Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!
Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
In questo monologo da “Pulse”, Danny smette per un attimo di essere medico, capo degli specializzandi, collega. Torna a essere una donna che ha vissuto qualcosa di emotivamente ingestibile e che, per la prima volta, prova a raccontarlo senza filtri. Non è un racconto lineare. È un fiume che straripa – fatto di esitazioni, contraddizioni, verità che si rincorrono. Qui, Pulse abbandona ogni retorica sulla giustizia o sul coraggio, e ci mostra quanto può essere complicato anche solo nominare il proprio dolore, soprattutto quando è mischiato all’amore.
STAGIONE 1 EPISODIO 9
MINUTAGGIO: 2:00-4:00
RUOLO: Danielle
ATTRICE: Willa Fitzgerald
DOVE: Netflix
E’ da un anno che continuo a sentire un…. un grande peso sul petto e dopo il ritiro degli specializzandi mi serviva una persona imparziale che mi dicesse che tutto questo non era giusto. E… io non me ne pento. Perché è stato un sollievo sentirmi dire che non esageravo, che non ero pazza. Che questo peso non era frutto solo della mia immaginazione, perché sai, questo pensavo ogni volta che ne parlavo con lui. Non ho ritirato la denuncia perché non era vero. L’ho ritirata perché mi sono resa conto che… Che quello che possono offrirmi non mi serve più. A me serve… un’ammissione. Da lui. Ho bisogno che… che lui venga a chiedermi scusa. Nonostante tutto io lo amavo, e sì, continuo ad amarlo. E lo so che è difficile da capire, ma è la verità. Non volevo che perdesse il lavoro.
“Pulse, tra lavoro e tossicità”. Ma è anche solo l’inizio. Perché Pulse è una storia che prende il genere “procedural” – quello in cui ogni episodio ha il suo caso clinico – e lo usa come cornice per raccontare qualcosa di molto più intimo e incandescente: il cortocircuito tra potere e vulnerabilità, tra affetti e ambizione, tra etica e desiderio. Il cuore pulsante della serie è il Maguire Medical Center di Miami, il centro traumatologico più trafficato della città. Ma in Pulse, l’ospedale non è solo un luogo di cura: è una vera e propria trincea emotiva. Non a caso la storia comincia proprio nel momento in cui il caos esterno – l’arrivo imminente di un uragano – si riflette e amplifica quello interno.
Nel mezzo della crisi climatica, un’altra tempesta prende forma tra i corridoi dell’ospedale: quella generata dalla sospensione del brillante capo degli specializzandi, il dottor Xander Phillips, e dalla promozione improvvisa della giovane dottoressa Danny Simms, che si ritrova a dover guidare un team sconvolto proprio a causa della sua denuncia verso lo stesso Xander, suo ex amante e mentore.
Danny è uno di quei personaggi che sembrano costruiti per dividere il pubblico. Non è un’eroina lineare. È emotivamente disordinata, impulsiva, brillante, profondamente umana. Il suo passato con Xander, fatto di una relazione segreta e sbilanciata, riemerge come una ferita ancora aperta proprio nel momento in cui dovrebbe dimostrare autorevolezza e sangue freddo.
E qui entra in gioco uno dei grandi temi della serie: cosa succede quando sei chiamato a essere un leader in un ambiente che ti ha visto nella tua versione più vulnerabile? Danny si muove costantemente in equilibrio tra colpa e determinazione, e la serie la segue da vicino, spesso lasciandoci nei suoi silenzi, nei suoi scatti d’ira, nella fatica con cui si prende il proprio spazio. Xander è carismatico, brillante, sicuro di sé. Ma è anche un personaggio sfaccettato, che passa da momenti di apparente fragilità a derive manipolatorie che lo rendono difficile da leggere. È il classico medico di successo che ha sempre vissuto all’interno di una bolla di privilegi, e che ora si ritrova a fare i conti con una realtà in cui i suoi comportamenti hanno conseguenze reali.
“È da un anno che continuo a sentire un… un grande peso sul petto” Il monologo si apre come se fosse l’inizio di una crisi d’ansia. Ma non lo è. È molto più profondo. Questo “peso” è il senso di colpa, il dubbio costante, l’angoscia della memoria non validata. Danny ci dice che ha portato tutto dentro, in silenzio, per dodici lunghissimi mesi. Un tempo insopportabile se sei sola con un dolore che nessuno intorno a te sembra riconoscere. “Mi serviva una persona imparziale che mi dicesse che tutto questo non era giusto” Qui emerge con forza un tema ricorrente in Pulse: la solitudine di chi subisce una dinamica tossica ma teme di passare per esagerato, vendicativo, instabile. Danny non denuncia per vendetta. Denuncia perché ha bisogno di conferme. Vuole che qualcuno, esterno, le dica: “Hai ragione, non stai impazzendo.” È un atto che nasce da una profonda insicurezza emotiva, non da rabbia.
“Non ho ritirato la denuncia perché non era vero. L’ho ritirata perché mi sono resa conto che… quello che possono offrirmi non mi serve più.” Questa è la frase più potente e più devastante. Danny non sta giustificando il ritiro della denuncia. Sta dicendo una cosa ancora più dura: che la giustizia formale non risolve un dolore informale. Che avere ragione su carta non basta. Perché quello che le serve è qualcosa che nessuna indagine può darle: l’ammissione di colpa da parte dell’uomo che amava. È una richiesta disperata, quasi ingenua. Ma vera.
“Ho bisogno che lui venga a chiedermi scusa.” Ed eccolo il nodo. Danny non cerca punizione. Non vuole che lui perda il lavoro. Non vuole la vendetta. Vuole l’empatia che non ha mai ricevuto, e che forse non riceverà mai. E in questa richiesta – così semplice e così tragica – c'è tutta la dimensione emotiva del suo personaggio: una donna che vuole ancora credere nella possibilità che l’altro capisca il male che ha fatto.
“Nonostante tutto io lo amavo, e sì, continuo ad amarlo.” È una confessione che mette a disagio. Ma Pulse sceglie di mostrarla, e di non edulcorarla. Perché è reale. Danny sta dicendo ciò che tante persone non riescono a dire: che si può amare chi ti ha ferita. Che si può essere vittime e, allo stesso tempo, legate a chi ti ha fatto del male. Non è un errore. È una condizione. E il dolore più grande è che nessuno, là fuori, sembra disposto ad accettarla.
Questo monologo è forse il momento più sincero, e più difficile, della serie finora. Perché Danny non sta raccontando la sua verità per liberarsene. Sta raccontandola per essere vista davvero, forse per la prima volta. Vuole che qualcuno – spettatore, collega, sorella, o magari Xander stesso – la ascolti senza giudizio, senza darle etichette.
Le Migliori Classifiche
di Recitazione Cinematografica
Entra nella nostra Community Famiglia!
Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno
Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.
Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.