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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo è il cuore emotivo di The Judge. Un monologo di rottura, in cui Joseph Palmer – fino a quel momento figura rigida, granitica, apparentemente incapace di esprimere affetto – crolla, ma non in modo spettacolare. Crolla in maniera umana, misurata, con quel tono spezzato che Robert Duvall porta in scena senza mai renderlo patetico.
Stiamo parlando di una scena che si svolge in tribunale, ma non è la giustizia il vero tema qui. È il padre. È il figlio. È la colpa. È ciò che resta da dire quando non si ha più il tempo per dirlo.
MINUTAGGIO: 1:56:26-1:58:40
RUOLO: Joseph Palmer
ATTORE: Robert Duvall
DOVE: Netflix
INGLESE
I looked at him and saw you. Same willful disobedience… same recklessness. I looked at him and saw my middle son. My little boy. My little boy. I watched him cry right there. I wanted to put my arms around him and tell him it didn’t have to be like this. I wanted someone to help him… like I’d want someone to help my boy… if he lost his way. It was my chance to be… that someone. Is that so much to ask? Maybe so. Maybe so. I have memories. Of us. You, me. Then I don’t. I looked at you and I saw him.
ITALIANO
Guardavo lui e vedevo te. Stessa ostinata disobbedienza. Stessa sconsideratezza. Lo guardavo e vedevo il mio figlio di mezzo. Il mio bambino. Il mio bambino. Era lì davanti e piangeva. Volevo andare da lui e abbracciarlo, e dirgli che non ci si deve comportare così. Volevo che qualcuno lo aiutasse, come avrei voluto che aiutassero il mio bambino… se avesse sbagliato strada. Era la mia occasione di essere quel qualcuno. E’ forse chiedere troppo? Forse si, forse si… Guardavo te e vedevo lui.

Parliamo di The Judge (2014), un dramma familiare travestito da legal thriller. È diretto da David Dobkin, conosciuto più per commedie come Wedding Crashers, e questo è già un primo dato interessante. Perché The Judge cerca un equilibrio insolito tra tono drammatico e leggerezze da cinema mainstream americano. Non sempre ci riesce, ma alcuni passaggi meritano uno sguardo più ravvicinato.
Hank Palmer (Robert Downey Jr.) è un avvocato difensore di successo a Chicago, uno di quelli che difendono gente colpevole e vincono comunque. Viene costretto a tornare nella sua cittadina d’origine in Indiana per il funerale della madre. Lì ritrova suo padre, Joseph Palmer (Robert Duvall), giudice locale da decenni, con cui ha un rapporto logorato da anni di rancori non risolti. Quando il giudice viene accusato di omicidio, Hank si ritrova costretto a difendere legalmente l’uomo con cui ha il legame emotivo più complicato della sua vita.
Qui Downey Jr. si muove a metà tra Tony Stark e una versione più cinica di se stesso. Hank Palmer è brillante, arrogante, tagliente. Ma in quel sarcasmo c’è una rabbia più antica, un bisogno di riconciliazione che si scontra con un orgoglio familiare messo in scena in modo molto fisico, mai idealizzato.
Il caso giudiziario è narrativamente funzionale, non ha la profondità di un A Few Good Men o l’ambiguità di Primal Fear. È costruito più per dare una cornice che per creare tensione. La parte più vera non è la verità processuale, ma quella emotiva. Il film vuole parlare della colpa come eredità familiare, di quello che resta non detto nei legami più importanti della nostra vita.
“Guardavo lui e vedevo te. Stessa ostinata disobbedienza. Stessa sconsideratezza.” Il monologo comincia con un’identificazione visiva: Joseph guarda la vittima — l’uomo che sta per investire — e in quel momento vede suo figlio. È un meccanismo di proiezione potente. L’uomo davanti a lui non è più solo un ex imputato, ma una figura simbolica, quasi un duplicato emotivo del figlio. “Lo guardavo e vedevo il mio figlio di mezzo. Il mio bambino. Il mio bambino.” Qui il monologo si sposta ancora: da Hank alla memoria dell’altro figlio, il figlio di mezzo, morto anni prima. È una confessione che svela un rimpianto profondo, mai espresso nel film fino a questo punto. Ripete "il mio bambino" due volte, con quella fragilità che solo un uomo abituato a non piangere riesce a portare in voce. Questo è Joseph che si rompe. Ma lo fa nel modo più autentico: lasciando che il dolore parli per lui, senza aggiustarlo.
“Era lì davanti e piangeva. Volevo andare da lui e abbracciarlo, e dirgli che non ci si deve comportare così.” In questa frase c’è un desiderio di contatto, che è anche un’ammissione. Joseph, che ha sempre educato i figli alla durezza, alla disciplina, ora si scopre a desiderare un gesto tenero, protettivo. Ma attenzione: non è un’autoassoluzione. Non dice che ha fatto la cosa giusta. Dice che voleva fare qualcosa di diverso. Ma non l’ha fatto. E questo basta a farlo crollare.
“Volevo che qualcuno lo aiutasse, come avrei voluto che aiutassero il mio bambino… se avesse sbagliato strada.” Questo è forse il passaggio più commovente e più ambiguo. Joseph si pone nel ruolo di un uomo che cerca di essere il genitore che non è stato.
La vittima diventa un simbolo, un’occasione per espiare. Non è giustizia, non è vendetta. È desiderio di riparare, in ritardo. “Era la mia occasione di essere quel qualcuno. È forse chiedere troppo? Forse sì, forse sì…” Joseph capisce che ha agito spinto dal bisogno di riscatto, ma che forse, proprio per questo, ha fallito. “Forse sì” non è una risposta: è la sospensione. È accettare che il perdono non è garantito, e che le intenzioni, da sole, non bastano.“Guardavo te e vedevo lui.” Il cerchio si chiude con un'inversione. All’inizio vede Hank nella vittima. Ora vede il figlio morto in Hank. È una sovrapposizione totale, dove ogni figura paterna e filiale si confonde. In quel momento, Joseph non sta parlando né come giudice né come imputato: sta parlando come padre. Di fronte a un figlio a cui non ha mai saputo dire tutto.

Quello che rende questo monologo così potente è la sua dissonanza: in un’aula di tribunale ci si aspetta razionalità, argomentazione, autodifesa. Joseph invece porta lì dentro un dolore personale, un fallimento genitoriale, un amore mai espresso con parole. Il figlio che ha di fronte, Hank, è al tempo stesso il giudice e l’imputato in questa dinamica emotiva. Perché alla fine, quello che questo monologo dice, tra le righe, è: “Non sono riuscito a essere il padre che volevi, ma in quel momento ho provato a esserlo. Per un altro. Forse tardi. Forse nel modo sbagliato.”

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