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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Felix si presenta come una confessione scomoda, quasi “fuori luogo”, come se avesse dimenticato il contesto in cui si trova. Ma è proprio questo a renderlo reale. In una serie dove l’ironia è spesso un filtro per proteggersi, qui non c’è nessun filtro. Nessun controllo. Solo un uomo che tenta di spiegarsi — e forse di salvarsi — a parole.
STAGIONE 1 EP 3
MINUTAGGIO: 21:00-22:31
RUOLO: Felix
ATTRICE: Will Sharpe
DOVE: Netflix
ITALIANO
Ehm, circa due settimane e mezzo. No, sto scherzando. No, sto andando alla grande. Sono pulito da circa tre anni. Cioè, pulito pulito, perché prima dell’alcool ho dovuto smettere con la droga pesante, ma non faccio parte di nessun programma. Ho solo una di quelle stupide applicazioni per contare i giorni… O cavolo, c’è stata una volta in cui… ero sbronzo, c’era anche mia sorella e ho fatto sesso. Con la sua amica. Con l’amica di mia sorella. Quella notte fu davvero un casino. Ci conoscevamo da quando eravamo bambini, non c’eravamo mai piaciuti. Ma quando mi svegliai ero completamente fuori di me. Credo che lei avesse il ciclo, perché sembrava che l’avessi scannata o mi fossi cagata addosso. Aveva un soffitto a specchio, non so perché, si vedeva tutto. E la cosa strana è che quella situazione non era bastata a scoraggiarmi. Da lì ho smesso, forse per… non lo so, per diventare un musicista. Perché se sei sempre sballato come fai a fare musica. Cioè, puoi farla ma è uno schifo assoluto. E poi quando ho smesso di farmi ho iniziato a ricordare tante cose del passato. Che ne so, tipo… cose noiose…
Protagonista è Jessica (Megan Stalter), trentenne americana alla deriva, emotiva e lavorativa. È stata lasciata da Zev, fidanzato da tempo, che l’ha scaricata in mondovisione per mettersi con un’influencer (Emily Ratajkowski) e chiederle la mano in diretta su TikTok. Jessica non è solo ferita: è in piena caduta libera. Vive con un cane spelacchiato (Astrid), si trascina in un lavoro pubblicitario che odia, e ha un sogno mai realizzato: diventare regista. La svolta arriva quando un ex cognato-collega, James, le propone un trasferimento a Londra. Jessica accetta e inizia quello che dovrebbe essere un nuovo inizio, ma che in realtà si rivela un altro vortice di frustrazioni, scontri culturali e instabilità emotiva. Il suo nuovo appartamento londinese è un disastro, i vicini sono molesti, e l’unico conforto sembra arrivare da un incontro casuale: quello con Felix (Will Sharpe), musicista introverso e disilluso, conosciuto una sera in un pub.
Felix e Jessica iniziano una relazione fatta di gesti affettuosi ma anche di tanti silenzi e tensioni non risolte. Lui è sfuggente, lei è ossessiva. Le ferite del passato sono ancora fresche per entrambi. Felix si porta dietro un trauma infantile mai affrontato (è stato molestato da bambino), mentre Jessica non riesce a lasciarsi alle spalle la tossicità della relazione con Zev. Anzi, la nutre. Registra video di insulti, li archivia come un diario privato, e finisce per pubblicarli per sbaglio, scatenando un piccolo disastro mediatico.
Il lavoro in agenzia è finalmente stimolante, ma anche qui la pressione è altissima. Il suo capo (interpretato da Richard E. Grant) è esigente fino all’assurdo. E quando Felix si trasferisce da lei per motivi economici, la convivenza svela ancora più fragilità nel loro rapporto. Lui, spaventato, si rifugia da Polly, la sua ex (Adèle Exarchopoulos), generando nuove insicurezze in Jessica.
Too Much è, sulla carta, una serie che riprende il filone classico di Dunham: la donna disfunzionale, ironica, egocentrica, immersa nel caos emotivo della vita adulta. Ma mentre in Girls c’era un’intera generazione rappresentata, qui tutto sembra ruotare attorno alla solitudine di Jessica.
Sia Jessica che Felix sono personaggi spezzati. Lui da un’infanzia rubata, lei da una lunga storia d’amore che l’ha fatta sentire “sbagliata” in ogni modo possibile. L’aborto non voluto, le critiche costanti sul corpo, la voglia di essere amata a tutti i costi: Jessica è una donna che non sa separarsi dalle sue ferite, e anzi, le coccola. Tutta la serie ruota intorno a questo bisogno – insaziabile, irrazionale, disperato – di essere vista, riconosciuta, amata. Jessica cerca conforto nei social, nell’attenzione del pubblico, nelle interazioni con estranei. Ma ogni volta che prova a costruire qualcosa di reale, si autodistrugge.
«Ehm, circa due settimane e mezzo. No, sto scherzando. No, sto andando alla grande.» Felix apre con un tono ironico, instabile. Gioca sull’ambiguità, forse anche per testare la reazione di chi lo ascolta. È chiaro fin da subito che c’è una distanza tra il modo in cui si presenta e ciò che prova davvero. “No, sto andando alla grande” è una frase che funziona solo se detta con convinzione. Ma qui suona esattamente come quello che è: un’autogiustificazione vacillante. «Sono pulito da circa tre anni… ho solo una di quelle stupide applicazioni per contare i giorni…»
Il riferimento all’app per il conteggio della sobrietà è sottile, ma rivelatore. Felix non è parte di nessun programma, non ha una rete di supporto. Ha solo un timer digitale che misura il tempo passato a restare "fuori dai guai". Non c’è glorificazione della guarigione: solo un tracciamento passivo, impersonale.
«…ho fatto sesso. Con la sua amica. Con l’amica di mia sorella.»
L’episodio — surreale, grottesco — è narrato in modo così piatto da risultare ancora più inquietante. Il dettaglio del soffitto a specchio, il sangue, la confusione: sono frammenti di un momento che Felix ha bisogno di ricordare, ma che non riesce a decifrare. La frase “sembrava che l’avessi scannata o mi fossi cagata addosso” è brutale, disturbante. Non ha filtri, ma non per compiacere lo spettatore: è il linguaggio interno di un uomo che ha vissuto la vergogna nella carne e che non sa ancora come affrontarla.
«E la cosa strana è che quella situazione non era bastata a scoraggiarmi.»
Questo è il punto di rottura. L’ammissione che nemmeno un’esperienza tanto degradata è bastata a spingerlo verso il cambiamento. È un'autocritica lucida, devastante: ci dice quanto fosse profondo il buco nero in cui viveva. Non c’è redenzione istantanea. Solo un lento, sgangherato processo di dissociazione e ritorno alla memoria. «Ho iniziato a ricordare tante cose del passato. Che ne so, tipo… cose noiose…» La chiusura è una fuga. Quando arriva al punto cruciale — il riaffiorare della memoria — Felix cambia tono. Minimizza, smonta il pathos, definisce i ricordi come “cose noiose”. È chiaro che non sono noiose per niente. Ma lui non è ancora pronto per dirle ad alta voce.
Questo monologo è uno dei rari momenti in cui Too Much si prende una pausa dalla voce di Jessica per dare spazio al mondo interiore di Felix. E lo fa in modo spiazzante: non c’è empatia garantita, non c'è imbarazzo, c'è solo la realtà.
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