Squid Game 3: analisi del monologo di Geum-ja e l'appello per fermare il gioco

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo nel momento più vulnerabile, crudo e disarmato di Geum-ja, una donna che ha già toccato il fondo con le mani, che ha perso il figlio per colpa sua — e non in senso metaforico. Ora, quello che le resta non è più una vita da difendere, ma una voce da usare. E la usa così: inginocchiata davanti agli altri giocatori, per chiedere qualcosa che in Squid Game è quasi un’eresia: pietà.

Pietà per una madre

STAGIONE 3 EP 3

MINUTAGGIO: 14:00-15:00

RUOLO: Geum-ja

ATTRICE: Kang Ae-shim

DOVE: Netflix

ITALIANO

Signore, non possiamo qui per favore? Abbia un briciolo di pietà per questa vecchia, la prego.Ascoltatemi, ascoltatemi. Vi prego, facciamo terminare questo gioco adesso. E se a voi… se a voi i soldi non bastano, vi darò anche la mia parte, fidatevi di me. Potete prendervi anche tutti i soldi. Sentite, io ho già vissuto anche abbastanza a lungo. Anche se dovessi morire, per me non farebbe alcuna differenza. Ma non possiamo rischiare che quella bambina e sua madre vengano… uccise qui dentro, non credete? Vi prego, vi supplico ascoltatemi. Fermiamo qui questo gioco! No, aspetti. Signore, abbia pietà di Jun-hee e della sua bambina. Abbia pietà di questa vecchia, la supplico, abbia pietà. Lasci che la bambina e la sua mamma escano da qui. La prego, le faccia uscire!

Squid Game 3

“Hai ancora fede nell’umanità?” – questa è la domanda al centro dell’ultima stagione. E dopo tre cicli di giochi, tre stagioni di sopravvivenza, tradimenti e disillusioni… la risposta comincia a farsi sempre più amara.



Stagione 1 Un fenomeno. Squid Game esplode con un’idea semplice e feroce: centinaia di disperati vengono reclutati per partecipare a giochi infantili… con esiti letali. Chi perde, muore. Chi vince, si porta a casa una montagna di soldi. Ma il cuore è tutto in Gi-hun (Lee Jung-jae), il n°456, un uomo schiacciato dai debiti e dal fallimento personale che si ritrova a vincere il gioco, perdendo però tutto quello che aveva di umano lungo il cammino.

Stagione 2 Gi-hun, dopo aver deciso di non partire per gli Stati Uniti, si mette sulle tracce dell’organizzazione responsabile. Entra in gioco il Front Man, figura sinistra e autoritaria che scopriamo essere In-ho (Lee Byung-hun), il fratello dell’agente di polizia Jun-ho. Vengono introdotti nuovi personaggi, tra cui la guardia Kang No-eul (Park Gyu-young), e nuovi giochi. Ma la seconda stagione si chiude con un cliffhanger pesante: Gi-hun è pronto a colpire, a interrompere definitivamente il ciclo dei giochi.

La terza stagione riparte esattamente da dove si era fermata la seconda. Gi-hun è più solo che mai, devastato dalla carneficina scatenata nel suo tentativo di ribellione. Ha perso tutto, anche la direzione morale. Non sa ancora che il Front Man è proprio In-ho, ma il confronto tra i due è imminente.

Gi-hun sull’isola: È tornato al centro dell’arena. Ma stavolta non per giocare, bensì per distruggere il gioco dall’interno. Il suo arco è quello del vendicatore stanco, che non ha più nulla da perdere ma neanche la lucidità di un eroe. E non è detto che ce la faccia.

Jun-ho alla ricerca dell’isola: Il poliziotto, creduto morto nella prima stagione, è ormai vicino a scoprire tutto. La sua linea narrativa si intreccia con quella del Capitano Park, figura ambigua che ostacola le sue indagini. Questo filone si muove in stile thriller: infiltrazioni, documenti rubati, e una verità sempre più scomoda.

Kang No-eul e il giocatore n°246: Il terzo arco è più personale. La guardia introdotta nella stagione 2 vuole salvare a tutti i costi un giocatore. Questo segmento porta dentro il tema della maternità, dell'eredità emotiva e morale, ed è uno dei pochi punti in cui l’umanità sembra ancora esistere. Ma la domanda è: a che prezzo?

Due giochi restano da giocare. Non è stato svelato quali, ma seguendo la logica della serie, si può intuire che saranno distorsioni feroci di simboli infantili. Nella tradizione di Red Light, Green Light o del Gioco delle Biglie, questi ultimi round sembrano messi in scena per annientare ogni residuo di innocenza.

Analisi Monologo

Il primo tratto evidente è il tono. Non è un discorso, è una supplica. “Abbiate un briciolo di pietà per questa vecchia, la prego.” Non c’è autorità, non c’è forza. Solo una disperazione che implode nella voce. Geum-ja si rivolge ai giocatori come se fosse colpevole per qualcosa che ancora non è successo. È una richiesta preventiva, ma formulata con il linguaggio tipico di chi sa di non avere più nulla da offrire se non la propria resa.

“Ma non possiamo rischiare che quella bambina e sua madre vengano… uccise qui dentro, non credete?” Qui Geum-ja esce definitivamente da ogni schema da “giocatrice”. Lei non parla più per sé. Parla per qualcun altro che non ha colpa.  La madre e la figlia diventano per lei ciò che suo figlio non è più: un futuro possibile. E in questo, c’è qualcosa di tragicamente simbolico. Chiedendo di salvare loro, Geum-ja sta provando a rimediare a ciò che non ha saputo salvare nella sua stessa famiglia.

Un altro passaggio chiave: “Se a voi i soldi non bastano, vi darò anche la mia parte, fidatevi di me. Potete prendervi anche tutti i soldi.” Questa frase è un pugno allo stomaco perché annulla l’intera motivazione narrativa del gioco. In un mondo in cui la ricompensa finale è tutto, Geum-ja dice: prendeteveli pure, non mi interessa.È la rinuncia totale al premio in cambio di una scelta morale. La scena è ancora più dura perché non sappiamo se gli altri la ascolteranno. E probabilmente no, non lo faranno. Perché il mondo di Squid Game ha sempre risposto più facilmente alla logica del sospetto che a quella della pietà.
Eppure lei ci prova. Non chiede giustizia. Chiede una sospensione del disastro. E lo fa in ginocchio. Con tutta la fragilità possibile.

Conclusione

Il monologo di Geum-ja è una dichiarazione di resa, ma anche di lucidità morale.

Ha capito che la sua vita è finita, non in senso fisico, ma in senso narrativo e simbolico. Non può più riparare ciò che ha rotto, ma può evitare che qualcun altro venga spezzato nello stesso modo. È una voce che non urla per salvarsi, ma implora per salvare qualcun altro.

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