Third Person: dialogo tra Michael e Anna, analisi della rottura emotiva

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~ LA REDAZIONE DI RC

Third Person

Third Person” è un film del 2013 scritto e diretto da Paul Haggis (lo stesso regista e sceneggiatore di Crash, vincitore dell’Oscar). Si tratta di un'opera che mescola tre storie parallele ambientate in tre città diverse – Parigi, New York e Roma – con personaggi apparentemente scollegati, ma che nel corso del film rivelano connessioni più profonde, soprattutto a livello tematico e psicologico.

Parigi – Michael e Anna

Michael vive un momento di crisi personale e creativa. È separato dalla moglie e ha perso il contatto con suo figlio, per ragioni che non ci vengono dette subito. La sua relazione con Anna (Olivia Wilde), una giornalista giovane e ambiziosa, è tormentata, fatta di alti e bassi, seduzione e allontanamento. Tra loro c’è una tensione costante, fatta di menzogne, fragilità emotive e un non detto che diventa sempre più pesante man mano che il film procede. Il loro rapporto sembra quasi un riflesso dei personaggi che Michael sta tentando di scrivere nel suo romanzo.

New York – Julia e Rick

Julia (Mila Kunis) è un’ex attrice caduta in disgrazia. Sta cercando di riottenere l’affidamento del figlio, che vive con il padre Rick (James Franco), un artista di successo che la accusa di essere instabile e irresponsabile. Julia lavora come cameriera in un albergo di lusso, ma è visibilmente provata. Non sappiamo esattamente cosa sia successo tra lei e il figlio, ma si parla di un “incidente” accaduto in passato. Questa storyline è fortemente giocata sull’ambiguità morale: è difficile capire chi abbia ragione tra lei e Rick, e il film si muove costantemente sul filo del dubbio.

Roma – Scott e Monika

Scott (Adrien Brody) è un imprenditore americano coinvolto in affari loschi, che si trova a Roma apparentemente per lavoro. In un bar incontra Monika (Moran Atias), una donna misteriosa che afferma di avere bisogno di soldi per salvare sua figlia, rapita da un trafficante. Scott si fa coinvolgere, prima con riluttanza, poi con crescente coinvolgimento emotivo. Ma anche qui, i confini tra verità e manipolazione si fanno sempre più confusi: Monika è davvero chi dice di essere? O è tutto un inganno?

Il filo conduttore tra le tre storie è il senso di colpa, in particolare legato al rapporto genitori-figli. Ogni protagonista è alle prese con una perdita, una responsabilità non assunta, una verità che non riesce a confessare (o a confessarsi). Il film costruisce un gioco narrativo che diventa sempre più metafisico: alcune situazioni sembrano reali, altre hanno il sapore di una proiezione mentale. Lo spettatore viene costantemente spinto a chiedersi cosa stia davvero accadendo e cosa invece sia frutto dell’immaginazione di Michael – o di un meccanismo più ampio che Haggis lascia volutamente sfuggente.

Il dialogo

MICHAEL: Liam Neeson

ANNA: Olivia Wilde

MICHAEL: Dove vai? Perché non vuoi dirmelo?

ANNA: Non essere patetico.

MICHAEL: Chi è questa persona?

ANNA: Non la conosci.

MICHAEL: Ma è un uomo o una donna?!

ANNA: A: Ho anch’io una vita. La mia, se non ti dispiace. 

MICHAEL: E’ stato tutto bellissimo…

ANNA: Beh, allora non c’è problema.

MICHAEL: Senti. Non fare questo a te stessa. 

ANNA: Che dolce. Lui cerca di salvarla da se stessa. Non sono la tua cazzo di bambina! 

MICHAEL: E allora non comportarti come se lo fossi! 

ANNA: Uh…che bravo. Quando qualcosa va troppo male, lui ricorre ad un confortante cliché. 

MICHAEL: Anna. Ti prego. 

ANNA: Mi preghi? Sai perché lei sceglie uomini sposati, Michael? Perché non deve curarsene. Non possono ferirla e può andarsene quando le pare. Oh…guardate che faccia. Ha un tale bisogno d’amore. Finché non ce l’ha. Trova qualcuno che non ti conosca. Ciao.

Analisi dialogo

Perfetto, questo dialogo tra Michael (Liam Neeson) e Anna (Olivia Wilde) è uno dei più tesi e rivelatori di Third Person. È un confronto a cuore aperto, ma anche una lotta di potere emotiva, dove ogni battuta è una ferita che si riapre. Un vero esempio di scrittura tagliente, dove la manipolazione emotiva e il senso di abbandono si scontrano in tempo reale. Michael è uno scrittore maturo, emotivamente irrisolto, tormentato dal senso di colpa e in piena crisi creativa. Anna è giovane, sfuggente, sarcastica. Il loro legame è costruito su una dinamica tossica di seduzione, dipendenza e fuga. Questo dialogo avviene in un momento di rottura: Anna si sta allontanando, e Michael non capisce se è un test, un addio o un’altra delle sue provocazioni. Lei, invece, rivela molto più di quanto sembra voler dire: parla di sé in terza persona, come se stesse leggendo il suo stesso copione.

M: Dove vai? Perché non vuoi dirmelo?

Michael parte subito da una posizione di bisogno. È insicuro, ansioso. La sua paura non è solo di perdere Anna, ma di perdere il controllo sulla narrativa del loro rapporto.

A: Non essere patetico.

Anna lo taglia subito. È cinica, affilata. Non vuole essere salvata, né compresa. E non vuole che lui si comporti come se avesse il diritto di sapere tutto.

M: Chi è questa persona? / Ma è un uomo o una donna?!

Qui Michael si mostra geloso. Ma la domanda vera non è se si tratta di un uomo o una donna. È: “perché stai scappando da me?” La reazione di Anna è rivelatrice.

A: Ho anch’io una vita. La mia, se non ti dispiace.

Frase chiave. Anna rivendica autonomia. Non vuole essere “un personaggio” nelle storie di Michael. Vuole uscire dalla sua cornice narrativa.

M: E’ stato tutto bellissimo… / Senti. Non fare questo a te stessa.

Michael prova a riaprire la porta con un tono più affettuoso. Ma scivola subito nel paternalismo: "non fare questo a te stessa". È convinto che lei si stia auto-sabotando, ma in realtà sta solo proiettando la sua fragilità su di lei.

A: Non sono la tua cazzo di bambina!

Esplosione. Anna rifiuta categoricamente il ruolo in cui Michael cerca di collocarla. Non vuole essere salvata, protetta, corretta. Questa è una delle frasi più potenti del film: rompe ogni dinamica patriarcale o edipica tra i due.

M: E allora non comportarti come se lo fossi!

Michael risponde d’impulso, ma conferma proprio ciò che Anna gli sta rinfacciando: vede in lei una versione giovane e fragile di se stesso, o addirittura una sostituta simbolica di ciò che ha perso (forse il figlio).

A: Che bravo. Quando qualcosa va troppo male, lui ricorre a un confortante cliché.

Anna lo smaschera. Gli dà del narratore fallito, emotivamente prevedibile. Lei sa esattamente come funziona il suo meccanismo: Michael vive nella testa, nel linguaggio, nei cliché. E ora non le bastano più.

A: Sai perché lei sceglie uomini sposati, Michael? Perché non deve curarsene.

Anna parla in terza persona – quasi come se recitasse se stessa – e si confessa. Ama uomini inaccessibili perché così non rischia. È un’ammissione che nasconde una voragine: il terrore di amare davvero.

A: Oh…guardate che faccia. Ha un tale bisogno d’amore. Finché non ce l’ha. Trova qualcuno che non ti conosca. Ciao.

Il finale è letale. Anna ribalta tutto: accusa Michael di desiderare amore solo finché è a distanza, proprio come lei. Sono lo specchio uno dell’altra, e lei lo sa. Per questo se ne va.

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