e Liz ha già superato la fase del confronto, dello scontro e dell’ironia. Ora siamo nel territorio del dolore condiviso. E non c’è più bisogno di battute taglienti o di metafore western. C’è solo un uomo che racconta la cosa più devastante della sua vita, senza cercare giustificazioni.

Storia di un papà ubriacone

MINUTAGGIO: 1:21:35-1:25:29

RUOLO: Richard

ATTORE: Richard Jenkins

DOVE: Netflix

INGLESE

It's not a pretty story... but it's pretty classic. Too much alcohol, too many dr*gs, too much mindless cheating. Just regret. Ocean of regret. I lost everything. My pride, my job. My family. I lost my family. One day after work, l stopped off at a bar and I got shitfaced. I was a lot like you, you know. I was just-- I don't know. I thought too much, I felt too... I wanted to feel nothing. I should've called a cab, but I didn't. I just got in my car and l drove home. My little boy.... He was 8 years old at the time. He was ... He was sitting in the driveway with his little Hot Wheels, waiting for his lost... drunk, miserable dad... to come home and play with him. I didn't see him. I didn't. I just roared into that driveway and l didn't see my little boy. But he, No, he... He got out of the way. He was used to getting out of the way when l was around. And l-- You know, I don't-- I don't know. I don't remember a thing. Next day, l woke up and they were gone. My wife had been watching what happened out the window. She just wasn't gonna.... She just wasn't gonna do it anymore. So.... He's 1 8 now. He's in school and, oh, God, he's so smart. God, he's so funny and he's.... He's so sweet. I missed it all. I missed... ...my son's growing up. Just missed it. Okay? Come here. Here's the deal. You're gonna stay here till you forgive yourself. You hear me? Everything else will take care of itself.

ITALIANO

Non è certo una bella storia. Ah, è sicuramente molto classica: troppo alcool, troppe droghe, troppi stupidi tradimenti. E… rimorso. Oceani di rimorso. Ah, ho perso tutto. Il mio orgoglio, il mio lavoro, la mia famiglia…. Ah... ho perso la mia famiglia. Un giorno, dopo il lavoro, mi sono fermato in un bar e mi sono sbronzato di brutto. Er anche io come te, sai? Non lo so, pensavo troppo, sentivo… non volevo sentire più niente. Dovevo chiamare un taxi, e invece sono… salito in macchina e sono andato a casa. Il mio bambino… Aveva otto anni, a quel tempo, e giocava. Era seduto sul vialetto, con la sua piccola Formula Uno, e aspettava che il suo fallito, ubriaco, miserevole padre, tornasse a casa giocare con lui. Non lo vidi. No… entrai a razzo nel vialetto e non vidi il mio bambino. Ma lui no lui… si era velato di mezzo. Esatto. Si levava sempre di mezzo quando c’ero io. E io, ecco, io… non lo so, non mi ricordo niente. Il giorno dopo mi svegliai e loro non c’erano. Mia moglie aveva visto quello che era successo dalla finestra, e non voleva… non voleva già stare al gioco. Così… ha diciotto anni, adesso. Fa l’Università. Oddio... è così bravo. E’ così divertente. E’ così dolce. Io mi sono perso tutto. Non ho visto… mio figlio diventare grande. Non l’ho visto. Ok? Ecco… Senti… Questi sono gli ordini. Tu resti qui finché non ti sei perdonata. Hai capito, è? Tutto il resto si sistema da solo. 

Mangia, Prega, Ama

Mangia, prega, ama (titolo originale: Eat Pray Love), film del 2010 diretto da Ryan Murphy e tratto dall’omonimo bestseller autobiografico di Elizabeth Gilbert. Un film che, a prima vista, potrebbe sembrare una favola di auto-scoperta tutta viaggi, cibo e spiritualità. Ma sotto quella patina da diario patinato, se lo si guarda con attenzione, c’è una struttura narrativa molto precisa, con tematiche che ruotano attorno a concetti come il desiderio di controllo, la fuga da sé stessi, la ricerca del perdono (soprattutto verso se stessi) e il significato concreto di connessione.

Liz Gilbert (interpretata da Julia Roberts) è una scrittrice di successo che vive a New York, ha un marito, una bella casa e una carriera ben avviata. Ma qualcosa dentro di lei è fuori fuoco. La sua crisi esistenziale esplode nel momento in cui si rende conto che sta vivendo una vita che non sente più sua.

Decide di divorziare e intraprende un viaggio lungo un anno in tre Paesi diversi:

Italia (Mangia) – Dove si concede il lusso di vivere e gustare il piacere del cibo e della convivialità.
India (Prega) – Dove si ritira in un ashram per cercare un contatto profondo con la spiritualità e provare a fare i conti con la colpa e il senso di vuoto.
Bali (Ama) – Dove incontra Felipe (Javier Bardem) e dove inizia a rimettere insieme i pezzi del suo cuore, ma da una prospettiva diversa.


Liz attraversa una crisi personale che mette in discussione le fondamenta su cui aveva costruito la propria identità: il matrimonio, la carriera, la routine sociale. Il film mostra che la ricerca di sé non passa attraverso una risposta definitiva, ma attraverso l’accettazione del cambiamento e dell’instabilità. In Italia, Liz si libera dalla colpa del “non fare abbastanza”. È la parte del viaggio che parla del corpo, del piacere non finalizzato a uno scopo. È lì che pronuncia una delle battute chiave: “You don’t need a man, Liz. You need a champion.” E quel campione, lo capirà, deve essere prima lei stessa.

Durante il soggiorno in India, Liz affronta la sua necessità di avere sempre il controllo delle situazioni. L’ashram diventa il simbolo del tentativo di gestire il caos interiore con la disciplina, ma anche del fallimento di un certo approccio “razionale” alla guarigione emotiva. La spiritualità, nel film, non viene trattata come una verità assoluta, ma come un processo. Gente come Richard from Texas (uno dei personaggi più riusciti del film) serve a ricordare che i demoni interiori non si sconfiggono con un mantra, ma guardandoli in faccia.

Il film insiste molto sul perdono, ma non lo mostra come un gesto eroico o simbolico. È qualcosa che Liz fatica a concedere, soprattutto a sé stessa. L’India è il capitolo in cui si fa i conti con la colpa del fallimento matrimoniale, con l’orgoglio ferito e la delusione di non essere stata “abbastanza”. Qui il perdono è una cosa sporca, faticosa, non illuminata da aure spirituali.

Quando arriva a Bali, Liz ha fatto il pieno di parole, silenzio, cibo e riflessioni. Ma resta ancora qualcosa: l’idea che l’amore non debba servire a riempire un vuoto, ma che possa esistere nonostante l’autosufficienza. Felipe non è il salvatore, non è la chiusura del cerchio. È un compagno di percorso. E il fatto che Liz lo accetti senza annullarsi segna il vero punto di svolta del suo viaggio.

Analisi Monologo

“Non è certo una bella storia… troppo alcool, troppe droghe…”

Richard parte con un tono quasi neutro, ma il contenuto è già pesantissimo. Il disastro personale viene descritto con poche parole, asciutte, prive di pathos retorico. È il racconto di una rovina classica, dice lui, e questa scelta di parole è interessante. Vuol dire che non c’è nulla di eccezionale nel dolore che ha vissuto. È il dolore di tanti. Ma lui lo porta ancora addosso, senza filtri. “Oceani di rimorso”: una frase semplice, ma visivamente potente. Richard non si è semplicemente pentito. Ci è annegato, ci vive dentro. “Non lo vidi… ma lui… no, lui si levava sempre di mezzo quando c’ero io.” Questo è il colpo al cuore. La scena è costruita come un ricordo traumatico, raccontato in frammenti. Non c’è un climax drammatico, non si arriva a un’esplosione: c’è un vuoto. L’immagine del figlio che “si levava sempre di mezzo” è devastante, perché racconta anni di distanza emotiva in una sola frase. Il bambino aveva imparato a schivare il padre, ad annullarsi per non finire in mezzo ai suoi disastri. Il dettaglio che “non lo vidi” – e che “non si ricorda niente” – non serve a discolparsi, ma a mostrare quanto fosse alienato, assente, perso. La scena che lui ricostruisce è sfocata. E proprio per questo fa più male.

“Io mi sono perso tutto.” Non c’è modo più semplice – e più doloroso – per dirlo. Non parla della famiglia come una cosa che gli è stata portata via. Non accusa. Si assume tutta la responsabilità. E fa una cosa rara: non cerca compassione. Quando dice che il figlio è “così bravo”, lo dice con orgoglio, ma anche con un dolore muto per ciò che non ha visto. Non c’è alcuna redenzione piena in questo monologo. Solo la consapevolezza di ciò che ha perso. “Tu resti qui finché non ti sei perdonata.” Ed eccoci alla svolta. Dopo aver svuotato il proprio dolore, Richard si rivolge a Liz. E le dà un “ordine” che in realtà è un atto di cura. Non le dice di cambiare, di migliorare, di fare pace col passato. Le dice una cosa precisa: perdonati. Ed è importante che arrivi da lui. Perché è l’unico personaggio che ha attraversato un dolore più grande di quello di Liz. E proprio per questo, la sua voce ha un peso che nessun guru spirituale, nessun manuale, nessuna meditazione potrebbe mai avere.

Conclusione

Questo monologo è il cuore della parte più intima e meno esotica di Mangia, prega, ama. Richard Jenkins interpreta un uomo che non cerca di insegnare niente, ma che riesce a trasmettere una verità con la sola forza della vulnerabilità. E proprio questo lo rende uno dei personaggi più memorabili del film. La sua storia personale non serve solo a spiegare il suo carattere. Serve a giustificare la sua presenza nella vita di Liz. È la prova che il dolore, anche quello più devastante, può diventare qualcosa da offrire agli altri. Non per salvarli, ma per sostenerli.

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