Monologo Teatrale Maschile - Pasquale Lojacono, il caffè e \"Questi fantasmi\", di Eduardo De Filippo

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo del caffè in "Questi fantasmi!" è una delle scene più emblematiche del teatro eduardiano, non per ciò che mostra in superficie — la descrizione di una ritualità quotidiana — ma per quello che sottende: un universo di solitudine, illusioni, desideri repressi e ricerca disperata di senso.

Pasquale Lojacono, rivolgendosi al "Professore", il suo dirimpettaio (che non risponde mai, restando sempre fuori scena), si abbandona a un flusso di parole che ha il sapore della confidenza, ma anche della difesa. È un monologo che parla di caffè, sì, ma in realtà parla di Pasquale stesso, del suo bisogno di costruirsi un mondo ordinato, in cui abbia ancora il controllo su qualcosa — anche se solo su una tazzina fatta con le sue mani.

Il caffè

“A noialtri  napoletani, toglierci questo poco di sfogo fuori al balcone… Io, per  esempio, a tutto rinunzierei tranne a questa tazzina di caffè, presa  tranquillamente qua, fuori al balcone, dopo quell’oretta di sonno che  uno si è fatta dopo mangiato. E me la devo fare io stesso, con mani.  

Questa è una macchinetta per quattro tazze, ma se ne possono ricavare  pure sei, e se le tazze sono piccole pure otto per gli amici… il caffè  costa cosi’ caro… Mia moglie non mi onora queste cose  non le capisce E’ molto piu’ giovane di me, sapete, e la nuova  generazione ha perduto queste abitudini che, secondo me, sotto un certo  punto di vista sono la poesia della vita; perchè, oltre a farvi occupare  il tempo, vi danno pure una certa serenità di spirito. Neh, scusate Chi  mai potrebbe prepararmi un caffè come me lo preparo io, con lo stesso  zelo… con la stessa cura. Capirete che, dovendo servire me stesso,  seguo le vere esperienze e non trascuro niente… 

Sul becco… lo vedete  il becco? Qua, professore, dove guardate? Questo… Vi  piace sempre di scherzare…. No, no… scherzate pure… Sul becco io  ci metto questo coppitello di carta…Pare niente, questo  coppitello ci ha la sua funzione… E gia’ perchè il fumo denso del  primo caffe’ che scorre, che poi e il piu carico, non si disperde. Come  pure, professo’, prima di colare l’acqua, che bisogna farla bollire per  tre o quattro minuti, per lo meno, prima di colarla dicevo, nella parte  interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino  di polvere appena macinata piccolo segreto! In modo che, nel momento  della colata qua, in pieno bollore, gia’ si aromatizza per conto suo.  

Professo’ voi pure vi divertite qualche volta, perchè, spesso, vi vedo  fare al vostro balcone a fare la stessa funzione. E  io pure. Anzi, siccome, come vi ho detto, mia moglie non collabora, me  lo tosto da me…Pure voi, professo’ ?…. E fate bene…  Perchè, quella, poi, è la cosa piu difficile: indovinare il punto giusto  di cottura, il colore… A manto di monaco….. Color manto di monaco. E'  una grande soddisfazione ed evito pure di prendermi collera, perchè se,  per una dannata combinazione, per una mossa sbagliata, sapete… ve  scappa ‘a mano o’ piezz’ ‘e coppa, s’aunisce a chello ‘e sotto, se  mmesca posa e ccafè… insomma, viene una zoza … siccome l’ho fatto  con le mie mani e nun m’ ‘a pozzo piglia’ cu nisciuno, mi convinco che è  buono e me lo bevo lo stesso. 

Professo’, è  passato. State servito?… Grazie. Caspita, chesto è cafè…  é ciucculata. Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice  un uomo: una tazzina presa tranquillamente qui fuori… con un  simpatico dirimpettaio…”

Questi fantasmi

"Questi fantasmi!" è una delle commedie più emblematiche di Eduardo De Filippo, scritta nel 1945. È un testo teatrale che mescola con intelligenza il registro comico a quello drammatico, l’illusione al disincanto, giocando sul confine sottile tra realtà e apparenza, tra il bisogno umano di credere e il peso delle verità che preferiremmo ignorare. Siamo a Napoli, in un vecchio palazzo “nobiliare” cadente. Pasquale Lojacono, un uomo onesto e ingenuo, ha accettato di vivere con la moglie Maria in un grande appartamento fatiscente a un prezzo ridicolmente basso. Il motivo del prezzo? Si dice che l’appartamento sia infestato dai fantasmi.

Pasquale però non si lascia intimidire: per lui, questa è un’occasione d’oro per risollevarsi economicamente e rifarsi una vita. Vive nella convinzione, più o meno consapevole, che certi "fantasmi" siano un buon affare. Ma c’è un altro fantasma — molto più concreto — che infesta la casa: l’amante della moglie, Alfredo Marigliano, un uomo che sfrutta l’ingenuità di Pasquale per incontrare Maria. Le sue apparizioni furtive, le sue uscite notturne e i regali lasciati in casa sono facilmente scambiabili per le manifestazioni di uno spirito benevolo, almeno per chi ha bisogno di crederci.

Pasquale, infatti, inizia a interpretare questi segni come la prova che i fantasmi esistono davvero. E soprattutto, che sono dalla sua parte. Quando trova un pacco di caffè lasciato da Alfredo, per esempio, lo attribuisce alla generosità del “fantasma buono”. Anche le banconote lasciate di nascosto da Alfredo per Maria vengono viste da Pasquale come doni sovrannaturali. Ma il punto è che Pasquale vuole credere. Si rifugia in questa bugia, si aggrappa all’idea che qualcosa di inspiegabile stia finalmente aiutandolo, come se il soprannaturale colmasse il vuoto che la sua vita reale non riesce a riempire. Il suo bisogno è più forte della logica.

Nel finale, quando Alfredo decide di lasciare Maria per non distruggere del tutto la fragile illusione del marito, e Maria torna da Pasquale, la commedia si chiude con una battuta che è dolceamara e potentissima. Pasquale si affaccia al balcone e dice:

"Professò, i fantasmi esistono!"

È una chiusura che lascia tutto in sospeso: non è solo una battuta ironica. È la presa d’atto che, in certe circostanze, le illusioni — anche se false — possono essere più vivibili della realtà.

Analisi Monologo

Pasquale comincia parlando del caffè come di un piacere intoccabile, un gesto che non rinuncerebbe a fare, neppure nella povertà o nella frustrazione quotidiana. Ma non è solo una questione di gusto. È un gesto rituale, preciso, codificato, intimo. La preparazione meticolosa, il "coppitello di carta" sul becco della macchinetta, il mezzo cucchiaino nella capsula, il colore "a manto di monaco"… tutto è descritto con cura quasi religiosa.

Questi dettagli sono ciò che dà ordine al mondo di Pasquale. Un ordine fragile, ma che lui difende con forza. Il caffè non è solo un caffè: è uno spazio mentale in cui può sentirsi capace, competente, "sereno", come dice lui stesso. In un’esistenza fatta di cose che non controlla — il lavoro che manca, il matrimonio che lo tradisce, la casa che dovrebbe essere infestata — quel gesto gli restituisce potere. Il Professore, che non vediamo e non sentiamo, è in realtà uno specchio perfetto per il monologo. Pasquale lo immagina simile a sé: anche lui, dice, lo ha visto fare il caffè sul balcone. Anche lui sa "indovinare il punto giusto di cottura". In realtà, Pasquale non sta parlando con un altro, ma con un'immagine riflessa di se stesso. Sta cercando un testimone che legittimi la sua versione del mondo. Che gli dia ragione. Il professore diventa una scusa per parlare a voce alta, per illudersi che qualcuno lo capisca.

Un altro punto centrale è il riferimento continuo alla moglie. "Mia moglie non mi onora", dice. È un modo antico per dire che non lo rispetta, che non condivide le sue abitudini, il suo modo di vivere, forse neanche la sua persona. Pasquale sente questo distacco, ma non lo affronta direttamente: lo assorbe, lo metabolizza, e lo sposta sul piano delle “nuove generazioni” che hanno "perduto la poesia della vita". La moglie è assente anche nel rito del caffè: non partecipa, non collabora, non capisce. In questa sottrazione c’è la vera crepa emotiva del monologo. È l’indizio che ci rivela che Pasquale si aggrappa a queste piccole cose perché nel resto della sua vita non c’è più nulla di saldo.

La chiusura è di una tenerezza disarmante: “Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo: una tazzina presa tranquillamente qui fuori… con un simpatico dirimpettaio…” Pasquale è consapevole, in fondo, che si sta raccontando una favola. Ma è una favola in cui ha bisogno di credere. La sua felicità non è piena, è costruita, è una “convinzione” più che una realtà. Ma funziona. Serve a salvarsi, almeno per un momento.

Conclusione

Questo monologo riesce a concentrare, in una situazione ordinaria, tutto il dramma umano di un personaggio che non riesce più a distinguere tra ciò che è vero e ciò che desidera che sia vero. Eduardo costruisce una scena che, se letta superficialmente, può sembrare comica o pittoresca. Ma sotto c’è la solitudine, l’inganno, l’autoinganno, e soprattutto la dignità ferita di un uomo che cerca di rimanere in piedi attraverso i piccoli riti del quotidiano.

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