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~ LA REDAZIONE DI RC
In Soleil Noir, i monologhi non sono semplici snodi narrativi: sono confessioni emotive, dichiarazioni di guerra, e nei casi migliori, veri atti d'accusa. Quello del padre di Alba è uno di questi. Arriva in un momento di rottura, in cui la tensione familiare ha già fatto saltare le maschere e i rapporti sono diventati pura strategia o rifiuto. Il padre prende la parola e non lo fa per difendersi. Non cerca neanche redenzione. Sembra voler solo spiegare — ma in realtà giustificare — il proprio abbandono emotivo verso una figlia che non riconosce più.
STAGIONE 1 EP 4
MINUTAGGIO: 23:13-24:14
RUOLO: Padre di Alba
ATTORE: -
DOVE: Netflix
ITALIANO
Sapete, ad Alba io ho dato tutto. Lei era una bambina educata, studiosa, e solare. Poi non so, mi è sfuggito tutto di mano. Mia moglie invece ci ha provato in tutti i modi: con il dialogo, con la fermezza… non è riuscito a niente. Ogni volta che sembrava tornare in sé sprofondava di più. A un certo punto ho detto: basta, non devo sopportare tutto perché è mia figlia. Ora mi importa solo di mio nipote, voglio tirarlo fuori da questo Caos. Per Alba una brava madre deve trascinare giù con se suo figlio.
Soleil Noir è una serie che su carta si presenta come un thriller familiare, ma una volta che ci entri dentro capisci subito che sei finito in un melodrammone che strizza l’occhio più a Beautiful e Dynasty che a La Promessa dell’Assassino. Ma attenzione, perché è proprio in questo mix un po’ pasticciato – a tratti volutamente kitsch – che la serie trova il suo tono.
La protagonista è Alba Massier, interpretata da Ava Baya: 25 anni, ex tossicodipendente, un passato sporco e un presente che cerca in tutti i modi di ripulire. Quando decide di rifugiarsi con il figlio Leo a Grasse (sì, proprio la città dei profumi), trova lavoro in un’azienda agricola che coltiva rose. A gestirla è un certo Monsieur Arnault, interpretato da Thibault de Montalembert.
Solo che durante una delle sue prime giornate di lavoro, Alba trova Arnault morente, colpito da un proiettile. Fugge, ovviamente. Chi non lo farebbe, con il passato che ha? E da lì si apre una scatola cinese di segreti familiari, eredità contese, figli illegittimi, madri manipolatrici e un assassino che cambia volto fino all’ultimo episodio. Il testamento di Arnault spiazza tutti. Oltre ai figli legittimi (Mathieu e Lucille), lascia tutto ad Alba. Perché? Perché – sorpresa – Alba sarebbe sua figlia illegittima. E qui parte la guerra vera: la moglie Béatrice (Isabelle Adjani), glaciale e tagliente come solo una dark lady francese può essere, entra in scena con un monologo funebre che sembra scritto da un autore di telenovelas sotto acido (e funziona, maledizione se funziona).
Alba, intanto, non solo è sospettata dell’omicidio, ma anche bersaglio di tentativi di omicidio, rapimenti, e un passato che la inchioda: è già stata accusata di aver ucciso il padre del figlio, il suo ex tossico. Convinta che qualcuno voglia incastrarla, Alba comincia a scavare nei segreti della famiglia Arnault. E qui la serie si fa più soap che noir: una sorella (Lucille) che sospetta della madre, un fratello (Mathieu) tossico e schiacciato dai debiti, una madre (Béatrice) che prova a comprarla pur di farla confessare, e un figlio adolescente (Aurélien) sempre più inquietante. Tra complotti interni, affari milionari con Maison Oris (una casa di profumi), testamenti falsati e persino un omicidio su commissione – Alba viene costretta ad uccidere un notaio! – Soleil Noir costruisce un intrigo a spirale dove la verità sembra sempre un passo più in là.
Quando Cleo minaccia di mandare Leo in carcere, Alba è pronta a ucciderla per difendere il figlio. E qui – boom – la serie si prende una pausa, cambia tono, e si chiude con una scena che sembra presa da Cime Tempestose ma con l’arredamento Dior. Nella villa abbandonata, i membri superstiti della famiglia si ritrovano per incontrare il nuovo acquirente. E chi entra? Nadia, la donna scomparsa, madre biologica di Alba. È lei il nuovo proprietario dell’impero.
“Sapete, ad Alba io ho dato tutto. Lei era una bambina educata, studiosa, e solare." Il monologo si apre con una classica idealizzazione del passato. È il momento nostalgico, ma anche il più ambiguo. “Ho dato tutto” è una frase che suona quasi difensiva, come se già sapesse che chi ascolta lo sta giudicando. È una dichiarazione che prepara il terreno a un’ammissione di fallimento, ma cerca di anticiparla con una giustificazione. "Poi non so, mi è sfuggito tutto di mano." Questo è il cuore del suo smarrimento. Una frase semplice, che descrive bene un certo tipo di paternità: presente ma passiva, affettiva ma non attrezzata. Non c’è un evento scatenante, nessun momento preciso: solo una sensazione di perdita di controllo.
"Mia moglie invece ci ha provato in tutti i modi: con il dialogo, con la fermezza… non è riuscito a niente." Qui il discorso vira sulla colpa condivisa. Il padre tira dentro anche la madre, in un gesto che è sia complicità che scarico di responsabilità. Interessante che l’unico verbo usato al femminile — "riuscito" — sia un errore, probabilmente voluto. Come se fosse distratto o freddo anche quando parla della donna che “ha provato in tutti i modi”. "Ogni volta che sembrava tornare in sé sprofondava di più." L’immagine è potente e visiva. Il verbo “sprofondava” trasmette un senso di inevitabilità. Qui la figlia non è più una persona ma quasi una condanna ciclica, un errore che si ripete e travolge tutti. C’è una certa fatalità nel modo in cui lui la descrive. Come se Alba fosse stata condannata fin da subito a cadere.
"A un certo punto ho detto: basta, non devo sopportare tutto perché è mia figlia." Questa è la frase più dura. Non è solo una resa, è un taglio netto. È anche un ribaltamento dell’idea classica di genitorialità, quella che impone l’amore come condizione incondizionata. Qui lui mette un limite. Non per salvare Alba, ma per salvare sé stesso. E forse per salvare Leo. "Ora mi importa solo di mio nipote, voglio tirarlo fuori da questo Caos. Il finale delinea il nuovo obiettivo: Leo. Non c’è slancio affettivo, ma una dichiarazione d’intenti. Il padre ha rinunciato alla figlia, e ora vuole “salvare” il nipote da quella stessa forza distruttiva. “Per Alba una brava madre deve trascinare giù con sé suo figlio." Ed è qui che arriva l’accusa vera. Questa non è solo una constatazione: è un giudizio morale. Un affondo pesante, che chiude il monologo su una nota amarissima. Alba non è una madre che sbaglia, ma una madre che sceglie la rovina. E questo, agli occhi del padre, è imperdonabile.
Il monologo del padre di Alba è un micro-dramma che racchiude tutta l’ambiguità morale della serie. Non è una confessione piena di pathos, né una scenata emotiva: è una dichiarazione di resa travestita da dichiarazione di forza. Parla come se stesse proteggendo il nipote, ma in realtà sta proteggendo sé stesso. E lo fa nel modo più umano — e più meschino — possibile: tagliando i legami con chi non riesce più a capire.
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