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~ LA REDAZIONE DI RC
“Smetto quando voglio”, diretto da Sydney Sibilia nel 2014, è una commedia italiana che si muove agilmente tra il ritratto sociale e il racconto criminale. Non è solo un film “su” dei ricercatori precari: è un'operazione che parte da un’idea semplice ma brillante — e suona già come una battuta da commedia: “E se un gruppo di cervelloni finisse a spacciare droga per disperazione?” — e la sviluppa con ritmo, sarcasmo e un certo gusto per il paradosso.
Il protagonista è Pietro Zinni, interpretato da Edoardo Leo, un ricercatore universitario in neurobiologia che, dopo anni di lavoro sottopagato e precarietà accademica, viene licenziato a causa dei tagli all’università. Pietro è un uomo abituato a ragionare per equazioni, calcoli e regole. Ma quando la realtà lo costringe fuori da quel mondo teorico, non gli resta che adattarsi. E lo fa a modo suo.
Pietro decide di usare le proprie competenze scientifiche per sintetizzare una smart drug, una sostanza che rientra in una zona grigia della legge — non ancora illegale — e quindi non perseguibile penalmente. Qui si inserisce la vera spinta narrativa del film: la costruzione della banda.
E la banda è un elemento centrale. Pietro recluta altri ex accademici e ricercatori: un economista, un chimico, due latinisti, un antropologo culturale e persino un archeologo. Ognuno ha una specializzazione che torna utile nella creazione, distribuzione e vendita della droga. Ma soprattutto, ognuno di loro rappresenta una figura del mondo intellettuale costretto alla marginalità, al fallimento lavorativo o all’umiliazione quotidiana.
Quello che parte come un esperimento tecnico e apparentemente innocuo — una droga che “non fa male”, legale e perfettamente controllata — si trasforma in un’operazione criminale vera e propria. La banda inizia a fare soldi, tanti soldi, e con i soldi arriva il caos: feste, eccessi, rivalità con la criminalità organizzata, perdita di controllo. Il tono del film resta leggero, ma sotto traccia corre un senso di disillusione piuttosto amaro.
Andrea: Pietro Sermonti
Sfasciacarrozze: Enzo Provenzano
Andrea: Niente alla fine me so fatto due anni dentro pe non fa l’infame co l’amichi. Poi sò uscito, so annato a lavorà dar cantiere da mi zio. Poi tutto bene fino a tre mesi fa che zio è morto.
Sfasciacarrozze: Beh. Me dispiace.
Andrea: Ma non ha sofferto, è. Cioè, la coltellata gliel’hanno data bella precisa qua popo su a carotide. Che poi c’aveva pure ragione quello che gliel’ha data, una vecchia storia di poker online. Comunque, E là scoppia il casino, perché i fiji cominciano a litigà. Se so scannati pe l’eredità, C’è stata n’aspra diatriba legale pe… pe la divisione de eredità. C’è stata tutta… e famije so così no. Se litiga pe i soldi come ar solito.
Sfasciacarrozze: Scusa, che hai detto?
Andrea: Che ho detto, che i fiji hanno cominciato a scannasse, no? E’ sempre così co i sordi, no?
Sfasciacarrozze: Nono, hai detto un’aspra diatriba legale.
Andrea: Chi io? Asp.. non so manco che vor dì.
Sfasciacarrozze: Tu sei laureato.
Andrea: Non so laureato io.
Sfasciacarrozze: Io so stato chiaro, non assumo laureati.
Andrea: Non sò laureato. M’hanno cacciato da scola a terza media che spignevo er fumo.
Sfasciacarrozze: Non sete affidabili.
Andrea: Ma che stavo qua se ero laureato, abbia pazienza no?
Sfasciacarrozze: Sei il terzo sta settimana.
Andrea: Non so laureato! Va bene, sono Laureato, si. Si, ma guardi che è un errore di gioventù del quale sono profondamente consapevole. Io guardi, ho inoltrato una richiesta per rinunciare al mio titolo accademico. Significa che tempo due settimane io ho praticamente la quinta elementare. Se vuole esibisco tutta la documentazione pertinente…
Sfasciacarrozze: Senti, rega… qui c’è da sporcarsi le mano.
Andrea: SOno qui apposta.
Sfasciacarrozze: A me non me serve a gente che sta tutta a vita sui libri.
Andrea: Sono qui apposta.
Sfasciacarrozze: Poi se vede che sono troppo bravo ragazzo.
Sfasciacarrozze: E’ no. Bravo ragazzo no, però. Io sono una persona pericolosissima, invece. Da un momento all’altro io potrei fare dei gesti inconsulti (butta dei fogli sul tavolo) Mi sa che era una fattura importante, vero. Scusi tantissimo. Non so cosa m’è preso. Guardi, era una fattura, ma poi la cosa importante delle fatture è il numero, si risale facilmente. Mi invia il PDF io gliel’ha ristampo. Mi scusi tantissimo, proprio…
Sfasciacarrozze: Ma che stai a fa, lo vedi che non sei adatto.
Andrea: E’ lo so, ma questo è un momento emotivamente difficile per me.
Sfasciacarrozze: Senti rega, fatte l’esperienza de vita, mettete nei guai. Vivete la strada. E poi magari ritorni.
Andrea: Si… grazie del consiglio.
Questo dialogo tra Andrea (Pietro Sermonti) e lo Sfasciacarrozze (Enzo Provenzano) è una piccola perla di commedia esistenziale travestita da sketch comico, che riesce a raccontare un’intera condizione sociale in pochi minuti: quella del laureato, o ex intellettuale, che tenta disperatamente di fingersi “non laureato” per trovare lavoro in un ambiente dove la cultura non è solo inutile, ma addirittura sospetta.
Andrea entra in scena come un uomo spezzato. Non solo ha fallito professionalmente, ma è costretto a negare la propria formazione per cercare un impiego umile. Nella sua bugia, che diventa sempre più fragile e surreale, c’è tutto il senso di alienazione di chi ha studiato, si è formato, e ora è visto come un problema, un corpo estraneo nel mondo del lavoro manuale.
"Va bene, sono laureato, sì. Ma guardi che è un errore di gioventù del quale sono profondamente consapevole." Questa battuta è tragicomica, ma anche amarissima. La laurea, in questo contesto, non è un traguardo, ma un marchio di esclusione sociale. Non è uno strumento per emanciparsi, ma un ostacolo. Il cuore comico del dialogo è lo slittamento linguistico. Andrea, cercando di sembrare “uno di strada”, si tradisce continuamente con il lessico da intellettuale: "C’è stata un’aspra diatriba legale…" È una frase che stona completamente in bocca a uno che afferma di aver lasciato la scuola in terza media. Ed è proprio questo cortocircuito tra modo di parlare e identità dichiarata che fa scattare la risata. Il pubblico riconosce l’inadeguatezza di Andrea al ruolo che cerca di interpretare, ma empatizza con il suo sforzo disperato.
Il punto più interessante del dialogo, però, è lo spostamento del pregiudizio: non è più lo stereotipo del “delinquente” a essere penalizzato, ma il laureato. Lo Sfasciacarrozze non è un “cattivo”: è il simbolo di un mondo concreto, duro, che rifiuta la teoria e i libri come cose inutili, quasi dannose. "Non siete affidabili." "A me non me serve a gente che sta tutta la vita sui libri." Questo rovesciamento è l’essenza del tono satirico del film: un mondo capovolto, dove la cultura è vista come una debolezza, e la sopravvivenza passa per la negazione di sé.
Andrea è forse uno dei personaggi più umani del film. Dietro il suo imbarazzo e la goffaggine c’è una fragilità reale. Quando dice: "Questo è un momento emotivamente difficile per me…" non sta solo cercando di giustificarsi: sta crollando, pur tentando disperatamente di mantenere una facciata. E il modo in cui lo fa — scusandosi per una fattura, offrendo soluzioni digitali — lo conferma come un personaggio tragicomico perfettamente costruito.
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