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~ LA REDAZIONE DI RC
“Hai ancora fede nell’umanità?” – questa è la domanda al centro dell’ultima stagione. E dopo tre cicli di giochi, tre stagioni di sopravvivenza, tradimenti e disillusioni… la risposta comincia a farsi sempre più amara.
Stagione 1 Un fenomeno. Squid Game esplode con un’idea semplice e feroce: centinaia di disperati vengono reclutati per partecipare a giochi infantili… con esiti letali. Chi perde, muore. Chi vince, si porta a casa una montagna di soldi. Ma il cuore è tutto in Gi-hun (Lee Jung-jae), il n°456, un uomo schiacciato dai debiti e dal fallimento personale che si ritrova a vincere il gioco, perdendo però tutto quello che aveva di umano lungo il cammino.
Stagione 2 Gi-hun, dopo aver deciso di non partire per gli Stati Uniti, si mette sulle tracce dell’organizzazione responsabile. Entra in gioco il Front Man, figura sinistra e autoritaria che scopriamo essere In-ho (Lee Byung-hun), il fratello dell’agente di polizia Jun-ho. Vengono introdotti nuovi personaggi, tra cui la guardia Kang No-eul (Park Gyu-young), e nuovi giochi. Ma la seconda stagione si chiude con un cliffhanger pesante: Gi-hun è pronto a colpire, a interrompere definitivamente il ciclo dei giochi.
La terza stagione riparte esattamente da dove si era fermata la seconda. Gi-hun è più solo che mai, devastato dalla carneficina scatenata nel suo tentativo di ribellione. Ha perso tutto, anche la direzione morale. Non sa ancora che il Front Man è proprio In-ho, ma il confronto tra i due è imminente.
Gi-hun sull’isola: È tornato al centro dell’arena. Ma stavolta non per giocare, bensì per distruggere il gioco dall’interno. Il suo arco è quello del vendicatore stanco, che non ha più nulla da perdere ma neanche la lucidità di un eroe. E non è detto che ce la faccia.
Jun-ho alla ricerca dell’isola: Il poliziotto, creduto morto nella prima stagione, è ormai vicino a scoprire tutto. La sua linea narrativa si intreccia con quella del Capitano Park, figura ambigua che ostacola le sue indagini. Questo filone si muove in stile thriller: infiltrazioni, documenti rubati, e una verità sempre più scomoda.
Kang No-eul e il giocatore n°246: Il terzo arco è più personale. La guardia introdotta nella stagione 2 vuole salvare a tutti i costi un giocatore. Questo segmento porta dentro il tema della maternità, dell'eredità emotiva e morale, ed è uno dei pochi punti in cui l’umanità sembra ancora esistere. Ma la domanda è: a che prezzo?
Due giochi restano da giocare. Non è stato svelato quali, ma seguendo la logica della serie, si può intuire che saranno distorsioni feroci di simboli infantili. Nella tradizione di Red Light, Green Light o del Gioco delle Biglie, questi ultimi round sembrano messi in scena per annientare ogni residuo di innocenza.
456: Lee Jung-jae
333: Im Si-wan
333: La bambina sta bene?
333 passa il ponte. 456, con la bambina in braccio, fa per raggiungerlo. 333 tiene alla larga 456 con un palo, se lo spinge lui e la bambina cadranno.
333: Ora dammi la bambina. Poi torna lì, hai capito?
456: Ti rendi conto di che cosa significa? Se tu mi uccidi, nel prossimo turno dovrai eliminare te stesso o la bambina.
333: Si, lo so.
456: Vuoi dirmi… che pensi di uccidere questa bambina? E di andartene via con tutto il montepremi?
333: Dammi la bambina.
456: Se non attraversiamo il ponte morirai anche tu.
333: Allora moriamo tutti e tre. Dammi la bambina ho detto!
456: Fammi passare, e ti permetterò di uccidermi.
333: Cazzo, pezzo di merda! Credi che sia uno stupido? Tu vuoi farmi passare, così mi spingerai di sotto e andrai via con tutti i soldi. Capisco perché hai vinto l'ultima volta. Sai essere convincente. Pensa che eri quasi riuscito a fregarmi.
456: Non sto mentendo.
333: Che gran pezzo di merda. Vuoi sapere come sono capitato in questo posto del cazzo? Sono stato fottuto più e più volte da dei bastardi come te.
456: Ti devi fidare, per salvare te e la bambina.
333: Cosa, mi dovrei fidare, e perché?
456: Ho fatto una promessa. Ho promesso che l'avrei protetta.
333: L'hai promesso? E a chi, a Jun-hee? Tu e Jun-hee che rapporto avevate? La conoscevi fuori dal gioco. E' successo qualcosa fuori da qui dentro? Merda, ecco perché ti stava attaccata come una cozza, avevo capito che c'era qualcosa, pezzo di merda.
456: Adesso basta parlare, il tempo scorre.
333: Allora non parlare e metti la bambina su questo cazzo di ponte!
Siamo al confine estremo tra gioco e tragedia, tra regole e caos, tra disperazione e lucidità. Questo dialogo, ultimo atto di Squid Game 3, è una lama a doppio taglio: mette in scena una resa dei conti tra istinto di sopravvivenza e senso di responsabilità. Un uomo con in braccio una neonata. L’altro, il padre biologico, ma con un palo in mano. E in mezzo un ponte sospeso – che qui non è solo uno spazio fisico, ma il simbolo di ciò che separa l’umanità dalla sua fine. Siamo nel gioco finale. Sono rimasti in tre: 456 (Gi-hun), 333 (l’ex di Jun-hee), e una neonata nata nel mezzo del massacro. Un neonato. Dentro Squid Game. Solo l’idea è disturbante. Ma il contesto lo è ancora di più: la bambina non è solo una “presenza”, è un giocatore. E per quanto assurdo, le regole del gioco lo confermano: il prossimo turno potrebbe vederla come bersaglio.
Il dialogo si svolge su un ponte – elemento ricorrente nei climax della serie – e si sviluppa in due direzioni: la lotta per il potere e la battaglia emotiva.
Gi-hun si presenta con la bambina in braccio. Questo solo dettaglio basta per caricare la scena di un’ambiguità straziante: può sembrare inoffensivo, ma tiene tra le braccia un’arma morale. Più forte di qualsiasi coltello, più pesante di qualsiasi pistola.
Dice: “Fammi passare, e ti permetterò di uccidermi.”
Ma 333 non ci crede. Non può crederci. Nel mondo di Squid Game, fidarsi è un atto suicida. E lui, 333, non vuole morire come uno stupido. Il tono di 456, però, resta calmo. Cerca di ragionare. Non urla. E qui si percepisce chiaramente che non è più l’uomo della prima stagione. È cambiato. Ha visto troppa morte. E ora ha fatto una promessa. “Ho promesso che l’avrei protetta.” La promessa è il nuovo codice morale. L’ultimo rimasto. Non le regole, non il denaro. Solo una promessa fatta a una persona che non c’è più.
Lui invece è in un altro stato. Totalmente ingestibile. Oscilla tra la paranoia, la gelosia, il risentimento. Non si fida. Non vuole parlare. Ma allo stesso tempo deve parlare, perché è l’unico modo per razionalizzare ciò che non è razionale: la presenza di sua figlia su un ponte che potrebbe diventare la sua tomba. “Sono stato fottuto più e più volte da bastardi come te.”
Questa frase è la chiave di lettura del suo comportamento. 333 non sta reagendo a Gi-hun. Sta reagendo a tutto il dolore pregresso, a una storia di abbandoni, tradimenti e senso d’inferiorità. Proietta tutto su 456, che diventa il volto dell’inganno. “Ecco perché ti stava attaccata come una cozza.” Una battuta velenosa, figlia della gelosia, ma anche del sospetto: e se Jun-hee avesse davvero visto in Gi-hun un padre migliore per la bambina? Ecco il punto: 456 è diventato padre senza esserlo. 333 lo è diventato biologicamente, ma non lo ha mai accettato.
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