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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo della madre di Flynn da “Ombre nell’acqua”, pronunciato nel momento in cui viene inaugurata la Club House in memoria di suo figlio e di Toby, è un discorso molto diverso da quello della madre di Bronte. Meno crudo, più composto. Ma non per questo meno significativo. È il dolore che ha imparato a convivere con il silenzio, che non grida ma trattiene, e proprio per questo colpisce in profondità. Il contesto è pubblico, cerimoniale, quasi celebrativo. Ma la voce che ascoltiamo non è quella di una madre che ha superato il lutto. È quella di una donna che ha imparato a portarselo dentro, ogni giorno, come una cicatrice che pulsa sotto la pelle. Questo monologo funziona come una memoria condivisa, un momento di legame tra il dolore privato e la comunità. La madre di Flynn non vuole parlare della morte, ma non può fare a meno di farlo. È costretta a ricordare, anche nel ringraziamento. E infatti, il modo in cui le sue parole scorrono – tra citazioni poetiche e gratitudine contenuta – dice molto più di quanto sembri. Perché sotto la forma composta, si nasconde qualcosa di ben più difficile da esprimere: il senso di vuoto che resta, quando il tempo è andato avanti ma tu sei rimasta lì.
STAGIONE 3 EPISODIO 5
MINUTAGGIO: 28:48-30:07
RUOLO: Verity Elliot
ATTRICE: Robyn Malcolm
DOVE: Netflix
ITALIANO
Grazie Julian. Vorrei leggervi una citazione del poeta Donald Haul, che diceva: “Pensi che la loro morte sia la cosa peggiore che possa capitare. E poi restano morti” Perdere un figlio. Come perdere una parte di se. Non si va avanti, non si dimentica, non rimane che una enorme ferita, che non si rimargina mai. E’ qui, dentro, sempre. Ma oggi mi avete ricordato l’amore immenso che Flynn e Toby hanno ricevuto anche da tutti voi. Dalla loro comunità, una comunità che ha lavorato con passione e dedizione per donare questa club hour alle generazioni di oggi e di domani. Voglio solo dirvi che vi ringrazio uno per uno. E ora vorrei chiedere a Julian di raggiungermi di nuovo per inaugurare ufficialmente la Club House commemorativa dedicata. Finn Elliott e Toby Gilroy.
“Ombre nell’acqua” è una miniserie che si presenta come un thriller psicologico, ma sotto la superficie si muove qualcosa di più profondo. La storia è quella di una comunità spezzata da lutti mai risolti, dove le emozioni sommerse – colpa, rancore, paura – affiorano lentamente, come relitti nel mare della memoria.
La serie – 6 episodi da 50 minuti ciascuno – è ambientata nella fittizia Evelyn Bay, una cittadina della Tasmania avvolta da una bellezza mozzafiato, ma segnata da un dolore stratificato. Il mare che circonda questo posto non è solo sfondo, è un confine liquido tra ciò che è stato e ciò che non si vuole ricordare. Al centro c’è Kieran Elliott (Charlie Vickers), un uomo che torna a Evelyn Bay con la compagna Mia (Yerin Ha) e la loro bambina. Il motivo ufficiale è assistere suo padre malato, ma sotto c’è molto di più: Kieran è sopravvissuto a un incidente marino che, quindici anni prima, ha ucciso suo fratello Finn e un altro giovane, Toby. In quella stessa notte, è sparita anche Gabby, un’adolescente che non è mai stata ritrovata. Il ritorno di Kieran coincide con un nuovo dramma: Bronte, una ragazza appena arrivata in città, viene trovata morta sulla spiaggia. Le due tragedie, separate da 15 anni, si intrecciano in modo inquietante. Bronte stava indagando proprio sulla scomparsa di Gabby. Aveva capito troppo.
Come ha dichiarato lo stesso creatore Tony Ayres, Ombre nell’acqua è prima di tutto un melodramma familiare, mascherato da crime. Il motore emotivo della serie non è l’investigazione, ma i rapporti umani, logorati e deformati dal tempo. Ogni personaggio è definito da un legame spezzato: Kieran vive con la colpa di essere sopravvissuto; Mia è una madre che teme che il passato del compagno possa inquinare la loro nuova famiglia; Trish, la madre di Gabby, non ha mai avuto un corpo su cui piangere; Julian, il padre di Sean e Toby, ha protetto uno dei figli a discapito della verità. Il giallo, in questo senso, diventa solo il dispositivo per svelare le dinamiche familiari, le fragilità mascherate, e la violenza del silenzio.
Il mistero principale ruota attorno alla sparizione di Gabby e all’omicidio di Bronte. Ciò che sembrava un banale incidente marittimo diventa un mosaico complesso:
Sean, amico di Kieran, aveva condotto Gabby nelle grotte. Dopo aver ricevuto un rifiuto, l’ha lasciata lì. Lei è annegata da sola.
Bronte, interessata al caso Gabby, capisce la verità e affronta Sean. Lui la uccide d’impulso e ne nasconde il corpo.
Julian, pur di non perdere un altro figlio, nasconde la verità per 15 anni.
Il monologo è breve, ma preciso. Ogni parte è costruita per tenere insieme il ricordo e la funzione pubblica dell’evento. Vediamo come. “Grazie Julian. Vorrei leggervi una citazione del poeta Donald Haul, che diceva: 'Pensi che la loro morte sia la cosa peggiore che possa capitare. E poi restano morti.'” L’apertura è disarmante. La madre sceglie di affidarsi a una citazione, come se le sue parole personali non bastassero, o forse facessero troppo male. Ma non è una citazione rassicurante. È brutale. La frase colpisce per la sua verità glaciale: la morte non è un evento, è una condizione che resta. L’effetto è chiaro: in questa cerimonia pubblica, lei non cerca di consolare, ma di testimoniare. “Perdere un figlio. Come perdere una parte di sé. Non si va avanti, non si dimentica...” Queste parole arrivano dritte. Niente metafore, niente giri di parole. È una madre che parla della mutilazione dell’identità. Il dolore è qualcosa che ha interiorizzato, ma che resta irrimediabile. C’è un realismo secco, quasi chirurgico, in questa parte. Non chiede comprensione. Sta dicendo: è così. Punto. “Ma oggi mi avete ricordato l’amore immenso che Flynn e Toby hanno ricevuto anche da tutti voi.”
Qui il tono cambia. Dopo la durezza iniziale, arriva il passaggio alla gratitudine. È un meccanismo emotivo classico nei discorsi commemorativi: riconoscere il dolore, e poi cercare la luce nella memoria collettiva. La comunità diventa l’unico argine possibile al vuoto. “Una comunità che ha lavorato con passione e dedizione per donare questa Club House alle generazioni di oggi e di domani.” Ora il discorso si apre sul futuro. L’inaugurazione della Club House non è solo un omaggio, ma una forma di eredità simbolica: trasformare la morte in qualcosa che possa ancora servire, che possa ancora proteggere o ispirare. “Voglio solo dirvi che vi ringrazio uno per uno.” Una chiusura semplice, che torna sul piano umano. Non c’è enfasi, non c’è spettacolo. Solo una donna che riconosce il gesto collettivo come l’unico conforto possibile.
Questo monologo della madre di Flynn ha una funzione doppia all’interno della serie: serve a mostrare come la comunità di Evelyn Bay abbia scelto di ricordare due delle sue vittime, ma ne abbia taciuta un’altra. È un momento di unione, ma anche di esclusione silenziosa – perché Gabby, ancora una volta, non viene nominata. E’ un discorso sul tempo. Sul fatto che alcune ferite non guariscono, ma si trasformano. È un modo per dire: non abbiamo superato la perdita, ci conviviamo.
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