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~ LA REDAZIONE DI RC
"Romanzo Criminale" (2005), diretto da Michele Placido e tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo, è un film che racconta l’ascesa, il dominio e il crollo di una banda criminale nella Roma degli anni Settanta e Ottanta. Non è un gangster movie “alla americana”. Qui non c’è solo la scalata al potere: c’è un’intera città – Roma – che cambia faccia mentre i protagonisti diventano leggenda.
La trama prende spunto dalla vera storia della Banda della Magliana, ma senza mai dichiararsi documentario. È un’opera che mischia cronaca, romanzo, politica e malavita, costruendo una narrazione che funziona come uno specchio sporco di quegli anni.
I protagonisti sono quattro ragazzi di borgata che decidono di prendersi Roma. Ognuno con un nome da soprannome:
Il Libanese (Pierfrancesco Favino): è il motore della banda. Ambizioso, violento, deciso. Vuole potere, e non si accontenta dei piccoli traffici.
Il Freddo (Kim Rossi Stuart): il più riflessivo del gruppo. Uno che uccide senza battere ciglio, ma porta il peso di quello che fa.
Il Dandi (Claudio Santamaria): ha il fiuto per il denaro. È quello che si avvicina di più alla Roma dei salotti, dei politici e della borghesia corrotta.
Il Bufalo (Riccardo Scamarcio): la mina vagante. Spietato e imprevedibile.
Il film comincia con un sequestro: quello del Barone Rosellini, un ricco uomo della Roma bene. È il colpo che permette al Libanese di mettere insieme i soldi per dare vita a un’organizzazione criminale. Il sogno è chiaro: monopolizzare il traffico di droga nella capitale.
E ci riescono. La banda cresce, ingloba altri gruppi, si allea con la camorra, con la mafia, entra nei giochi di potere, tocca ambienti dello Stato. Ma più salgono, più diventano vulnerabili.
L’equilibrio interno comincia a sgretolarsi: divergenze tra Libanese e Dandi, tensioni tra Freddo e il resto della banda, amori che distraggono, soldi che dividono. La morte del Libanese (un omicidio inaspettato) è la crepa che diventa voragine. Da lì in poi è una lenta e inevitabile discesa.
La banda si spacca, il commissario Scialoja stringe il cerchio, e i nemici – interni ed esterni – cominciano a colpire. Alla fine, la Roma criminale che avevano conquistato si ritorce contro di loro.
“Romanzo Criminale” racconta un’epopea tragica. La banda non è solo un’organizzazione criminale: è il simbolo di un’Italia che, negli anni Settanta e Ottanta, mescola terrorismo, servizi segreti deviati, politica e criminalità organizzata.
Il confine tra Stato e anti-Stato, tra legalità e crimine, si fa poroso. E dentro a questa zona grigia ci si muovono tutti: la banda, la polizia, i politici, la borghesia. Tutti sono compromessi. E nessuno, davvero, resta pulito.
Il Freddo: Kim Rossi Stuart
Il Libanese: Pierfrancesco Favino
Il Freddo è appostato. Il Libanese arriva.
Il Libanese: Perché m’hai voluto incontrà qua?
Il Freddo: Perché qua è’ncominciato tutto e qua deve finì. Non me sta bene quello che sta a succede. E non me sta bene quello che ho visto a Bologna.
Il Libanese: Perché stavi a Bologna? E che ce stavi a fa?
Il Freddo: Preparame er conto Libano, io esco dar gioco.
Il Libanese: Non se esce da sto tipo de gioco, a Freddo.
Il Freddo: E chi lo stabilisce, te? Che non conti più un cazzo perché te sei venduto ai politici?
Il Libanese: Guarda che io non sapevo de Bologna, è.
Il Freddo: O vedi che è come dico io? O vedi? Ce usano senza manco dacce e spiegazione. Quanno ce avranno spremuto ce butteranno dentro a’n secchio. Io me ne vado prima co ‘e gambe mie, vojo morì come dico io.
Il Libanese: Non me pija per culo! Non me pija per culo!
Il Freddo: Come e quando dico io!
Il Libanese: Te l’ho detto, la politica non c’entra un cazzo! Te sei bevuto er cervello per quella, hai sbroccato.
Il Freddo: Ma che te stai a’nvenà.
Il Libanese: Hai sfragnato tutto. L’amicizia, eravamo fratelli io e te. Te ne voi anna? C’era un patto. “Per sempre!”
Il Freddo: Ste regole ormai non contano più.
Il Libanese: Sta gamba vale! Sta gamba è per sempre. Io me la so giocata per difende a te e Dandi, hai capito? Hai sentito quello che ho detto? E’? Hai capito, a Giuda.
Il Freddo: Allora se sò Giuda, damme sti trenta denari che me spettano e famola finita.
Il Libanese: (Lancia dei soldi a Il Freddo)Tè. Se te manca qualcosa chiedi a Secco. Levate.
Questo dialogo tra Il Freddo (Kim Rossi Stuart) e Il Libanese (Pierfrancesco Favino) è uno degli snodi emotivi più tesi e significativi di Romanzo Criminale. Non è solo un confronto tra due amici che si separano: è un vero duello verbale. Due visioni opposte della lealtà, del potere e del destino che si scontrano dove tutto è cominciato – in strada, faccia a faccia, senza filtri. È un addio senza redenzione, e ogni battuta è un colpo assestato a un’amicizia che si sta disintegrando.
La scena si apre con scelta precisa: la location. Il Freddo fa in modo che l’incontro avvenga “dove tutto è cominciato”. Non è un dettaglio casuale. In Romanzo Criminale, i luoghi hanno un peso: la strada, la borgata, sono spazi della memoria, ma anche luoghi di potere. Scegliere quel punto significa voler chiudere un cerchio. E chiuderlo a modo suo.
Il tono è teso fin da subito. Non c’è affetto, non c’è più alleanza. C’è distanza. Il Freddo è già fuori. Il Libanese è ancora dentro, ma non comanda più davvero. E questo è il vero nodo del dialogo.
“Non me sta bene quello che ho visto a Bologna.”
Il Freddo mette in chiaro che la decisione è maturata dopo aver assistito a qualcosa che ha cambiato la sua percezione. Bologna, nel film, è legata a una realtà ambigua: traffici, stragi, politica. Non si sa esattamente cosa abbia visto, ma è stato sufficiente per aprirgli gli occhi. Non si fida più. E soprattutto ha capito che non comandano loro.
“Preparame er conto Libano, io esco dar gioco.”
Qui arriva la frase chiave. Uscire dal gioco. Ma come dice il Libanese poco dopo, “Non se esce da sto tipo de gioco”. Questa non è una banda, è un vincolo di sangue. È come una setta. Non esiste una porta d’uscita, perché l’identità di ciascuno di loro è fondata su quel patto.
“chi lo stabilisce, te? Che non conti più un cazzo perché te sei venduto ai politici?”
Il Freddo attacca. Smonta l’autorità del Libanese. Gli rinfaccia il compromesso con “i politici”. Una frase come questa, detta in quel contesto, è un’accusa gravissima. Significa: ti sei svenduto, hai perso la purezza del progetto iniziale. E chi si sporca con la politica, in quel mondo, ha già perso il controllo.
“Ce usano senza manco dacce spiegazione. Quando ce avranno spremuto ce butteranno dentro a’n secchio.”
Il Freddo ha una lucidità spietata. Ha capito che la banda è diventata una pedina. La criminalità organizzata, i servizi, la politica: tutto si muove su un altro piano, e loro sono solo carne da macello. Questa è una dichiarazione di consapevolezza tragica. Il Freddo non è più cieco. Vuole uscire prima di essere distrutto.
“Io me ne vado prima co ‘e gambe mie, vojo morì come dico io.”
Questa è forse la battuta più potente del Freddo. Non si tratta di salvarsi. Si tratta di scegliere come morire. Il Freddo rivendica un’ultima libertà: quella di decidere il proprio destino. È una frase da uomo già condannato, che però non accetta che siano altri a scrivergli la fine.
“Eravamo fratelli io e te. C’era un patto. ‘Per sempre!’”
Il Libanese tira fuori il tema della fratellanza. Cerca di riportare il discorso sul piano emotivo, sul ricordo del legame iniziale. Ma ormai è tardi. Il Freddo non ci crede più. E quando dice “Ste regole ormai non contano più”, sancisce la morte non solo della banda, ma di un’intera visione romantica del crimine. “Hai sentito quello che ho detto? E’? Hai capito, a Giuda.” Il Libanese non regge il colpo. Si sente tradito. E il paragone con Giuda non è solo biblico, è personale. Ma anche qui il Freddo ha la risposta pronta:
“Allora se sò Giuda, damme sti trenta denari che me spettano e famola finita.”
È una delle chiusure più gelide e precise del film. Il Freddo prende il paragone, lo ribalta e lo svuota. Trasforma l’accusa in cinismo. È il modo definitivo per dire: "Hai ragione, tradisco, ma perché è l’unico modo per salvarmi la dignità." E il gesto del Libanese – che gli lancia i soldi – è disperato. Non ha più niente da dire.
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