Il Monologo di Glory in Untamed: la voce dura e sincera della sopravvivenza

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Eccoci davanti a uno di quei momenti che in una serie come Untamed non urlano per farsi notare, ma che lasciano il segno. Il monologo di Glory, interpretata da Marilyn Norry nell’episodio 4, è un dialogo laterale solo in apparenza. In realtà, è un piccolo manifesto personale pronunciato da una figura ai margini, che racconta il proprio dolore senza sconti né sentimentalismi. Siamo a metà dell’episodio 4. Kyle Turner sta cercando risposte, indizi, forse solo un po’ di umanità in una comunità che sembra scomparsa nel silenzio del parco. Incontra Glory, una donna che vive al margine – non solo geografico, ma anche sociale – e che non ha alcuna intenzione di edulcorare la sua visione del mondo.

Compassione? Tu ne hai?

STAGIONE 1 EPISODIO 4

MINUTAGGIO: 15:30-17:17

RUOLO: Glory
ATTRICE: Marilyn Norry

DOVE: Netflix



Per più di vent’anni ho fatto lo stesso lavoro. Ero molto brava, anche più di molti altri. E poi… una settimana dopo il mio cinquantesimo compleanno… senza tenti convenevoli fui messa alla porta. Non scrissero neanche bene il mio nome sulla lettera di licenziamento. E poi, poco più tardi, il dottore mi dice che ho il cancro, ma non ho un’Assicurazione con cui curarmi. Quindi penso…”Vaffanculo. Se devi morire, allora vattene il più lontano possibile dal mondo reale, Glory. Dove non ci sarà più la finta compassione di infermieri e dottori.“ O degli assicuratori al telefono, tutti dispiaciuti mentre guardano l’orologio per affrettarsi alla successiva storia triste con codice fiscale. E’ successo ben nove anni fa. Nove. E campo ancora. A fatica, a volte. Ci sono giorni… in cui io ho dolori tanto forti, o la paura è tanto forte che sono disposta a provare di tutto. Tranne finta compassione per ragazze che non conosco, o uomini che non mi piacciono. Perciò mi perdoni, Agente Turner, se nei miei toni trova una mancanza di calore. Questo è il suono della sincerità. Lo stesso che ha la sua voce. 

Untamed: trama e finale (con spoiler)

La trama di Untamed, la miniserie thriller di Netflix in sei episodi, è un viaggio tra le ombre del passato e i silenzi assordanti della natura selvaggia. Ma è anche un’indagine stratificata che, come il parco in cui si svolge, nasconde più di quanto mostra. Lo Yosemite non è semplicemente lo scenario: è un terreno vivo, pieno di tracce, minacce e fantasmi. Proprio come la coscienza del protagonista. Kyle Turner (Eric Bana) è un ranger dell’Investigative Services Branch del National Park Service, assegnato allo Yosemite dopo anni lontano da tutto. Un uomo segnato dalla tragedia: ha perso suo figlio Caleb anni prima, e da allora convive con un senso di colpa talmente ingombrante da diventare quasi un personaggio a parte.

Turner non cerca solo un colpevole: cerca una via d’uscita da se stesso.

Tutto inizia quando il corpo senza vita di una giovane donna – soprannominata Jane Doe – viene trovato appeso a una corda da scalata. All’inizio sembra un incidente, poi si scopre che è stata uccisa: ha un proiettile nella gamba. L’indagine si apre e si complica subito: niente è come sembra, e a ogni pista seguita corrisponde una nuova crepa nel fragile equilibrio del parco. La ragazza si chiama in realtà Lucy, ed è la figlia illegittima di Paul Souter (Sam Neill), il capo della polizia del parco. Lucy voleva confrontarsi con l’uomo che l’aveva abbandonata, ma l’incontro si trasforma in uno scontro tragico: Souter, sopraffatto dalla paura e dal senso di vergogna, la minaccia con un’arma, e lei si butta giù da una scogliera per non dargli la possibilità di ucciderla. Quando la verità viene a galla, Souter si toglie la vita.

Parallelamente, Turner scopre che Shane Maguire, il guardiacaccia recluso nei boschi, è coinvolto in un traffico illegale: ha coperto l’esistenza di un laboratorio di produzione di droga nascosto in una miniera abbandonata. Il tutto camuffato da attività legate alla fauna. Quando Kyle lo affronta, Maguire lo ferisce gravemente, ma viene ucciso da Naya Vasquez (Lily Santiago), la giovane ranger che aveva deciso di seguirlo di nascosto. Questa parte della trama – il laboratorio nascosto – è quasi un sottotesto simbolico: qualcosa di tossico cresce in segreto nel cuore del parco, proprio come il dolore mai elaborato dei personaggi.

Caleb, il figlio di Turner, è morto da anni. Non è mai realmente presente nella storia: è una proiezione, una voce nella mente di un uomo che non riesce a lasciarlo andare. Caleb è stato ucciso da un predatore sessuale di nome Sean Sanderson, a sua volta ucciso da Maguire per ordine implicito di Jill Bodwin (Rosemarie DeWitt), l’ex moglie di Kyle. Lei, accecata dal dolore e dalla sete di giustizia, aveva messo in moto una spirale di vendetta che ora sta venendo a galla pezzo dopo pezzo. La scoperta arriva attraverso delle fototrappole piazzate nel parco: immagini che mostrano l’omicidio di Sanderson, incastrando definitivamente Maguire.

L’ultimo episodio chiude molti fili. Turner, sopravvissuto alla caccia nei boschi, ha ormai fatto i conti con il proprio passato. Ha scoperto la verità su Lucy, su Souter, su Jill, su Maguire e, soprattutto, su se stesso. Il suo rapporto con Caleb – costruito nella mente ma vivido quanto basta – si spezza nell’ultima scena.

Kyle lascia il parco. Raccoglie le sue cose e se ne va. Non ci viene detto dove, ma il messaggio è chiaro: il ciclo è finito. Untamed non è una storia di redenzione convenzionale. Turner non viene “salvato”. Ma ha finalmente fatto silenzio dentro di sé. E ora, può camminare.

Analisi Monologo

"Per più di vent’anni ho fatto lo stesso lavoro. Ero molto brava, anche più di molti altri." Glory si presenta non con rabbia, ma con un fatto. Un dato di realtà. Ha lavorato per vent’anni, ha fatto il suo dovere. Ma questo non è bastato. L’uso del “molto brava” serve a ribadire un’identità professionale costruita con fatica, non con retorica. "Una settimana dopo il mio cinquantesimo compleanno… fui messa alla porta." Glory passa dal ricordare al colpo basso. Licenziata in modo anonimo e sciatto, con il nome scritto male. Una scelta di scrittura precisa, quasi crudele nella sua banalità. È l’epitome di un sistema che non solo ti elimina, ma lo fa senza nemmeno prendersi la briga di ricordare chi sei.

“Il dottore mi dice che ho il cancro, ma non ho un’Assicurazione con cui curarmi." La caduta prosegue, inarrestabile. L’aspetto sanitario non è raccontato in modo melodrammatico. Non ci sono lacrime o appelli. Solo una constatazione: niente assicurazione, niente cura. Qui entra in gioco la parte più politica del monologo, ma trattata con freddezza chirurgica. Come una diagnosi che riguarda non solo il corpo, ma l’intero sistema sociale. "Se devi morire, allora vattene il più lontano possibile dal mondo reale, Glory." Glory racconta la sua scelta: uscire dal sistema, dal mondo “reale”, inteso come quello normativo, urbanizzato, regolato. Non è fuga, è autodifesa. Il bosco, in Untamed, è spesso un simbolo di pericolo. Per Glory, è protezione dalla finzione del mondo civile.

"Ci sono giorni in cui ho dolori tanto forti… o la paura è tanto forte che sono disposta a provare di tutto." Questo passaggio è un’eccezionale sintesi della condizione umana: dolore e paura spingono oltre ogni limite, ma Glory conserva una forma di dignità non negoziabile. Non chiede aiuto. Non lo vuole. Quello che rivendica è la libertà di non fingere. "Mi perdoni, Agente Turner, se nei miei toni trova una mancanza di calore. Questo è il suono della sincerità. Lo stesso che ha la sua voce." Glory riconosce in Kyle un simile dolore, una stessa voce rotta. Non lo coccola, non gli offre comprensione: gli restituisce un'immagine speculare. È la sua maniera, ruvida e diretta, di stabilire un ponte umano. Senza pietà, ma con rispetto.

Conclusione

Glory non è un personaggio chiave nella trama. Ma è fondamentale nell’economia del racconto. Perché ricorda a chi guarda – e a Kyle – che il dolore non è sempre spettacolare. Spesso è silenzioso, cinico, burocratizzato. E chi ci convive impara a parlarne senza filtri.

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