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~ LA REDAZIONE DI RC
Dietro ogni grande film c’è un set, e dietro ogni set c’è un regista con il suo metodo di lavoro. Alcuni girano in maniera meticolosa, ripetendo una scena decine di volte per ottenere la perfezione. Altri preferiscono l’improvvisazione, lasciando spazio agli attori e agli imprevisti. Alcuni si affidano a un’organizzazione rigida, altri lavorano nel caos.
Ogni regista ha il suo approccio unico, spesso fatto di rituali, ossessioni e abitudini bizzarre che influenzano il modo in cui un film prende forma. In questo articolo esploreremo il dietro le quinte della regia, raccontando aneddoti e metodi di lavoro di alcuni dei più grandi cineasti della storia.
Stanley Kubrick e il Perfezionismo Ossidante
Se esiste un regista noto per la sua ossessione maniacale per il dettaglio, quello è Stanley Kubrick. Il suo approccio al cinema era scientifico, quasi matematico: ogni inquadratura, ogni movimento di macchina, ogni espressione dell’attore doveva essere esattamente come l’aveva immaginata. Kubrick era famoso per ripetere le scene un numero esasperante di volte. Durante le riprese di Shining (1980), arrivò a far rifare a Shelley Duvall la scena in cui brandisce la mazza da baseball ben 127 volte. L’attrice, esausta e in lacrime, finì per perdere i capelli a causa dello stress. Per Kubrick, però, la fatica era parte del processo: voleva che il terrore di Wendy fosse reale. Anche Jack Nicholson subì il metodo Kubrick. La celebre scena della porta abbattuta con l’ascia ("Here’s Johnny!") venne girata oltre 60 volte, perché il regista voleva che il livello di furia fosse perfetto. Per rendere la scena ancora più difficile, fece usare porte vere invece di quelle di scena, costringendo Nicholson a spaccarle con un vero colpo d’ascia. Kubrick non lasciava nulla al caso. Per Barry Lyndon (1975), girò molte scene a lume di candela, usando speciali lenti sviluppate per la NASA, perché voleva che la luce fosse esattamente quella che si sarebbe vista nel XVIII secolo. Per 2001: Odissea nello spazio (1968), studiò minuziosamente ogni dettaglio scientifico, cercando di rendere lo spazio più realistico di quanto fosse mai stato rappresentato al cinema.
Se Kubrick cercava la perfezione nel controllo assoluto, Werner Herzog cercava la verità nel caos e nell’estremo. Il suo approccio al cinema era quasi mistico: per lui, un film doveva essere un’esperienza, non solo una narrazione. Herzog è famoso per spingere i suoi set ai limiti della sopportazione umana. Durante le riprese di Fitzcarraldo (1982), invece di usare effetti speciali, decise di trasportare realmente una nave da 320 tonnellate su una montagna nella giungla amazzonica. Il set divenne un incubo: attori e troupe lavoravano in condizioni proibitive, tra insetti, malattie tropicali e incidenti continui. Ma per Herzog il cinema era una prova di sopravvivenza. "Se volete fare film, non andate a scuola di cinema. Andate in Amazzonia, perdetevi, imparate a lottare contro il caos," ha detto una volta. Uno degli elementi più celebri della carriera di Herzog è il suo rapporto turbolento con Klaus Kinski, protagonista di molti suoi film. I due avevano un legame fatto di odio e rispetto: sul set di Aguirre, furore di Dio (1972), Kinski ebbe una crisi isterica e tentò di lasciare il film. Herzog lo minacciò con un fucile, giurando che l’avrebbe ucciso se fosse andato via. Il loro rapporto fu così intenso che Herzog girò un documentario su di lui, Kinski, il mio nemico più caro (1999), dove raccontò come Kinski fosse un genio insopportabile e insostituibile.
David Fincher e il Controllo Assoluto
David Fincher è noto per il suo perfezionismo e per il controllo totale che esercita su ogni aspetto del film. Ogni scena, ogni dialogo, ogni movimento di macchina è studiato nei minimi dettagli, al punto che gli attori si trovano spesso a rifare la stessa scena decine di volte. Come Kubrick, anche Fincher è noto per il numero elevatissimo di ciak. In The Social Network (2010), la scena iniziale tra Jesse Eisenberg e Rooney Mara al bar fu girata 99 volte, perché Fincher voleva che il ritmo del dialogo fosse perfetto.
In Zodiac (2007), una delle scene chiave – il primo omicidio – fu ripetuta così tante volte che l’attore protagonista iniziò a pensare di essere realmente un serial killer. Fincher è anche un pioniere nell’uso del digitale per mantenere il massimo controllo. In Gone Girl (2014), molte scene furono girate con più telecamere in contemporanea, per permettergli di scegliere con precisione il miglior montaggio possibile. Inoltre, usa il digitale per correggere anche i minimi dettagli, come la posizione degli occhi degli attori o il colore della pelle.
Il suo stile freddo, calcolato e ossessivamente preciso lo ha reso uno dei registi più distintivi di Hollywood.
Federico Fellini e il Caos Organizzato
Se Fincher e Kubrick erano ossessionati dal controllo, Federico Fellini era il maestro del caos creativo. I suoi set erano celebri per l’atmosfera surreale, con attori, comparse e macchinisti che spesso non sapevano esattamente cosa stessero girando fino all’ultimo momento. Fellini amava creare sul momento. Spesso cambiava la sceneggiatura sul set, aggiungeva scene non previste e lasciava che gli attori improvvisassero. In 8½ (1963), Marcello Mastroianni girava molte scene senza avere un copione preciso, affidandosi al caos orchestrato da Fellini. Il regista era anche famoso per il suo metodo unico di dirigere gli attori: spesso non faceva registrare il suono sul set, preferendo doppiare tutto in post-produzione. In questo modo, poteva modificare i dialoghi a piacimento anche dopo aver girato le scene.
Conclusione: Ogni Regista ha il Suo Metodo, Ogni Film ha il Suo Caos
Il cinema è fatto di metodi opposti. Alcuni registi controllano ogni dettaglio, altri si affidano al caso. Alcuni costruiscono scene come se fossero quadri perfetti, altri cercano il realismo brutale della vita vera.
Ma una cosa accomuna tutti i grandi registi: la loro visione unica. Che sia attraverso il perfezionismo ossessivo di Kubrick, il caos di Fellini o l’estremo di Herzog, ogni film è il risultato di un metodo, di una filosofia e, a volte, di un’ossessione. Perché fare cinema è trovare il modo perfetto per raccontarla.
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