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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo del cardinale Goffredo Tedesco è uno dei momenti più forti e divisivi di Conclave. Si colloca subito dopo l’attentato terroristico che scuote Roma e l’intera comunità cattolica europea, ed è la risposta diretta, rabbiosa e viscerale di uno dei candidati più radicali al soglio pontificio. Tedesco incarna una linea dura che si rifà a una visione della Chiesa come baluardo identitario, militante, assediato. Il suo discorso è uno sfogo, ma anche una dichiarazione di guerra ideologica.
MINUTAGGIO: 1:35:38-1:36:58
ATTORE: Sergio Castellitto
RUOLO: Cardinale Tedesco
DOVE:
INGLESE
Coming soon:)
ITALIANO
Ecco, ecco finalmente qui vediamo il risultato della dottrina del relativismo, tanto cara ai nostri fratelli liberali. Un relativismo che vede tutte le fedi, tutte le fantasie passeggere, no, avere lo stesso peso. Tanto se guardiamo la patria della nostra madre romana Chiesa, noi la vediamo ormai punteggiata da minareti, moschee, il profeta Maometto. Tutti noi dovremmo vergognarci, perché noi tolleriamo l’Islam nelle nostre terre, e veniamo ripudiati nelle loro, noi nutriamo. Li nutriamo nella nostra patria, e veniamo sterminati. E per quanto tempo ancora dobbiamo vivere nella debolezza. Sono arrivati qua, alle nostre porte, adesso. No, nonno, noi abbiamo bisogno di un capo che capisca che ci troviamo di fronte ad una vera guerra di religione! Si, una guerra di religione. Noi abbiamo bisogno di un capo che ponga fine alla deriva che dura incessantemente da cinquant’anni. Quanto tempo dovremo stare ancora in questa debolezza. Quanto. Abbiamo bisogno di un capo che combatta questi animali.
Il film Conclave, diretto da Edward Berger e tratto dal romanzo omonimo di Robert Harris, mette in scena uno scenario raramente esplorato nel cinema contemporaneo: le dinamiche interne del potere spirituale e politico all’interno del Vaticano, nel momento di massima tensione che è l’elezione di un nuovo papa. Fin dal prologo — la morte improvvisa di papa Gregorio XVII — il film ci catapulta in una dimensione claustrofobica e altamente ritualizzata, dove l'apparente sacralità dei gesti e delle parole è costantemente attraversata da tensioni, rivalità e segreti.
Il protagonista, il cardinale Thomas Lawrence (interpretato da Ralph Fiennes), è il decano del collegio cardinalizio e si trova nel ruolo scomodo di coordinatore del conclave. A differenza dei candidati ufficiali, Lawrence è un uomo che dubita della propria vocazione e della propria fede: un personaggio che porta dentro di sé una crisi esistenziale, mentre si muove tra equilibri fragili e manovre politiche.
La struttura del film è quasi da thriller politico, ma la posta in gioco non è solo il potere terreno: è anche la visione morale e spirituale della Chiesa nei confronti del mondo contemporaneo. I quattro principali candidati rappresentano infatti posizioni ideologiche molto definite: dalla linea riformista di Bellini, all'intransigenza tradizionalista di Tedesco. Ma ciò che rende Conclave interessante è che queste non sono maschere rigide: il film si prende il tempo per mostrare le crepe e le ambiguità di ciascun personaggio, come accade quando Bellini, pur dichiarandosi progressista, accetta il compromesso pur di evitare l’ascesa di un ultraconservatore.
L’ingresso in scena di Vincent Benitez, cardinale “in pectore”, segna una svolta narrativa forte. È l’elemento estraneo, il corpo non previsto, il personaggio che destabilizza le strategie già avviate. E il fatto che, nel finale, venga eletto papa non è solo un colpo di scena ben costruito: è anche una dichiarazione d’intenti da parte del film. Benitez rappresenta una terza via, non ideologica ma umana. Il suo discorso post-attentato è forse la scena chiave dell’intera pellicola: un monologo vibrante, dove il senso del sacro non è ridotto a dottrina, ma emerge come empatia, esperienza diretta della sofferenza e rifiuto della vendetta.
Il colpo di scena finale — la rivelazione dell’intersessualità di papa Innocenzo XIV — non è trattato con toni scandalistici. È una chiusura delicata, intima, che mette il sigillo su un percorso personale di accettazione e fede, e contemporaneamente apre uno spiraglio di riflessione sulla natura del sacro e sull’umanità dei suoi rappresentanti.
“Ecco, ecco finalmente qui vediamo il risultato della dottrina del relativismo…” Tedesco inizia attaccando un bersaglio astratto, ma molto preciso per chi conosce le dinamiche interne alla Chiesa: il “relativismo” è da anni uno dei termini chiave nel dibattito teologico, spesso usato per criticare aperture verso altre culture o modernizzazioni dottrinali. Qui però il termine viene caricato di un significato più politico che filosofico: è l’alibi dei “liberali”, i fratelli nemici.
“Punteggiata da minareti, moschee, il profeta Maometto…” Il discorso prosegue con una retorica visiva — e volutamente allarmista. Tedesco descrive una Roma invasa, quasi profanata, dalla presenza dell’Islam. La sua retorica non si limita a un’analisi religiosa, ma scivola direttamente nella paura xenofoba. È un linguaggio da propaganda, costruito per creare una frattura netta: noi contro loro.
“Noi nutriamo. Li nutriamo nella nostra patria, e veniamo sterminati.”
Qui si tocca il punto più tossico del discorso. L’idea che la carità cristiana sia diventata debolezza, che l’accoglienza si sia trasformata in autolesionismo. È un ribaltamento violento dei valori evangelici, e Tedesco lo propone come verità evidente, non discutibile. Il suo tono è apocalittico, privo di sfumature: non c’è spazio per il dialogo, solo per la difesa. “Abbiamo bisogno di un capo che combatta questi animali.”
Il monologo culmina in una frase brutale, disumanizzante. L’uso della parola “animali” è una rottura etica fortissima. È qui che il film ci mette davanti a un bivio: chi guida la Chiesa deve essere un pastore, non un condottiero in armi. Tedesco propone l’opposto: una crociata moderna. Ma non c’è fede in questo discorso — c’è solo rabbia.
Il monologo del cardinale Tedesco è costruito per disturbare, scuotere e — soprattutto — dividere. Non è una caduta retorica: è una scelta consapevole, scritta per mostrare quanto l’ideologia, quando alimentata dalla paura e dalla certezza dogmatica, possa trasformare un uomo di Chiesa in un predicatore d’odio. È l’antitesi perfetta rispetto alle parole di Lawrence o Benitez. Dove questi invitano al dubbio e alla compassione, Tedesco impone il rigore e l’esclusione.
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