The Social Network: chi è il vero protagonista tra Zuckerberg e Saverin? Analisi della scena finale

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~ LA REDAZIONE DI RC

C’è una scena in The Social Network che, da sola, vale come studio completo sul conflitto, la tensione e il non detto tra due personaggi. Siamo quasi alla fine. Eduardo Saverin entra furioso negli uffici di Facebook. Lancia il portatile. Distrugge. Poi si ferma davanti a Mark Zuckerberg, immobile, e dice: "Mi hai segato le gambe." Ecco, in quel momento si cristallizza una delle domande più interessanti del film di David Fincher: chi è il vero protagonista di questa storia? Quello che ha creato il social network più famoso del mondo, o quello che ha perso tutto nel tentativo di fare la cosa giusta?

Dietro questa domanda si nasconde un confronto attoriale di grande precisione, in cui Jesse Eisenberg e Andrew Garfield si muovono su coordinate diverse ma complementari. Uno è gelido, cerebrale, trattenuto. L’altro è istintivo, vulnerabile, emotivo. In mezzo, il testo di Aaron Sorkin, che con la sua scrittura a mitraglietta orchestra lo scontro come un pezzo di musica sinfonica.

Fincher ci presenta i due personaggi come amici — o quantomeno come soci — ma ci mette poco a farci capire che sono due mondi separati. Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg) è una mente algoritmica in un corpo umano, incapace di gestire le emozioni che gli si agitano attorno. Eduardo Saverin (Andrew Garfield), al contrario, è il ragazzo che cerca equilibrio: nelle relazioni, nel business, nell’amicizia. Il punto è che The Social Network non è costruito come una classica storia di ascesa e caduta, o almeno non solo. È un film che lavora sulla distanza. Distanza tra persone, tra ambizioni, tra linguaggi emotivi. Il conflitto tra Mark ed Eduardo non esplode mai completamente, almeno fino alla scena che stiamo per analizzare. Ma cresce. Silenzioso. Sottopelle.

Il momento chiave arriva quando Eduardo scopre di essere stato tagliato fuori dalla società. Entra negli uffici come un’onda di rabbia pura. Il corpo di Andrew Garfield è teso, vibrante, animalesco. La voce sale, il fiato si spezza. C'è una fisicità che si fa sempre più ingombrante, come se volesse riempire ogni spazio lasciato vuoto dall’assenza di comunicazione con Zuckerberg. Mark, invece, non si muove. Rimane seduto, lo sguardo fisso sul monitor, il volto inespressivo. È quasi robotico. Il linguaggio non verbale di Eisenberg è costruito sull’evitamento. Non guarda, non reagisce, non risponde — almeno non emotivamente. È un blocco di silenzio su cui rimbalzano le accuse di Eduardo.

Ma attenzione: il punto non è che uno recita “di più” e l’altro “di meno”. Il punto è come questi due registri diversi si parlano. Eduardo urla, ma Mark lo sta ascoltando. E Mark è freddo, ma Eduardo sa esattamente dove colpirlo. L’apice emotivo arriva quando Saverin dice: "Mi hai segato le gambe." E per un attimo — un solo istante — Eisenberg scivola fuori dalla maschera. Non è uno scatto evidente, è una variazione minima nel tono, nel battito delle palpebre, nel respiro. Ma c'è. E funziona proprio perché Fincher ci ha preparati: ci ha tenuti lontani da qualsiasi forma di esplosione per quasi tutto il film, e adesso ci lascia vedere una crepa.

Aaron Sorkin è famoso per i suoi dialoghi rapidi, incalzanti, a tratti teatrali. Ma in questa scena fa qualcosa di diverso. Riduce il ritmo. Lascia spazio. Soprattutto, lavora sui sottotesti. Eduardo non sta solo dicendo “mi hai tradito”, sta dicendo: “Tu mi hai usato, mi hai cancellato, e io non ti riconosco più”. Zuckerberg, nel silenzio, sta dicendo: “Lo so. Ma non riesco a farci nulla”. È la rottura definitiva di una relazione personale, quasi sentimentale. E questo è uno dei punti più affascinanti di The Social Network: Fincher e Sorkin raccontano un’amicizia (e una separazione) con la struttura narrativa di una storia d’amore finita male.

La scena si chiude con Eduardo che se ne va e con Sean Parker (Justin Timberlake) che cerca di ridicolizzarlo. Ma Zuckerberg lo zittisce con un semplice: "Non toccarlo." È una delle pochissime volte in cui Mark prende posizione, e lo fa proprio a difesa di chi ha appena distrutto il suo ufficio. Un gesto ambiguo, non chiaramente spiegato, ma potentissimo nel sottotesto. È senso di colpa? Nostalgia? Un residuo di affetto? Tutte queste cose insieme?

Se guardiamo il film da un punto di vista narrativo, il protagonista è Mark Zuckerberg. È lui il motore della storia, quello che compie le azioni decisive, quello su cui si concentra la struttura dei flashback. Ma se lo guardiamo da un punto di vista emotivo, allora la storia è quella di Eduardo. È lui che cambia. È lui che soffre. È lui che viene tradito.

E qui entra in gioco l'intelligenza della regia di Fincher: invece di prendere posizione netta, lavora per contrasti. Lo spettatore si trova costretto a oscillare tra i due punti di vista, senza avere un appiglio morale chiaro. Mark è brillante ma alienante. Eduardo è onesto ma ingenuo. Nessuno dei due è completamente “nel giusto”, ma entrambi sono umani — anche quando cercano di nasconderlo. Dal punto di vista visivo, la scena è costruita in modo chirurgico. Fincher usa inquadrature fisse, movimenti minimi di macchina, luci fredde. Niente musica a sottolineare l’emozione. Niente ralenti.

Tutto è lasciato alla tensione tra i due attori. Ed è proprio in quella tensione che il film trova il suo cuore.

Garfield lavora molto sul corpo: la postura, le mani, la respirazione. È fisicamente instabile. Eisenberg invece è un esempio di recitazione contenuta. Lo sforzo è tutto interno, come se ogni muscolo fosse impegnato a trattenere una reazione. Due modi opposti di stare in scena, ma perfettamente complementari. La scena del confronto finale tra Mark ed Eduardo non è solo un punto culminante nella trama. È una finestra aperta sulle modalità espressive di due attori che lavorano su registri completamente diversi, ed è anche una dimostrazione di quanto la scrittura e la regia possano potenziare — o distruggere — un momento drammatico.

Il merito di Fincher, Sorkin, Eisenberg e Garfield è aver costruito non una semplice lite tra ex amici, ma una collisione tra due modi di stare al mondo. Ed è per questo che la domanda iniziale rimane aperta: chi è il vero protagonista? Forse è proprio questo il punto: The Social Network non ha un vero protagonista. O meglio, ce li ha entrambi. Perché in fondo il cuore del film non è Facebook. Sono loro due. Uniti e divisi da una promessa, un'idea e un tradimento. E quella scena lì, quella del portatile e del “mi hai segato le gambe”, è il momento in cui tutto questo prende forma.

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